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Il muro d'Israele

di Franco Cardini - 31/08/2015

Fonte: Franco Cardini

 

Credo sia noto a tutti i venticinque lettori di queste righe settimanali e a tutti quelli che mi conoscono anche solo un po’ che io voglio un gran bene al mio “vecchio” amico Matteo Renzi; ed è un’amicizia che risale ad almeno un decennio fa, quando egli era ancora Presidente della provincia di Firenze. Ed era davvero, allora, appena un ragazzino, ma accidenti se di grinta ne aveva; e anche già di esperienza; nonché, a mio avviso, di stoffa politica da vendere

D’altronde sia lui sia i suoi più prossimi e diretti collaboratori (anche fra i quali ho alcuni amici) sanno bene che affetto e amicizia sono un conto, consenso un altro. Vorrei sinceramente essere d’accordo con le scelte di Matteo; lo sono solo talvolta, e gli riconosco volentieri doti di abilità, di “fiuto” e di energia non comuni (insieme a un’invidiabile fortuna, di quelle con la “C” maiuscola come diciamo noialtri tra Firenze, Bagno a Ripoli, Rosano e Pontassieve). Ma spesso dissento da lui.

E lui lo sa. Non che gliene importi, certo. Però lo sa. Narra una leggenda metropolitana mi dicono abbastanza diffusa (ma io a mia volta relata refero e non ho mai avuto modo di verificarne la veridicità) che una volta, non so quando né in quale contesto, qualcuno chiese a Matteo perché non mi avesse mai offerto nulla tra i molti scranni, poltrone, poltroncine, sedie a sdraio, seggiole, sgabelli e strapuntini – ciascuno dotato magari della sua brava prebenda – che i leaders usano distribuire ad amici, collaboratori, vassalli, clientes e/o postulanti vari. La distratta risposta sarebbe stata: “Mallui ‘ummà miha ma’ hiesto nulla” (che tradotta in italiano suonerebbe: “Ma egli non mi ha mai domandato alcunché”); e alla replica che vabbè, in fondo si tratta di un vecchio professore che non è uso chiedere ma che comunque eccetera, il Presidente avrebbe sentenziato un sicuro e tagliente: “Oh, bravi! Così alla prima occasione mi vota contro!”.

Non so se tutta la storiella sia vera. Se non è vera, è ben trovata. Se risponde a verità, ti ringrazio, Matteo. Quella sì che, se davvero l’hai mai pronunziata, è stata una gran bella dichiarazione di stima e di fiducia. Stima, fiducia e anche amicizia per un onest’uomo, quale sono sicuro che mi ritieni essere.

Perché al Presidente Renzi auguro ogni bene e un crescente successo, ma confesso come dicevo di non approvare sempre le sue scelte. Non concordo con le sue evidenti simpatìe per il liberismo in materia politica e sociale; non approvo il suo deciso e spiccato atlantismo in politica estera; penso che potrebbe fare di più in termini d’impegno per la scuola, l’università e la cultura (un tasto rispetto al quale è purtroppo poco sensibile), che la riforma del senato e la riduzione delle auto blu non siano state poi gran buoni affari e che la sua “buona scuola” sia tutto sommato un bluff. Temo soprattutto che, come del resto la stragrande maggioranza dei politici italiani – dei quali è senza dubbio attualmente il migliore: e di parecchie spanne sugli altri – tenda a confondere la politica con la tecnica parlamentare e la propaganda elettorale. Vorrei che tra i suoi modelli egli tenesse un po’ meno conto di Tony Blair e molto più di papa Francesco, che viceversa temo non gli sia granché simpatico. Qualcuno ha paragonato Renzi al Mussolini dei primi Anni Venti, per abilità parlamentare e per cinismo: non credo che gli avrà fatto piacere, e comunque non lo avrà dato a vedere, ma ciò mi fa sorridere quando penso che il Presidente ama definirmi “un nazifascista di sinistra”. Così impara.

Quanto ai modelli, vorrei che semmai si ricordasse un po’ più spesso di la Pira. Durante uno dei nostri ultimi colloqui, risalente ormai ad alcuni mesi fa, io lo consigliai con calore e convinzione di riprendere a Firenze – anche nel suo immediato interesse politico – i famosi “Colloqui Mediterranei” lapiriani, dei quali si sentirebbe oggi un gran bisogno. Quando era sindaco, il mio sogno era di vederlo rivendicare in prima persona quel ruolo di “Ago della Bilancia” (come avrebbe detto il vecchio Guicciardini) che Lorenzo il Magnifico ebbe nella politica italiana del secondo Quattrocento e Giorgio la Pira – “ambasciatore senza feluca” che riuscì ad arrivare anche ad Ho Chi Minh – in quella orientale e mediterranea degli Anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso. Perché l’Italia di quegli anni era come oggi un paese a sovranità limitata, disseminato di basi USA e NATO: ma poteva tuttavia permettersi una sua politica estera quasi-indipendente, come dimostrarono politici quali Amintore Fanfani, Giulio Andreotti e Bettino Craxi.

