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Elogio della dissidenza serba

di Diego Fusaro - 22/10/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


A Belgrado ho respirato aria di libertà e volontà di indipendenza. I Serbi sanno meglio di chiunque altro cosa siano realmente gli Stati Uniti d’America: l’hanno sperimentato sulla loro pelle nel 1999, e non può esservi ideologia o retorica in grado di ingannarli.

  

Sono stato alla parata organizzata a Belgrado in onore dell’arrivo di Putin in Serbia. È stato un evento grandioso, che mi ha immensamente colpito. L’aspetto che, tra tutti, maggiormente mi ha stupito è stata la sentita partecipazione del popolo: migliaia di studenti, lavoratori, uomini e donne, di ogni strato sociale, hanno sfilato con entusiasmo, assistendo alla parata.

A Belgrado ho respirato aria di libertà e di futuro: è stata una sensazione bellissima soprattutto per chi, come me, è abituato in Italia a respirare l’aria stantia e asfissiante del pensiero unico globale; quel pensiero unico globale che santifica a priori l’impero USA e i suoi cani da guardia e demonizza senza sosta la Russia di Putin e ogni Stato che non si pieghi al dominio americano. A Belgrado si respirava aria di libertà, volontà di lottare per un futuro diverso e per un mondo migliore, in cui non vi siano solo gli USA del presidente Obama – imperialista insignito del premio Nobel per la pace! –, ma in cui ogni popolo, ogni cultura, ogni lingua abbia il diritto di esistere.

È stata, dicevo, una boccata d’aria fresca e di speranza. La vecchia Europa e, in particolare, l’Italia è obnubilata dal pensiero unico: non siamo uno Stato libero, sovrano e democratico. Il nostro territorio nazionale è ad oggi occupato da 114 basi militari USA, il cui obiettivo pretestuoso è di “difenderci”. Difenderci da chi? Da chi dovremmo oggi difenderci a settant’anni dalla fine del nazifascismo e a vent’anni dalla fine del comunismo sovietico? Da noi stessi, ovviamente: ossia dall’eventualità che l’Italia torni a essere uno Stato nazionale democratico e indipendente.

Proprio in questo risiede uno dei principali drammi del nostro presente: a determinare il carattere “postdemocratico” dell’odierno panorama globale è il dominio unipolare del mondo ad opera di uno Stato a forte vocazione imperiale – gli Stati Uniti – che, con la sua fitta rete di basi militari disseminate per il mondo, è in grado di sottoporre l’intero pianeta a un ricatto atomico permanente, che svuota ogni sovranità nazionale. Noto di passaggio che già per un ateniese del tempo di Pericle e di Socrate, sarebbe stato assurdo pensare che potesse esserci “democrazia” in presenza di una base militare spartana stabilmente insediata sull’Acropoli! Eppure questa è la situazione dell’Italia e, sia pure in misura diversa, degli altri Stati della vecchia Europa.

Nulla di tutto questo in Serbia. A Belgrado ho respirato aria di libertà e volontà di indipendenza. I Serbi sanno meglio di chiunque altro cosa siano realmente gli Stati Uniti d’America: l’hanno sperimentato sulla loro pelle nel 1999, e non può esservi ideologia o retorica in grado di ingannarli. Hanno subito il vigliacco bombardamento del 1999 ad opera della NATO, tramite l’usuale ipocrisia del bombardamento etico, dell’interventismo umanitario e dell’embargo terapeutico. A ciò si aggiunge l’usuale riduzione a nuovo Hitler del governante di turno (Miloševic): se si inventa il nuovo Hitler, diventa possibile la nuova Hiroshima, il “bombardamento necessario”. La creazione di Camp Bondsteel – la più grande base militare americana sul territorio europeo – fu il vero scopo del conflitto nei Balcani: l’obiettivo consisteva nel controllo capillare e incondizionato dell’Europa, alla quale, peraltro, venne imposta la partecipazione subalterna alle operazioni militari. Già Carl Schmitt,  ne Il concetto del politico, aveva con lungimiranza compreso la logica illogica dell’odierno imperialismo USA:

