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Quanto durerà la "gabbia d'acciaio europea?

di Luigi Tedeschi - 12/11/2014

Fonte: centroitalicum

 


L'Europa è chiusa in una "gabbia d'acciaio". La politica di austerity ha generato solo vittime immolate sugli altari dei parametri di Maastricht, del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio, delle riforme strutturali del lavoro, dello stato sociale, del debito pubblico. La causa prima della presente fase di recessione / deflazione sistemica è l'unificazione monetaria. La decadenza italiana si colloca nell'ambito generale di una decadenza europea, allo stato dei fatti, irreversibile.

Renzi, al di là delle declamazioni parolaie verso la Commissione Europea, si è rivelato un puntuale esecutore delle direttive europee in tema di osservanza dei parametri europei di stabilità e riforme strutturali del lavoro. Renzi infatti, ha ottenuto una minima soglia di flessibilità del parametro deficit / Pil, ma qualora i parametri non dovessero essere rispettati, la UE imporrà nuove ulteriori manovre fiscali per l'Italia suicide, pur di drenare le risorse necessarie, quali l'aumento programmato dell'IVA, che nella fase di deflazione attuale avrebbe effetti devastanti. La UE pretende inflessibilmente il rispetto dei parametri, a prescindere dalle conseguenze distruttive sulle economie degli stati membri.

La legge di stabilità, contiene una serie di  provvedimenti di natura demagogica, quali il declamato taglio di tasse di 18 miliardi, basato su agevolazioni contributive per nuove presunte assunzioni, difficilmente quantificabili nello stato di attuale recessione, su tagli alla finanza locale che si convertiranno presumibilmente in aumento della fiscalità locale. Ma la carenza più rilevante nella attuale legge di stabilità è costituita dalla scarsità di risorse destinate agli investimenti strutturali, i soli provvedimenti che potrebbero favorire la crescita. La riforma del mercato del lavoro, il "Job Act", è comunque una riforma introdotta su mandato europeo, che avrà maggior rilievo strutturale nell'economia italiana. Essa sancisce la fine del posto fisso, e con esso, la graduale scomparsa dello statuto dei lavoratori e il contratto collettivo di lavoro. Si vuole gradualmente omologare l'Italia al modello anglosassone europeo. Con le "tutele crescenti" si istituzionalizza, nei fatti, per lunghi periodi una precarietà generalizzata del lavoro, a "tutele decrescenti" del salario e dei diritti sindacali. Si realizza quindi un mutamento istituzionale della legislazione del lavoro, che comporterà un reale deprezzamento dei salari, che può generare solo ulteriore recessione e impoverimento generalizzato della popolazione.

I dati recenti sull'occupazione sono significativi del progressivo declino italiano. Alla crescita degli occupati di 82.000 unità, fa riscontro un aumento della disoccupazione del 12,6%. Tali dati non sono contraddittori: gli occupati aumentano, a fronte di un maggior numero di lavoratori in cerca di occupazione. L'aumento di questi ultimi rivela il progressivo esaurimento dei patrimoni familiari e degli ammortizzatori sociali, che finora hanno sostenuto i disoccupati. Potrebbe trattarsi di una marea crescente nei prossimi anni.

 

Immobilismo europeo e dominio tedesco                 

Dinanzi alla recessione l'Europa rimane immobile, a causa dell'insufficiente impatto dei provvedimenti della BCE e soprattutto della rigidità della Germania e dei suoi satelliti, circa la politica di austerità. La Germania vuole salvaguardare la stabilità finanziaria, a discapito della crescita. Eppure i rischi del debito sono infinitamente minori di quelli derivanti dal calo dell'inflazione che rischia di trascinare l'Europa verso una depressione economica irreversibile. La Germania nel 2014 ha rallentato la propria crescita, mentre molti paesi europei sono in piena recessione. L'immobilismo tedesco e la sua rigidità sulle politiche di austerity, non derivano da motivazioni economiche, ma da una strategia di dominio finanziario sull'Europa. Infatti, l'ulteriore decadimento europeo non può che accrescere il primato finanziario tedesco sull'Europa.

I recenti risultati degli stress - test sui bilanci delle banche europee, effettuati a seguito della unificazione europea della vigilanza bancaria, ne sono la chiara dimostrazione. Gli stress - test consistono nel vagliare l'adeguatezza del capitale delle banche a far fronte ad eventuali crisi finanziarie: gli organi di vigilanza effettuano tali test simulando plurimi scenari di crisi. Il sistema bancario italiano è risultato debole, pur avendo superato tali stress - test (a eccezione di MPS e Carige). Le banche italiane, non sono risultate esposte come quelle europee alla crisi dei titoli subprime del 2008 e pertanto non sono state ricapitalizzate dallo stato, come invece quelle inglesi, tedesche, spagnole. I parametri di tali stress - test erano concentrati più sulla sostenibilità degli impieghi relativi al credito piuttosto che su quelli legati alla speculazione finanziaria. Pertanto le banche italiane sono risultate molto meno solide rispetto a quelle tedesche (vedi Deutsche Bank), che pure sono molto più esposte negli investimenti a elevato rischio finanziario. La Germania ha inoltre preteso l'esclusione da tali controlli delle loro banche regionali, notoriamente dedite a investimenti ad alto rischio. Ne fanno fede gli scandali scoppiati nel 2008. E' stato inoltre escluso dolosamente dalle simulazioni comprese negli stress - test lo scenario della deflazione, assai probabile nel prossimo futuro. La debolezza del sistema bancario italiano richiederà ulteriori ricapitalizzazioni, oltre a comportare nuove restrizioni nella erogazione del credito, misure che contribuiscono all'aggravarsi della recessione. Le banche italiane potrebbero divenire pertanto facile preda di acquisizioni straniere in un futuro non lontano. Come non scorgere in tali manovre una strategia di dominio tedesco sull'Europa?

