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False flag

di Enrica Perucchietti - 20/07/2016

False flag

Fonte: Italicum

 


 

   1) Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del bipolarismo USA - URSS, l'espansionismo americano ha assunto una dimensione globale. La creazione di un "nuovo ordine mondiale" comporta quindi la destabilizzazione degli stati e di tutte le aree strategiche non omologate al dominio capitalista occidentale. La globalizzazione dunque, non è davvero un fenomeno scaturito dal progresso scientifico - tecnologico dispensatore di libertà e democrazia per i popoli, ma un ordine imperialista a guida americana che si afferma attraverso guerre, destabilizzazione degli stati, schiavitù del debito, crisi economiche ricorrenti con impoverimento progressivo dei popoli. In tale contesto, le false flag sono un elemento ormai generalizzato e ricorrente, che permette di scatenare guerre, manipolare l'opinione pubblica, imporre repressione e restrizioni delle libertà: tutte scelte e provvedimenti altrimenti invisi ai popoli. La false flag non è più da considerarsi un elemento di un tattico di natura politico - militare già ricorrente nella storia. Non è invece un elemento strutturale, permanente ed indispensabile per creare un nuovo ordine mondiale che altrimenti sarebbe impossibile imporre?

 

R: Dall’antichità a oggi, le strategie belliche e soprattutto i metodi di manipolazione di massa si sono affinati. Le operazioni sotto falsa bandiera sono sempre esistite, non sono figlie della nostra epoca, ma oggi si sono evolute e sono diventate “endemiche”. Il cosiddetto “terrorismo sintetico”, espressione coniata dallo storico Webster Tarpley, si occupa di creare i presupposti per poi poter raccogliere e sfruttare delle opportunità calcolate con cura. In alcuni casi di lasciare che gli eventi “avvengano” per poi strumentalizzare l’accaduto, anche qualora si tratti di tragedie e di perdita di vite umane. Altre volte si stratta di pianificare attacchi sotto falsa bandiera per poter conseguire un determinato obiettivo, dopo aver manipolato degli “utili idioti” che poi divengono capri espiatori e cooptato talpe, spie, dirigenti, informatori. La tecnica ovviamente necessita della diffusione capillare dei Mass Media e vi sono anche episodi creati esclusivamente a livello virtuale per influenzare l’opinione pubblica. Siamo ormai nella società dello “spettacolo” (citando Guy Debord) e diventa più semplice per il potere creare e diffondere notizie artefatte che dover inscenare realmente degli avvenimenti. Anche creare un nemico esterno/capro espiatorio per coalizzare l’opinione pubblica contro questo fantomatico pericolo è uno dei trucchi più vecchi del mondo. Per questo le false flags sono ormai uno strumento strutturale, perché strutturale è ormai diventata la manipolazione delle masse. Lo Stato totalitario, scriveva George Orwell in Letteratura e totalitarismo «fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le azioni». La tematica è già stata ampiamente trattata ne La Fabbrica della manipolazione (Arianna editrice, 2014) e non è questa la sede per tornarci. Però la questione del controllo attraverso la manipolazione dell’immaginario e dell’emotività delle masse è fondamentale per comprendere come funzioni la fase successiva a un attacco sotto falsa bandiera. Se una volta la tecnica della false flag serviva soprattutto per ottenere quel casus belli utile a giustificare l’ennesimo conflitto che in uno stato normale il popolo non avrebbe mai accettato, oggi vengono soprattutto utilizzate per introdurre limitazioni alla privacy e alla libertà individuale e per promuovere un senso di terrore generalizzato e costante. È l’esportazione della “teoria dello shock” su larga scala che viene somministrata alle masse a tempi ciclici e ripetuti in modo che le persone non possano mai sentirsi tranquille, ma siano sempre sotto tensione e quindi più facilmente manipolabili.

 

2) Le false flags sono uno strumento di dominio con cui le lobby del potere economico - finanziario si impongono e contribuiscono a determinare la legittimazione politica ed ideologica di strategie finalizzate al profitto illimitato a danno dei popoli e degli stati. Pertanto, sotto le mentite spoglie delle competizioni politiche, delle decisioni degli organismi internazionali, si celano strategie dalle finalità inconfessabili e la stessa democrazia si tramuta in un ordinamento in cui si svolge l'incontro - scontro tra oligarchie economiche concorrenti. La democrazia non è quindi nella realtà una istituzione fondata sulla sovranità popolare, ma una tecnica di dominio delle oligarchie economiche. Non emerge allora dall'analisi della realtà storica contemporanea l'impossibilità della democrazia?

