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Elezioni dipartimentali francesi e demoeurocrazia liberale

di Eugenio Orso - 25/03/2015

Fonte: Pauperclass


Molti si saranno stupiti per il “ritorno” di Nicolas Sarkozy, vincitore delle elezioni dipartimentali di domenica scorsa, in Francia, e per la mancata affermazione del Front National, la cui vittoria era malevolmente prevista da molti sondaggi e osteggiata con ogni mezzo dalla sinistra euroserva di Hollande e Valls, che ha chiamato a raccolta persino gli intellettuali-manutengoli del sistema. Com’è possibile? La vittoria arride a uno come Sarkozy, già sputtanato abbondantemente, coinvolto in almeno sette inchieste (tanto per citarne una, finanziamento occulto della campagna elettorale 2012 per almeno una decina di milioni di euro), “spalla” della Merkel nell’unione dell’austerità e dei poteri forti finanziari, traditore degli interessi del popolo francese in molti sensi. Per intenderci, colui che ha riportato la Francia nel comando militare integrato dell’alleanza atlantica – tabù dai tempi di De Gaulle, che ne uscì negli anni sessanta – legandola mani e piedi all’avventurismo militare americano e all’”occidente” neocapitalista.

Non importa che l’astensione sia stata, domenica in Francia, di circa il cinquanta per cento – a segnare il distacco di metà dei francesi dalla politica liberaldemocratica – se il primo ministro socialista Valls, la cui formazione ha perso le elezioni, ha giubilato fin dai primi exit poll perché il Front National non è diventato primo partito. I socialisti euroservi hanno persino proposto alla ump di Sarkozy (e al suo alleato di comodo centrista) di partecipare al connubio del “front républicain”, per contrastare ed emarginare la Le Pen. L’astuto Sarkozy ha rifiutato, timoroso di perdere qualche consenso, ma da bravo euroservo (ex “spalla” della Merkel) ha escluso qualsivoglia alleanza con il FN. Il vero obbiettivo del partì socialiste è dunque la sconfitta della Le Pen e il mantenimento della Francia nell’unione monetaria e nell’alleanza atlantica – entrambi a rischio con la Le Pen ai massimi – cose che vuole, a ben vedere, anche il redivivo Nicolas Sarkozy.

La vicenda delle elezioni dipartimentali francesi, disertate dalla metà degli oltre quaranta milioni di elettori chiamati alla urne, ci fa comprendere che è molto difficile, se non impossibile, per una forza di vera opposizione, affermarsi stando alle regole del sistema, giocando in modo “democratico”. L’obbiettivo principale delle formazioni politiche euroserve francesi, primo fra tutti il penalizzato partito socialista, è sbarrare la strada alla Le Pen, e per questo va bene anche il ritorno di uno come Sarkozy, che di danni al paese ne ha già fatti molti durante la sua presidenza.

Quanto precede getta un’ombra sinistra, non solo in Francia, ma anche in Italia e in gran parte d’Europa, sulla possibilità di cambiare stando all’interno del sistema e accettando in toto le sue regole. Le forze euroserve, fittiziamente divise in sinistra e (centro-)destra, hanno il pieno controllo della situazione, non solo nel parlamento europeo dai pochi poteri effettivi, ma quasi ovunque anche a livello nazionale (Francia, Italia, Grecia, Spagna, eccetera, con l’eccezione lodevole dell’Ungheria). Costoro sono, nei fatti, i ringhianti cani da guardia della liberaldemocrazia ammaestrata, del “progetto europeo” e degli interessi del grande capitale finanziario.