 

Le strategie impotenti della BCE

A fronte della recessione / deflazione, la BCE ha effettuato ulteriori manovre per quanto concerne il ribasso dei tassi di interesse, ora vicini allo zero, ha promosso l'acquisto dei titoli bancari cartolarizzati, ha adottato misure per fornire liquidità alle banche perché queste ultime erogassero credito alle imprese. Ma ormai tutti i possibili strumenti finanziari sono esauriti. Assai scarsa è stata infatti la domanda di liquidità da parte delle banche (solo 82,6 miliardi contro aspettative di almeno 100), peraltro fornita a tassi quasi a zero dalla BCE. Lo scenario deflattivo ha determinato la caduta degli investimenti e quindi la domanda di credito delle imprese. Nell'Eurozona domina l'incertezza e le prospettive di deflazione rendono i tassi non così favorevoli come sembra.

Sono rimaste del resto deluse le aspettative degli investitori circa la possibilità dell'acquisto diretto da parte della BCE del debito pubblico degli stati. A parte il veto tedesco su tali manovre, c'è da rilevare in tale contesto una carenza strutturale congenita alla stessa costruzione europea: avendo privato gli stati membri della sovranità economico - finanziaria, la UE ha reso impossibile alle banche centrali nazionali il sostegno al debito pubblico degli stati, dando luogo alle note crisi del debito, che altrimenti non si sarebbero verificate.

 

L'Europa dei rimedi impossibili

 Nell'ambito italiano sembrano definitivamente tramontate le speranze di successo delle strategie di ispirazione europea per far fronte alla riduzione del debito. Ne vogliamo elencare le più note.

- Privatizzazioni. Vi è da premettere che dopo le privatizzazioni degli anni '90, le partecipazioni statali sono state in massima parte dismesse. La quota residua delle partecipazioni pubbliche privatizzabili è pari attualmente allo 0,7 del Pil. In passato si sono rivelate di impatto modesto ed hanno profondamente inciso sull'efficienza ed il costo dei servizi: il costo economico e sociale delle privatizzazioni si è riversato unicamente sui cittadini.

- Alienazione del patrimonio immobiliare pubblico. Oltre a comportare procedure burocratiche assai lente e difficili, in questa fase deflattiva, dato il calo dei prezzi registratosi nel settore immobiliare, la collocazione degli immobili pubblici sarebbe assai difficile e assai poco redditizia per lo stato. Il patrimonio immobiliare pubblico potrebbe essere conferito in una società a partecipazione pubblica costituita a tal fine, che potrebbe emettere titoli garantiti dal patrimonio immobiliare. La gestione del patrimonio presenterebbe notevoli difficoltà e tempi lunghi per le ristrutturazioni necessarie. I titoli dovrebbero offrire tassi più elevati e sarebbero in tal modo concorrenziali a quelli del debito pubblico che potrebbe entrare in crisi.

- Riserve auree. Una società veicolo a capitale pubblico potrebbe acquistare grandi quantità di titoli di stato a fronte delle garanzie offerte dalle riserve auree. L'Italia annovera riserve auree tra le più elevate d'Europa. Ma tali riserve sono indisponibili da parte dello stato e non possono essere usate per misure di finanza pubblica, in quanto esse costituiscono una garanzia per l'Eurosistema e per la BCE.

- ESM. I fondi Esm sono posti a garanzia delle crisi del debito. Ma la consistenza di tali fondi è oggi assai esigua dopo la crisi greca, portoghese, irlandese, cipriota. Rimangono solo 450 miliardi, cifra inadeguate per l'Italia.

- Eurobond. L'emissione di titoli europei posti a garanzia del debito degli stati, oggi assai superiore nella maggioranza dei paesi dell'Eurozona al 60% del Pil. La ostilità tedesca verso gli eurobond è nota. Tale misura comporterebbe la ristrutturazione dei debiti degli stati, con conseguenze imprevedibili sui mercati e  i bilanci delle banche.