 

R: Emerge il continuo sforzo da parte del potere di manipolare e soggiogare le masse per ottenere consenso. Non sono sicura che sia impossibile la democrazia, però attualmente l’opinione pubblica è talmente in-formata, manipolata che è come se ai governanti non sfuggisse più nessuna maglia di questo ingranaggio. Siamo soprattutto sempre più in balia di una forma di indottrinamento mediatico e politico, culturale e persino antropologico, teso ad abbattere tutte le identità e, in definitiva, a spersonalizzare l’individuo per renderlo, anzi renderci tutti, più docili, malleabili, omologati e omologabili, quindi controllabili. Dopotutto, parafrasando lo scrittore inglese Aldous Huxley, l’obiettivo primario dei governanti è fare in modo che i cittadini diano fastidio il meno possibile. Rimango però dell’idea che se vengono messe in scena tutte queste forze capillari per manipolare il nostro inconscio e le nostre coscienze, ciò significa che il nostro consenso (al momento) conta ancora qualcosa. Il fatto è che dovremmo riappropriarci della nostra coscienza critica, del nostro immaginario, per divenire soggetti pensanti e per scollegarci dalle trame del potere.

 

3) La false flag ha la sua origine nella necessità di creare un nemico, un nemico che muta a seconda delle circostanze e degli interessi geopolitici di riferimento (Saddam, Milosevic, Gheddafi, Putin ecc...), ma che costituisce l'archetipo del male assoluto, della minaccia virtuale incombente sull'ordine mondiale americano identificato con i diritti umani, la libertà, la democrazia ecc... Senza il male assoluto, non sussiste il bene assoluto rappresentato da un ordine mondiale che non impone le scelte più giuste, ma le uniche possibili dinanzi all'incombere del male assoluto. La false flag costituisce peraltro l'essenza stessa dell'economia finanziaria, che, mediante la diffusione mediatica del panico collettivo, dell'instabilità permanente, genera le sue "tempeste perfette", realizza le proprie speculazioni su scala globale ed esorcizza i propri fallimenti. Fino al secolo scorso, la ragion d'essere delle istituzioni era rappresentata dalla stabilità, dalla certezza del diritto, dalla tutela sociale dei cittadini. Dinanzi agli attentati efferati, alle calamità naturali, all'incertezza del futuro, le istituzioni infondevano nel popolo fiducia, senso dello stato, e della legalità. Oggi invece, attraverso le false flag le istituzioni esasperano il senso di insicurezza diffuso, impongono lo stato di emergenza. Le false flag sono un elemento atto a generare l'emergenza permanente. La virtualità mediatica si impone alla realtà. La nostra stessa vita, sia individuale che sociale, è dominata dalla emergenza e dalla precarietà sia economica che esistenziale, perché resa funzionale alla alienazione collettiva della realtà virtuale. La nostra stessa vita è divenuta un prodotto di una false flag immanente.

 

R: Dedico un intero capitolo nel mio libro alla questione del “Nemico pubblico numero uno”, ossia alla necessità di compattare l’opinione pubblica contro un nemico reale o immaginario che sia. Ogni società ha bisogno di un nemico per coalizzarsi contro di esso. Non importa se la minaccia esterna è virtuale o inventata. Il nemico rappresenta una valvola di sfogo per la frustrazione e l'aggressività delle masse, catalizza su di sé la violenza che potrebbe sfociare altrimenti in gesti inconsulti. Ciò è stato rappresentato alla perfezione da George Orwell nel suo 1984 con la figura di Emmanuel Goldstein, il Nemico supremo del Partito. Per scaricare la violenza collettiva contro la minaccia esterna, il Grande Fratello ha istituzionalizzato i due minuti d'odio. Si tratta di una pratica collettiva che viene esercitata sui luoghi di lavoro o dove sia possibile. Ci si riunisce al segnale emesso dagli altoparlanti davanti un teleschermo che proietta immagini del nemico supremo, Goldstein, e sequenze violente di guerra accompagnate da suoni e rumori fastidiosi studiati per coinvolgere gli spettatori. Dopo pochi secondi il pubblico inizia a inveire contro il nemico o lo schieramento con cui ci si trova in guerra in quel momento, imprecando e lanciando oggetti contro il teleschermo.