“Un imperialismo fondato su basi economiche cercherà naturalmente di creare una situazione mondiale nella quale esso possa impiegare apertamente, nella misura che gli è necessaria, i suoi strumenti economici di potere, come restrizione dei crediti, blocco delle materie prime, svalutazione della valuta straniera e così via. Esso considererà come violenza extraeconomica il tentativo di un popolo o di un altro gruppo umano di sottrarsi agli effetti di questi metodi ‘pacifici’”.

I Serbi hanno capito ciò che i popoli d’Europa, colonie USA, non riescono a capire: che gli USA non sono liberatori, benefattori, amanti dell’umanità, ma sono esattamente il contrario. Hanno capito che la fabbrica dei consensi del circo mediatico induce ad amare gli oppressori e a odiare gli oppressi. Hanno capito che oggi la Russia di Putin è una speranza: ed è una speranza perché permette di creare un nuovo blocco alternativo rispetto a quello dominante USA. La Russia ha oggi il compito di resistere agli USA e, insieme, di coordinare gli Stati resistenti, Serbia inclusa. Con la potenza russa, è come se al ritratto stilizzato del presidente americano Obama accompagnato dall’asserto yes, we can si affiancasse un’analoga immagine di Putin, a sua volta associata alla scritta no, you can’t. Per questo, vi è bisogno di una Russia geopoliticamente e militarmente solida e indipendente, che sappia frenare – nel tempo della morte del comunismo storico novecentesco – il delirio dell’estensione illimitata del fanatismo dell’economia a guida statunitense.

10351329_10205188275812427_8118183636855376319_nA provare inequivocabilmente che la Russia di Putin deve essere geopoliticamente appoggiata è non solo l’odio diplomatico e mediatico del circo giornalistico e intellettuale occidentale – cassa di risonanza del potere neocapitalistico e finanziario –, ma anche il moltiplicarsi delle basi americane in Romania e in Ungheria, nonché la speranza occidentalistica di incorporare nella Nato l’Ucraina, destabilizzandola nel 2014 tramite una “rivoluzione colorata” gestita dalla potenza americana e, in subordine, dall’Unione Europea. La monarchia universale non può tollerare la presenza di potenze antagoniste dell’ordine mondiale, globalizzato dalla grande finanza e dal mercato sovranazionale: e la Russia di Putin è indubbiamente, non meno della Cina, una potenza economica e militare non subalterna all’ordine americano.

La Russia di Putin si pone oggi come l’equivalente funzionale delle prestazioni di senso del comunismo ormai defunto. Come la pur ambigua e contraddittoria presenza di quest’ultimo nel corso della Guerra Fredda, analogamente quella dei cosiddetti “Stati canaglia” (versione globale delle efferate proscrizioni di Silla condotte dall’imperialismo umanitario), di cui non si intendono certo sottovalutare i limiti spesso profondissimi, continua a segnalare il carattere non unico, né destinale del Nomos dell’economia: e rende, per ciò stesso, possibile pensare un’alterità – rispetto sia al capitale, sia agli “Stati canaglia” stessi – in nome della quale orientare l’azione e la programmazione di futuri alternativi.

La parata a Belgrado è stata una magnifica dimostrazione di tutto questo: i Serbi ci sono, e hanno capito il ruolo fondamentale della Russia di Putin. La popolazione soprattutto l’ha capito, con buona pace di eventuali intellettuali e politici di regime che, immagino, esistano anche in Serbia e che, al soldo degli USA, proveranno in ogni modo a diffamare la Russia e a elogiare gli USA con la solita retorica propagandistica (diritti umani, ecc.). Per questo non posso che concludere con un auspicio: Serbi, non deludeteci!