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Multipolarismo contro eccezionalismo americano

di Gianni Petrosillo - 14/10/2014

Fonte: Conflitti e strategie

Qualcuno è convinto che l’avanzante era multipolare sarà un periodo felice di riequilibrio dei dissidi mondiali, una sorta di democrazia delle potenze che affratellerà i cittadini del villaggio globale in maniera più concreta di quanto non sia avvenuto sino ad ora, una lunga fase, o forse persino uno stadio, se non ultimo almeno duraturo, in cui finalmente il processo di partecipazione alle decisioni generali sarà dibattuto e condiviso da un numero più ampio di paesi, per il benessere dei popoli e la loro armoniosa crescita economica.

Capisco che qualche capo di governo dei BRICS, per esempio, debba ricorrere a questi giri di parole per far valere le sue istanze nelle organizzazioni mondiali che tendono ad escludere i non appartenenti al club ma non confondiamo la narrazione d’occasione con i reali obiettivi degli Stati che si pongono in posizione alternativa al sistema atlantico. Chi interpreta secondo questa lettera pacificatoria il multipolarismo è preda di pie illusioni che la realtà si incaricherà di smentire molto presto. Occorre intenderci, allora, sulle caratteristiche specifiche e storicamente ricorrenti di questa situazione di trapasso epocale per illustrare che cos’è veramente il multipolarismo e con quali effetti si estrinsecherà sul presente e sul futuro delle nostre società.
La nostra non sarà affatto un’età tranquilla in quanto il suddetto multipolarismo annuncia una più accesa competizione geopolitica sulla scacchiera internazionale (che tramuterà poi in pieno policentrismo), sospinta dalla riduzione dei differenziali di potere tra le singole formazioni particolari o aree di proiezione egemonica, le quali lotteranno più accanitamente per primeggiare, approfittando dell’indebolimento del campo occidentale governato dalla superpotenza americana, ormai in relativo declino. Questo è, ovviamente, un bene in senso storico e geopolitico perché vuol dire che non moriremo tutti americani e soggiogati dagli statunitensi, la cui pre-potenza ed aggressività stanno superando ogni limite, non avendo incontrato barriere sulla propria strada per un ventennio, ma tutto ciò non c’entra nulla con il bene dell’umanità e altre amenità buoniste di ugual fatta.
In termini di ricorsività storica possiamo azzardare qualche paragone col passato per meglio orientarci nell’attualità. Come scrive l’economista Gianfranco La Grassa dopo il declino inglese si scatenò la lotta per la supremazia mondiale. Mi si scusi la lunga citazione del pensatore veneto ma vale la pena di inserirla integralmente per chiarire il punto: “La cosiddetta epoca dell’imperialismo [fine ottocento inizi del novecento] è stata una fase storica policentrica; credo sia meglio usare questo termine più neutro perché quello di imperialismo è troppo abusato, si è sovraccaricato di significati puramente ideologici e soprattutto di un numero enorme di sensi ormai non più controllabile. Ogni volta che un paese predominante (come sostanziale centro del mondo) entra in declino, in quanto potenza non semplicemente economico-finanziaria ma soprattutto politica e militare, si entra in una fase multipolare e poi policentrica, in cui un certo numero di formazioni particolari (in genere paesi, nazioni) lottano per affermare una nuova preminenza monocentrica. In tale lotta appaiono in piena luce quali sono le caratteristiche reali del capitalismo, in ciò simile ad ogni forma di società precedente, con la sola e ormai nota differenza dello scatenamento della conflittualità anche nella sfera economico-produttiva. Quando si esaurisce la preminenza centrale di un paese, che creava l’impressione di un minimo di equilibrio mondiale (pur sempre attraversato da conflitti minori), prende avvio un tumultuoso processo di scontro tra un certo numero di formazioni dotate di particolare potenza (denominate per brevità potenze) che, in linea generale, porta nel sistema capitalistico uno specifico accoppiamento: fase altalenante di crescita e decrescita economica unita ad intenso sviluppo nel senso della trasformazione dei rapporti e configurazioni sociali (articolazione in vari gruppi sociali fra loro in conflitto di tipo sia orizzontale che verticale). Per un intero periodo storico prevale lo scontro in orizzontale, tra gruppi dominanti; solo quando questo comporta vere disarticolazioni della società e crolli istituzionali (dei macroapparati che sono la condensazione dei flussi conflittuali nel campo di battaglia) in quelli che Lenin denominò anelli deboli, si acuiscono allora anche gli scontri in verticale. Per tutta la fase (lunga) di tipo multipolare e policentrico, la lotta più aspra tra dominanti si svolge tra loro gruppi appartenenti a formazioni particolari diverse. Non semplicemente, dunque, la lotta un tempo detta di classe, tra strati sociali disposti in verticale, è sovrastata e in parte conformata da quella tra dominanti, ma anche quest’ultima conosce i suoi aspetti più significativi sul piano internazionale dello scontro tra potenze” (G. La Grassa, Oltre l’orizzonte – Besa Editrice).
Il periodo policentrico che seguiva all’indiscussa superiorità inglese ebbe sbocchi drammatici di tipo bellico. Dopo due guerre mondiali e milioni di morti emerse una riconfigurazione degli assetti geopolitici basata su due blocchi contrapposti, ciascuno dominante nel proprio perimetro suggellato dagli accordi internazionali (uno americanocentrico e l’altro sovieticocentrico) che garantirono un certo grado di stabilità mondiale, mentre le frizioni tra i due competitori si scaricavano su zone più periferiche, dove l’antagonismo raramente superava il livello di guardia, benché esistesse una indubitabile psicosi da guerra nucleare totale che mai arrivò a compimento.