I due minuti d'odio sono la rappresentazione moderna più sofisticata di demonizzazione di un capro espiatorio (e qua ci si potrebbe ricollegare agli studi di René Girard). Il meccanismo è funzionale al mantenimento del controllo sul popolo e la scelta del Nemico è stata fatta su un ex membro della Partito. Il capro espiatorio, cioè, è un traditore, un apostata, è qualcuno che faceva parte della comunità ma poi l'ha tradita e per questo va espulso, temuto e odiato.

Goldstein è anche il leader de "La Confraternita", un'organizzazione segreta che combatte il Partito con attività controrivoluzionarie e di sabotaggio, che prefigura straordinariamente Al Qaeda e il suo famigerato capo, Osama Bin Laden.

La sua immagine è ovunque ma egli, come un'ombra nella notte, disturba il sonno dei cittadini con l'eco dei suoi misfatti e le sue future possibili cospirazioni. In una società in cui non solo il presente ma anche il passato vengono continuamente riscritti, in cui le alleanze mutano senza lasciare segno di tale ambiguità, la popolazione ha un oggetto contro cui riversare le proprie paure e la propria violenza. E la società ha uno stratagemma per poter controllare e manipolare la popolazione attraverso il terrore e una minaccia esterna consolidata.

Per controllare le masse e giustificare uno stato di guerra permanente («La guerra è pace» è uno dei motti del Partito), il potere deve aver livellato, spersonalizzato, svuotato, omologato e poi riempito di propri contenuti i cittadini. Ne abbiamo parlato in altre opere e non ci torneremo su in questo ambito. La minaccia esterna, il nemico pubblico, però, si inseriscono al culmine di questo processo di manipolazione e controllo delle masse.

Anche Herbert Marcuse aveva esplicitato la strategia per cui il Potere crea una falsa minaccia per controllare la popolazione attraverso la paura: «la società come un tutto diventa una società fondata sui bisogni della difesa. Perché il Nemico è un dato permanente. Non fa parte della situazione di emergenza ma del normale stato di cose. Esso avanza minacce in tempo di pace non meno che in tempo di guerra». Le masse destabilizzate dal terrore di una minaccia esterna iniziano a diffidare di tutto ciò che le circonda e che non si livella sul consenso comune, diventando solerti controllori e accettando misure di restrizione della privacy che normalmente non avrebbero tollerato.

Il “nemico” può essere la minaccia di una pandemia (Sars, Ebola, Zika, etc) oppure politica (il comunismo) o ancora terroristica (Al Qaeda o Isis) o personale (Castro, Noriega, Miloševic, Chavez, Putin,  Bin Laden, Mullah Omar, il Califfo autoproclamato dello Stato islamico e leader di Isis Abū Bakr al-Baghdādī, etc). Se osserviamo però le caratteristiche con cui vengono delineati e offerti al pubblico i "nemici" di turno, noteremo uno schema di fondo ripetitivo e in qualche modo banale che ricalca in effetti l'Emmanuel Goldstein orwelliano. Più passa il tempo più le caratteristiche persino grottesche del “nemico” di turno si assomigliano, come in un virtuale passaggio di consegne (così è successo da Al Qaeda a Isis).

 

4) Il nuovo ordine mondiale, così come l'avvento della UE, non hanno prodotto sviluppo, né solidarietà, né pacificazione in Europa. Anzi, sono tornate le guerre, i conflitti etnici, l'egoismo nazionale, lo sfruttamento economico, il degrado sociale. Con l'ausilio delle false flag si sono provocate le guerre etniche in Jugoslavia e Kosovo, oltre alla aggressione della Libia, della Siria dell'Ucraina. La ragion d'essere di tali guerre si identifica con la politica espansionista americana verso l'Eurasia. Tuttavia, tali eventi, non avrebbero potuto aver luogo senza la complicità, la partecipazione diretta, se non l'iniziativa degli stati europei, in primo luogo della Francia, della Gran Bretagna, della Germania. È inutile e fuorviante condannare l'imperialismo americano e la strategia delle false flag della CIA, quando è l'Europa stessa, uno strumento docile e connivente degli USA. L'Europa è l'artefice dei propri mali, della sua assenza di sovranità. La volontà di adesione al TTIP dei governi europei ne è la dimostrazione oggettiva.