- Swap. Ossia la vendita dei vecchi titoli contro nuovi titoli a scadenza più lunga. I nuovi titoli perderebbero valore e la risposta dei mercati sarebbe negativa perché tale manovra potrebbe essere interpretata come una misura di salvataggio in presenza di un imminente default. Inoltre le banche, hanno in portafoglio 400 miliardi di titoli di stato acquistati con prestiti della BCE, che andranno restituiti nel corso del 2015: esse non possono acquistare titoli a scadenza ultradecennale.                                          

 

L'insostenibilità del debito pubblico italiano

La schiavitù del debito imposta all'Europa ha sortito i suoi effetti, rendendo la situazione italiana irreversibile. La crisi del debito appare oggi superata, con lo spread tornato ai livelli pre - crisi. Tuttavia, ci si chiede se un debito pubblico giunto al 132% del Pil, tenuto conto del calo di quest'ultimo dello 0,3% previsto per il 2014, sia sostenibile. Occorre premettere che quando lo spread era giunto a 518 punti, il tasso di interesse sui titoli di stato decennali era del 6,50%. Tuttavia, poiché il tasso di inflazione era del 3,1%, l'interesse reale era del 3,4%. Superata la crisi del debito, attualmente il tasso di interesse sui titoli decennali è del 2,70%, che, depurato dell'inflazione oggi allo 0,3%, è del 2,40%. Bisogna però rilevare che nel 2011 al tasso del 6,50%, corrispondeva un tasso medio del 4,1% e quest'ultimo, depurato dell'inflazione del 3,1%, ammontava in termini reali all'1%. Oggi invece, al tasso sui rendimenti decennali del 2,70%, corrisponde un tasso medio del 3,9% che, depurato dell'inflazione dello 0,3%, ammonta in termini di tasso reale al 3,6%. Pertanto il tasso medio attuale sul debito pubblico è superiore a quello corrente ai tempi della crisi del debito (3,6%, contro 1%). In tempi di recessione e calo del Pil, per rendere sostenibile il debito italiano dovrebbe realizzarsi una crescita del Pil oggi impensabile, tale cioè da generare un avanzo primario del 4,5%, che attualmente è del 2,6%. Se il debito è insostenibile, pretendere il rispetto dei parametri europei e del fiscal compact è pura fantascienza. La sostenibilità del debito sarebbe possibile solo mediante la ripresa dell'inflazione oltre il 3-4%, oltre cioè il previsto 2%. Bisognerebbe quindi capovolgere la logica istitutiva della Eurozona incentrato, su ispirazione tedesca, sulla politica del rigore deflattivo. Occorre infine rilevare che la massa dei risparmiatori tedesca è concentrata sugli investimenti finanziari e pertanto, una ripresa dell'inflazione rappresenterebbe per loro una svalutazione dei propri investimenti del 3-4%. Da quanto precede, emerge chiaramente come l'Europa non sia una comunità di stati, ma una proiezione su scala continentale degli interessi tedeschi. (Fonte dei dati: Luigi Zingales, «Whatever it takes» due anni dopo, il Sole 24Ore del 27/07/2014).

 

Il destino dell'Europa è irreversibile?

La crisi dunque, vista nella prospettiva della "gabbia d'acciaio" europea è irreversibile. Il problema italiano allora, non è quello del dibattito ideologico tra europeisti ed euroscettici, ma semmai, come poter restare in Europa. La crisi seguirà il suo corso e non potrà che portare l'Europa ad un tragico bivio tra la dominazione tedesca o l'autosmembramento, salva la possibilità, oggi assai remota, di una sua rifondazione su basi politiche. Sorge infatti la domanda: l'euro può essere salvato? Da chi? Ne vale la pena salvarlo? La attuale leadership tedesca impone il dogma di una stabilità attuabile attraverso le politiche di austerity. Ma la stabilità si converte in immobilità dinanzi alla recessione / deflazione che sta distruggendo gli stati membri. Di stabile, immobile, irreversibile nella storia, così come nella vita, c'è solo il rigor mortis. Le stesse strategie anticrisi della BCE si rivelano fallimentari perché semplicemente l'economia così come la finanza non possono curare i mali che hanno generato, in assenza di una politica che governi l'economia.

L'Europa è quindi senza futuro. Non può avere alcuna prospettiva per l'avvenire perché ha reciso le proprie radici storiche e culturali identitarie, vive del solo presente americanizzato, necessario, immanente, intrascendibile. Occorrerebbero soluzioni politiche, ma nel contesto italiano, non si può pretendere che una classe dirigente legittimata dalla Germania e dalla BCE possa rivendicare una sovranità cui ha rinunciato aderendo alla UE. In Europa invece l'avanzare della crisi non farà che far crescere i partiti euroscettici che, in concomitanza con la prevedibile fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE, una volta al governo potranno spezzare le sbarre della "gabbia d'acciaio" europea. Parafrasando Marx, si può affermare che con l'accelerazione della crisi, se gli uomini non sono stati in grado di trasformare le circostanze, saranno le circostanze a trasformare gli uomini.

E' stata l'Europa a creare un modello liberale oggi esteso a livello globale, Ma l'Europa è anche il luogo di nascita dello stato sociale, così come delle ideologie novecentesche tese al superamento del capitalismo. Spetta dunque storicamente all'Europa il compito di affermare il primato della decisione politica sull'economia e con essa, la creazione di un modello sociale e politico per il superamento del capitalismo.