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Avvisaglie di una controffensiva Sciita

di Alvise Pozzi - 27/01/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


Nell’intricato rebus mediorientale – dove nessuna alleanza è più certa – l’Iran ha ricominciato a tessere una strategia per arginare gli estremisti sunniti e gli Stati che li finanziano.

 

La presa del palazzo presidenziale e della sede della tv di Stato a Sana’a in Yemen e l’esplodere delle nuove manifestazioni in Bahrein – eventi differenti e distanti tra loro – evidenziano come gli sciiti siano ora passati all’offensiva. Dopo anni che avevano visto i principali alleati di Teheran inchiodati sulla difensiva dalla pressione sunnita – prima di al Qaida e poi dell’ISIS – sembra che sia arrivato il momento in cui la marea incominci a refluire. Con il congelamento del conflitto siriano, nel quale Hezbollah e le forze iraniane hanno dato un decisivo contributo – tanto da essere prese di mira dai raid israeliani – e con l’arrestarsi dell’avanzata dello stato Islamico in Irak, l’asse sciita è riuscito a ricompattarsi e a lanciare una nuova sfida agli storici nemici dell’Arabia Saudita e delle petromonarchie del Golfo, sfruttando anche il momento di ambiguità diplomatica dell’amministrazione americana. La quantomeno singolare collaborazione tra il “grande Satana” e la teocrazia iraniana per arginare l’inarrestabile avanzata del Califfato verso Baghdad, la ripresa delle trattative sul nucleare e i rapporti non certo idilliaci tra il governo di Riyad e l’amministrazione Obama – la decisione di ribassare il prezzo del petrolio non può che essere vista anche come un ammonimento nei confronti dello shale oil – hanno lasciato alcuni margini di manovra per una nuova strategia sciita.

I ribelli Houthi di religione zaydita – un ramo diverso da quello della maggioranza degli sciiti – hanno ormai saldamente in mano tutto il centro-nord del Paese e, approfittando della spaccatura all’interno della stessa realtà tribale – la confederazione degli Hashid – che reggeva il potere fino alla caduta del presidente Saleh nel 2012, sono riusciti ad ampliare la propria zona d’influenza. Sadiq bin Abdullah bin Hussein bin Nasser al-Ahmar, leader del primo gruppo etnico tribale del Paese, negli ultimi due anni aveva rinsaldato i legami con il generale Ali Mohsen al-Ahmar, che per 30 anni aveva comandato la 1ª Divisione corazzata dell’Esercito. I due sono confluiti nel Partito Islah, espressione del conservatorismo e di una visione dell’islamismo vicina a quella della Fratellanza Mussulmana, fatto che gli ha automaticamente inimicato il favore dell’Arabia Saudita. Il governo centrale retto da Hadi non solo non è riuscito a rafforzare la tenuta dell’apparato di sicurezza nazionale ma, da un lato tollerava la guerra per procura americana contro AQAP (al Qaida nella Penisola Arabica) mentre dall’altro vedeva di buon occhio l’alleanza tra Islah e le realtà salafite presenti nella regione di Saada. Gli Houthi, dopo aver sconfitto queste milizie e una volta avuto ragione della 310ª Brigata di stanza ad Amran, si sono ritrovati la strada spianata fino alla capitale. Il gruppo sciita è riuscito ad avere facilmente ragione della resistenza anche perché hanno dimostrato di avere doti di “buon governo” nei territori conquistati, essendo concilianti con le minoranze sunnite. La stessa intelligence statunitense approva l’avanzata dei ribelli Houthi in chiave anti al Qaida, mentre l’Arabia Saudita rimane alla finestra non avendo più “cavalli di fiducia” su cui contare nel groviglio yemenita.

Intanto la ripresa delle manifestazioni e degli scontri nel Bahrein – dove la maggioranza sciita mira all’instaurazione di una monarchia costituzionale al posto di quella assoluta in mano ai sunniti – trova invece l’Iran e l’Occidente ancora su fronti contrapposti. Questa “primavera araba” invisa alle cancellerie europee – specialmente alla Gran Bretagna che ha appena firmato un accordo per l’apertura di una base navale nell’emirato – incontra l’ovvio favore di Teheran e mette in serio imbarazzo gli alleati della coalizione anti ISIS. Infatti, non solo Ali Salman – capo dell’opposizione – e altri 3000 detenuti politici sono stati incarcerati negli ultimi anni ma, martedì scorso, è stato condannato pure il blogger Nabeel Rajab, reo di aver scritto del collegamento tra il Califfato Islamico e le forze di sicurezza sunnite del Paese. Le autorità del Bahrein – presenti alla manifestazione di Parigi per la libertà d’espressione (sic!) – non hanno esitato ad arrestare dissidenti, attivisti e difensori dei diritti umani, né a ricorrere alle truppe saudite del Consiglio di Cooperazione del Golfo per reprimere i manifestanti. L’Iran quindi, dopo il pantano siriano e la burrasca in Irak, è tornato in sordina a sviluppare strategie attive contro i suoi tradizionali nemici mediorientali, sfruttando le crepe che l’amministrazione Obama ha aperto con i suoi tradizionali alleati. Un rebus ancora tutto da decifrare.