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Pierre Clastres: la società contro lo Stato

di Artin Bassiri Tabrizi - 08/09/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


L'Occidente insegna, per Clastres, che “la storia è a senso unico, che le società senza potere sono l'immagine di ciò che noi non siamo più e che la nostra cultura è per loro l'immagine di ciò che debbono essere. E non solo il nostro sistema di potere è considerato come il migliore, ma si arriva ad attribuire una certezza analoga alle società arcaiche.”1 Si confrontano, infatti, gli Indiani Sioux con gli Aztechi, si paragonano i loro sistemi organizzativi, cosa che per Clastres non ha alcun senso. Per usare le parole dello stesso autore, “bisogna accettare l'idea che negazione non significa niente, e che quando lo specchio non rinvia la nostra stessa immagine, questo non prova che non ci sia niente da guardare.”

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Una figura come quella di Pierre Clastres non riesce a spiccare, trionfante, nel mondo culturale d’oggi : rimane, assieme a tanti altri nomi, quasi una leggenda metropolitana, un sussurrio nel vuoto. Non circola, come dovrebbe, tra i banchi di scuola, e nemmeno tra le bocche dei più noti studiosi ; pochi, anche nella sua stessa patria (Deleuze tra tutti) seppero considerarlo quanto meritava. Tutto questo può essere interpretato come l’eco della sua opera più nota, La società contro lo Stato. Questa raccolta di saggi, che uscì nel 1974, è uno studio sulla struttura politica delle società americane precolombiane ; Clastres s’interessò soprattutto alle popolazioni che non svilupparono un vero e proprio apparato sociale, le cosiddette “società senza stato”. Il pensiero dell’antropologo francese si staglia su differenti punti, tanti quanti sono i saggi che compongono la raccolta ; innanzitutto, per Clastres è necessario notare che l’etnologia si dimostra  (nonostante gli studi effettuati da Lévi-Strauss) incapace di comprendere appieno una determinata cultura, poiché essa è imbevuta di eurocentrismo : vi è infatti una grave tendenza, quella di considerare il modello della civiltà occidentale come quel modello universale da paragonare a tutte le altre, di modo che tutte quelle società che risultano mancanti di tale modello risultano in qualche modo sotto-sviluppate. Una volta premesso ciò, Clastres si concentra su quello che è il fulcro delle sue analisi : le manifestazioni di potere nelle tribù Tupi-Guarani. Fondamentalmente, Clastres non è soddisfatto della tradizionale problematizzazione del potere : “non ci è evidente, scrive lui stesso, che coercizione e subordinazione costituiscono l’essenza del potere politico ovunque e sempre”.1

Le società “arcaiche” sono tali perché non conoscono la scrittura e possiedono un’economia di sussistenza (ovvero una società che nutre i suoi membri nella maniera sufficiente per soddisfare i loro bisogni primari) ; proprio su questo secondo aspetto, Clastres muove un’obiezione : ha infatti osservato con i suoi occhi che molte di queste società, in America del Sud, producono spesso beni in grado di soddisfare il doppio dei bisogni delle proprie popolazioni . Tutto questo per dimostrare la vanità del concetto di “economia di sussistenza”, un concetto eurocentrico adattabile solo al contesto occidentale, non a quello delle “società senza stato”. L’Occidente insegna, per Clastres, che “la storia è a senso unico, che le società senza potere sono l’immagine di ciò che noi non siamo più e che la nostra cultura è per loro l’immagine di ciò che debbono essere. E non solo il nostro sistema di potere è considerato come il migliore, ma si arriva ad attribuire una certezza analoga alle società arcaiche.”2 Si confrontano, infatti, gli Indiani Sioux con gli Aztechi, si paragonano i loro sistemi organizzativi, cosa che per Clastres non ha alcun senso. Per usare le parole dello stesso autore, “bisogna accettare l’idea che negazione non significa niente, e che quando lo specchio non rinvia la nostra stessa immagine, questo non prova che non ci sia niente da guardare.” I popoli senza scrittura non sono “meno adulti” di quelli che la possiedono : la loro storia è profonda come la nostra e, per Clastres, non vi è alcuna ragione di ritenerli incapaci di riflettere sulla loro propria esperienza e di inventare soluzioni appropriate ai loro problemi. L’altro colpo che Clastres sferra all’etnologia classica è proprio la netta separazione tra società con potere e società senza potere ; al contrario, essendo il potere politicouniversalmente valido, la differenza sussiste solamente nelle sue manifestazioni : potere coercitivo e non. Il potere coercitivo è sintomatico nelle società che Clastres chiama storiche, ovvero società che portano in sé le cause dell’innovazione e dell’istoricità ; così dicendo, risulta che le società senza potere coercitivo sono dunque le società a-storiche. Se Marx ed Engels sostenevano che non vi è potere politico senza dei conflitti tra le forze sociali, ora Clastres limita quest’affermazione alle sole società conflittuali, dunque storiche .

Il messaggio che l’opera di Clastres ha portato è tremendamente chiaro : tutti i valori occidentali non sono applicabili che nelle società occidentaliste , ivi comprese le categorie antropologiche, sociologiche ed economiche. Ironicamente, egli conclude il primo saggio “Copernico e i selvaggi” affermando : “Si tratta della rivoluzione copernicana. Nel senso che, fino ad oggi, e sotto certi rapporti, l’etnologia ha lasciato che le culture primitive girassero attorno alla civilizzazione occidentale”. Occorre dunque, come auspica lo stesso autore, una conversione “eliocentrica”, con la quale si guadagnerà una comprensione totale del mondo degli altri e, per contraccolpo, del nostro.