Potrà il Front National, in futuro, sfondare il muro “bipartisan” creato dai socialisti in arretramento e dall’alleanza di centro-destra di Sarkozy (ump e udi) rinvigorita dai risultati delle dipartimentali? Gli anticorpi liberati dal sistema liberaldemocratico, che riflette negli stati nazionali la volontà egemonica unionista e l’assolutismo della dominazione finanziaria, sembrano sufficientemente forti per impedire un ricambio politico reale. Lo constateremo una volta di più nelle future presidenziali francesi. Se la Le Pen manterrà e aumenterà il consenso di cui gode, andando al ballottaggio, si formerà sicuramente un “front républicain”, formale o informale, contro di lei, un po’ com’è accaduto nelle presidenziali francesi del 2002, quando al ballottaggio con il “gollista” Chirac ci andò il padre della Le Pen, Jean-Marie. Chirac al primo turno aveva rastrellato un magro venti per cento dei voti, mentre Le Pen padre lo tallonava con circa il diciassette. Al secondo turno, con un aumento dei partecipanti al voto rispetto alla tornata precedente, Jean-Marie Le Pen prese praticamente come prima e Chirac un clamoroso ottantadue per cento. Ciò dimostra che la dicotomia politica destra-sinistra, in liberaldemocrazia, si evoca quando fa comodo, ma quando non fa più comodo, i socialisti (e, in Francia, i resti dei comunisti) votano tranquillamente in massa per un esponente della destra, qual era a suo tempo Jacques Chirac … ma potrebbe tranquillamente accadere il viceversa. Il sistema e le sue regole, in conclusione, sono fatti per sbarrare la strada – finora con successo – a una vera opposizione e ciò accadrà, puntualmente, in occasione delle future presidenziali del 2017. Non ci sono problemi solo in Italia, ma anche in Francia, paese in cui la democrazia “funziona”, come si amava ripete da noi soprattutto in passato … Chiaro che una siffatta democrazia funziona, ma non nel senso che si fa credere al popolo bue, bensì, all’opposto, impedendo alternative concrete alle politiche neoliberiste e alla moneta unica europide.

La democrazia liberale, unica possibile e ammessa in occidente, funziona così come la possiamo osservare oggi, in molta parte d’Europa, con parlamenti che ratificano “riforme” elitiste, applicate per conto troika da governi non eletti – tipicamente il caso italiano, da Monti in poi – oppure con schieramenti “bipartisan” di forze politiche euroserve che isolano con un cordone sanitario partiti di vera opposizione – come nel caso francese, in cui si crea intorno al Front National, debitamente “diabolisé” (demonizzato), un vero e proprio “cordon sanitaire”. Poi c’è la vicenda greca, molto più drammatica, in cui si permette che vinca le elezioni una forza “di sinistra radicale” (o supposta tale), ma pur sempre sottomessa al “progetto europeo”, alle sue fasulle mitologie e all’euro-dominio. Una forza come syriza, che parte con un programma elettorale ambizioso, volto a salvare, almeno a parole, la popolazione dalla disoccupazione endemica e dalla fame, ma che poi “tratta” con troika e germania abbassando il capo e rimangiandosi quasi per intero il suo programma. Anche questo è accaduto in un quadro di “legalità democratica” e in accordo con i “principi liberali di democrazia”. Il risultato finale è che la dittatura della finanza e dell’austerità continua imperterrita.

Di recente, qualche pubblicista liberaldemocratico in vena di offendere (senza far nomi, Lucio Caracciolo, su quel foglio di “papierhygiénique” che è repubblica) si è permesso di battezzare il supposto regime autoritario di Vladimir Putin in Russia, per screditarlo, con l’espressione “democratura”, originata dalla crasi delle parole democrazia e dittatura. Cioè, come capziosamente si suggerisce, dittatura travestita da democrazia. Peccato che l’autorità a Putin la dia con maggioranza schiacciante l’intero popolo della Federazione Russa, che Russia Unita sia il vero e proprio partito dei russi e le elezioni, abbastanza partecipate, non siano pilotate ma libere! Questo, però, si cerca di metterlo in ombra …

Per ritorsione, possiamo battezzare la liberaldemocrazia occidentale, così come la osserviamo oggi in vari paesi (Francia, Italia, Grecia, eccetera), con l’espressione ancor più convincente di “demoeurocrazia”. Spieghiamo il senso della crasi. “Demo” non vuol dire popolo, ma è semplicemente una simulazione (come i demo dei videogiochi) di partecipazione popolare e di rispetto della volontà del popolo, a uso e consumo dei gonzi, mentre “eurocrazia”, o burocrazia europea al servizio delle signorie del denaro e della finanza, è il necessario riferimento a chi veramente controlla il sistema e di questo beneficia. In pratica, una simulazione (demo) per nascondere chi detiene veramente il potere e lo esercita (eurocrazia).

Se ci riflettiamo sopra, se consideriamo i nostri interessi personali e di classe e guardiamo alla realtà sociale, una solida “democratura” in stile Putin, a questo punto, sarebbe per noi molto più vantaggiosa della tanto celebrata “demoeurocrazia” occidentale! Sicuramente, potrebbe arrestare l’avanzata della povertà di massa e la decadenza dello stato, senza che sia necessaria alcuna simulazione ipocrita di partecipazione e rispetto della volontà popolare …