Ma – a parte qualche prurito e qualche velleità filorusse o addirittura filoiraniane di Silvio Berlusconi – in quel campo tutto si è spento. Renzi non dimostra troppo interesse né per la politica estera, né per quella sociale: eppure dovrebbe; non è certo il caso di lasciare la prima “agli americani”, come dice lui (e dopo le presidenziali USA del novembre 2016 lo sarà ancora meno!), né di abbandonare la seconda a Draghi o a Marchionne.

Eppure, un segno “forte” che indica come il Presidente cominci ad aver voglia di far politica estera (al di là della delega al buon Gentiloni), Renzi l’ha dato. Magari, ancora una volta, seguendo i suggerimenti di qualche membro del suo staff il cuore del quale batte sempre sulle belle pendici un tempo aride oggi alberate e sovrappopolate tra Mar di levante e colline della Giudea. Non c’è dubbio che l’avvìo dei colloqui tra la comunità internazionale e l’Iran, voluti al pari del “disgelo” con Cuba da un Obama che troppi e troppo presto avevano qualificato un’anatra zoppa (e che invece, con quei due colpi gobbi, ha seriamente messo in difficoltà fino dai suoi primi passi il futuro staff presidenziale del suo paese, se esso sarà quel che molti di noi temono), sia stato un colpo da maestro ed abbia acceso grandi speranze. Ma ha riempito di disappunto il premier israeliano Netanyahu, ch’è uno dalle reazioni anche diplomaticamente parlando rapide: chi si ricorda il suo exploit dell’11 gennaio di quest’ anno a Parigi, quando – ancora evidentemente adirato per il voto del parlamento francese in favore dell’authority palestinese del dicembre precedente – colse al volo la pur triste occasione degli attentati del giorno prima per un memorabile (ma diplomaticamente irrituale) discorso nella Synagogue de la Victoire in presenza di un attonito Hollande, o quello di Washington, quando parò al Congresso senza essersi nemmeno degnato d’una visita di cortesia al primo Cittadino degli States, sa ch’è uno del quale si può dire di tutto meno che tema gli incidenti diplomatici.

Ebbene: subito dopo l’avvio dei colloqui tra consiglio di sicurezza dell’ONU (i famosi “Cinque più Uno”) e governo iraniano, con la relativa pubblica sfuriata di Netanyahu (e in termini anche minacciosi, con quell’allusione a misure unilaterali di “difesa”), ecco che Renzi invita il premier israeliano nella sua Firenze, cosa avvenuta appunto pochi giorni fa; e, tra i rituali baci, abbracci e strette di mano, incassa con impassibile sorriso le sue intemperanze sul “pericolo nucleare iraniano peggiore di quello dell’ISIS”, un parere sul quale si può anche discutere – come qualunque altro parere – ma che non corrisponde esattamente alla linea diplomatica ufficiale del governo italiano. D’altronde, bisogna dire che immediatamente dopo la prima sfuriata del premier israeliano quello italiano si era già in qualche modo offerto, magari en passant, di fungere da mediatore tra governo israeliano e ONU; e la visita in Israele di Renzi del luglio scorso è appunto servita a questo, a circoscrivere un dissenso che peraltro resta incapsulato in una sorta di relazione privilegiata d’amicizia italo-israeliana. E’ piuttosto impensabile che tutto ciò non sia stato precedentemente e accuratamente concordato con la Casa Bianca.

E allora io mi permetterei di suggerire al presidente di approfittare di questo momento che gli offre un qualche vantaggio diplomatico, sia pure in un difficile, delicato contesto. Provi a fare un passo avanti che lo metterebbe in ottima luce anche presso la Santa Sede e i cristiani del Vicino Oriente. Suggerisca all’”amico Bibi” di tornare sulla sua decisione a proposito del muro di Beit Jala.

CremisanBeit Jala è un piccolo villaggio a sud-est di Betlemme, abitato principalmente da arabi cristiani e sottoposto all’Authority palestinese, per quel po’ che tale istituzione vale. Si tratta di un piccolo gioiello nella vallata di Cremisan, nota per i suoi oliveti e i suoi vigneti e nella quale sono insediati istituti religiosi anche cattolici (i salesiani, ad esempio) che con la loro ottima produzione vitivinicola danno lavoro a molti palestinesi dei dintorni, senza ovviamente distinguere tra cristiani e musulmani. Ma, nell’area, i cristiani sono in maggioranza.