Dopo la caduta dell’URSS abbiamo assistito ad un supremazia americana assoluta ed apparentemente inarginabile (fortunatamente piuttosto breve) che ha riaperto brutte ferite in alcuni territori del pianeta, portando con sé conflitti unilaterali, ritorsioni atroci e distruzioni che gridano ancora vendetta. Adesso, questo monopolarismo si è incrinato e si sta ritornando, mutatis mutandis, ad una situazione multipolare (ancora molto imperfetta) rassomigliante a quelle del passato testé descritte.

Questo processo non è già predestinato negli esiti, potrebbe benissimo essere che gli Usa riescano ad invertire la tendenza ma lo svolgimento degli eventi è in moto ed è possibile che i suoi antagonisti prendano il sopravvento riscrivendo le cartine geografiche e ridisegnando le sfere egemoniche. In questa momento Russia e Cina appaiono le potenze antagonistiche degli Usa in grado di incaricarsi di questo compito e noi ce lo auguriamo affinché finisca questa stagione di protervo e criminale eccezionalismo americano. Più in là si spingeranno tali rivali nel sottrarre potere agli States o nell’andare ad occupare caselle lasciate sguarnite da questo paese, più aumenteranno i rischi di regolamenti di conti e di conflitti, anche per “interposte potenze”. All’orizzonte ci sono conflitti che faranno cadere e cedere molte delle nostre vecchie convinzioni, basate su dialogo ed uso della diplomazia nella risoluzione dei problemi internazionali. Dovremo, invece, preparaci alla forza e al suo uso per sopravvivere tra le fiere del XXI secolo. Golpe e Lione torneranno di moda mentre sfiorirà la retorica democratica dei lupi travestiti da agnelli.

Le nazioni che si ritroveranno in mezzo alla contesa senza aver saputo contrattare il proprio ruolo perderanno tantissimo, sia in benessere sociale che in libertà politica. Chi pensa che nel multipolarismo saremo tutti più al sicuro dovrebbe ricredersi. Può darsi che inizialmente sia così ma è solo la quiete che annuncia le grandi tempeste. Non è detto che ripiomberemo ancora in battaglie all’ultimo sangue come quelle del secolo scorso ma occorre prepararsi a sconvolgimenti non prevedibili a priori. La Storia non è morta ma è sempre pronta a richiedere il suo tributo di cadaveri per determinarsi.