Ebbene: lo stato d’Israele – nonostante le proteste degli abitanti e i dubbi della stessa Corte Suprema, la massima autorità giuridica israeliana – ha da poco ripreso in quell’area la costruzione di un nuovo tratto di quello che eufemisticamente viene definito la “barriera di sicurezza” (una muraglia lunga 732 metri, costruita a partire dal 2002 e costituita da pannelli prefabbricati di cemento armato alti otto metri provvista di torrette di controllo e posti di guardia e coronata da matasse di filo spinato munito di lame taglienti) che serpeggia per tutta la Giordania e s’insinua attorno a Gerusalemme, violando in più punti la “linea verde” concordata nel 1967. L’ampliamento dell’opera in cemento, per costruire il quale dal 17 agosto scorso i bulldozers israeliani hanno cominciato a letteralmente sradicare i millenari olivi della valle di Cremisan e a compromettere circa 200 ettari di vigne e di oliveti confiscati a un popolo già impoverito, servirà – si giustificano le autorità israeliane – a garantire la sicurezza dell’insediamento di Gilo, un “nuovo quartiere ebraico” costruito sui territori palestinesi confiscati dagli israeliani dopo la guerra del 1967. Gli abitanti dell’area hanno protestato ripetutamente e pacificamente: ma sono stati repinti ed espulsi armi alla mano.

Va notato che il “muro”, avviato come si diceva nel 2002, è stato dichiarato illegale da una decisione della Corte Internazionale di Giustizia nel 2004: ma la sua costruzione è proseguita. A sua Volte la corte Suprema israeliana, che fa quel che può, nel gennaio scorso aveva dato ragione agli abitanti di Battir, un insediamento palestinese molto noto anche per le tracce archeologiche di terrazzamenti agricoli e di opere d’irrigazione risalenti ai tempi di Gesù. In tale occasione, il Ministero della Difesa ha dovuto obbedire ai giudici e il cantiere del “muro” è stato deviato. La gente di Beit Jala e di alcuni villaggi vicini era fiduciosa in un esito del genere: nel marzo-aprile, al termine di una battaglia giuridica durata due lustri, la Corte Suprema aveva dato loro ragione disponendo opportune misure di sicurezza della della valle di Cremisan.

Il Vaticano, preoccupato per i due insediamenti religiosi dell’area e affiancato da alcune ONG, preme a sua volta da tempo per una soluzione che salvaguardi il paesaggio, la produzione agricola, la circolazione degli uomini e dei beni e, diciamolo, la buona convivenza. Ma il Ministero della Difesa d’Israele non si è dato per vinto: ha tempestato l’Alta Corte di nuove proposte e di nuovi progetti finché, il 6 luglio scorso, essa ha gettato la spugna e ha autorizzato al ripresa dei lavori. Tuttavia, si è preferito far passare ancora qualche settimana, arrivare alla piena estate (e quasi all’incipiente vendemmia…) per riavviare i lavori. Sarebbe un bel regalo per la Santa Sede se il governo italiano, anche semplicemente tramite il suo ambasciatore, chiedesse a quello israeliano qualche notizia su Beit Jala. Dove tra l’altro vanno spesso i pellegrini del nostro paese. Tra una decina di giorni ne arriveranno una buona cinquantina, guidati da me: e sarebbe bello se potessi annunziar loro che il nostro governo sta cercando d’impedire che quel serpentone di cemento armato inghiotta le viti e gli olivi di Cremisan.

Presidente Renzi, caro Matteo, la storia d’Israele e della Palestina è piena di questi grandi e piccoli abusi, di queste più o meno odiose e quotidiane prepotenze che non giovano a nessuno: probabilmente nemmeno agli abitanti di Gilo. Di queste pietruzze è lastricata tra l’altro – convinciamocene – la strada che porta molti alla disperazione, e qualcuno di quei disperati all’odio per chi li angaria e quindi alla simpatia per il terrorismo jihadista di qualunque gruppo o osservanza. Fallo notare a qualche tuo amico e collaboratore che ti spinge sistematicamente ad appoggiare qualunque scelta venga da Israele. Chiedi al tuo amico e collega Netanyahu ragione dei metri di muro di Beit Jala, che tolgono lavoro e libertà a dei cristiani: anche se egli ti risponderà probabilmente, nella migliore delle ipotesi, di non poter fare a meno dell’appoggio politico e parlamentare dei partiti oltranzisti che premono sistematicamente per soluzioni del genere.

Sarebbe bello che a Firenze il Presidente Renzi riprendesse il progetto di La Pira, il sogno di un Mediterraneo più libero, più sereno, più pacifico, più giusto. Ma la libertà e la sicurezza cominciano anche da lì, proprio da lì, dai vigneti e dagli olivi della Giudea che, caro Matteo, somigliano tanto a quelli della nostra Toscana là lungo l’Arno, tra Pontassieve e Firenze. Sarebbe bello far arrivare a Netanyahu, insieme, una partita di vino di Cremisan e una del nostro vino della Rufina. Sono certo che Melini o Folonari, se già non lo fanno, ne produrrebbero volentieri un bel po’ di bottiglie striktly kosher col quale “Bibi” potrebbe brindare alla salute della gente della bella valle salvata da lui e da te.