 

R: L’Europa è diventata uno strumento docile dell’espansionismo americano a suon di trattati e colpi di scena, grazie a crisi ripetute e alla connivenza dei governi che hanno gradualmente abdicato alla propria sovranità nazionale. La questione del TTIP è esemplare (così come in passato lo sono stati il Fiscal Compact e il MES), ma se ora se ne parla (grazie a Greenpeace e a Wikileaks), ci si dimentica di notare come sul tavolo ci siano anche altri trattati come il TISA o il CETA. Il Tisa, per esempio, è l’erede del Doha Round, una serie di negoziati iniziati a Doha in Qatar nel 2001 e condotti all’interno del WTO per la globalizzazione e la liberalizzazione dell’economia. Con il fallimento del Doha Round nel 2011, gli Stati Uniti e i Paesi che spingono per globalizzazione e liberalizzazioni selvagge, hanno continuato le trattative in segreto in modo da evitare soprattutto le proteste no-global che avrebbero potuto rendere partecipe l’opinione pubblica della negoziazione. Per evitare cioè che i «cittadini diano fastidio» con le loro proteste, citando ancora Huxley, i Governi hanno semplicemente deciso di spostare la negoziazione in luoghi segreti, continuando a deliberare all’insaputa di miliardi di persone il cui futuro, invece, potrebbe dipendere da questo.

Così facendo rischiamo di ipotecare la legislazione dei Paesi firmatari ai capricci delle multinazionali, divenendo di fatto sempre più ostaggio delle oligarchie. Ciò porterebbe alla creazione di un mercato interno tra Europa e Stati Uniti in cui le regole e le priorità non verranno più determinate dai governi democratici, ma modellate da organismi tecnici sovranazionali in base alle esigenze delle lobby e dei grandi colossi economici.

 

5) Nel suo libro si definisce la globalizzazione come una nuova forma di totalitarismo capitalista. L'essenza totalitaria del capitalismo assoluto è evidente. Tuttavia tale totalitarismo non può essere assimilato ai totalitarismi novecenteschi fondati su ideologie di natura utopica. La globalizzazione non è una utopia degenerata in distopia. Il capitalismo globale non ha progetti utopici da realizzare. Esso impone un suo ordine economico e politico che non rappresenta né il migliore dei mondi possibili (nemmeno potenzialmente), né il male minore di mali possibili, ma è un sistema che di per sé si impone come immanente a tutta la realtà dell'uomo e come tale, è immutabile, astorico, intrascendibile. Realizza semmai lo sradicamento culturale del pensiero utopico.

 

R:  Dietro ogni promessa di pace perpetua fatta da una potenza che aspira al dominio globale si nascondono sempre intrighi e il rischio che la pace promessa si trasformi in un cimitero per coloro che si sono illusi, credendo ciecamente a un’utopia. La storia insegna che le utopie cedono troppo spesso il passo a terrificanti distopie. Come scriveva il filosofo Karl Popper, «Chiunque ha tentato di creare uno Stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà realizzato un inferno». Credo però che ci sia una forma di distopia alla base del processo di globalizzazione delle coscienze che stiamo vivendo e che la dottrina di riferimento sia il transumanesimo con il suo mito dell’evoluzione e del progresso e le sue divinità titaniche (Prometeo, Lucifero, ecc.) di riferimento, mirante a migliorare/potenziare le capacità umane (delle élite ovviamente) e a spersonalizzare omologare la restante massa. Non a caso il termine è stato coniato da Julian Sorel Huxley, fratello di Aldous, cofondatore e primo direttore dell’Unesco. Proprio al fratello Aldous dobbiamo la più perfetta e macabra delle distopie del Novecento, ancora più forte di 1984 in quanto non solo la precede ma credo abbia predetto la forma di dittatura dolce basata sulla manipolazione (e non sul sadismo che contraddistingue invece quella orwelliana). Con l’avvento della moderna “società di massa”, infatti, il potere deve esercitarsi su un numero indefinito di persone spesso costituite da individui affettivamente soli e privi di punti di riferimento: qua «pane e circensi, miracoli e misteri» non bastano più. L’arte del controllo deve estendersi in maniera tanto globale quanto scientifica, ricorrendo alle stesse tecniche della propaganda politica: è così che si sono raggiunti livelli di sconcertante raffinatezza, riuscendo efficacemente a influenzare comportamenti e modi di essere senza nemmeno dover ricorrere alla coercizione fisica. Al condizionamento “culturale” (e biologico) Huxley aveva infatti affiancato un metodo scientifico basato sull’ipnosi e sulle droghe, arrivando addirittura a prevedere – trent’anni prima della rivoluzione psichedelica! − la diffusione di una droga di Stato, una sorta di metodo farmacologico per “sedare” le coscienze, il soma. Huxley aveva infatti compreso che è preferibile suggestionare e manipolare le coscienze con metodi non violenti, invece di utilizzare il terrore e la paura del castigo.

Credo che il Potere ci stia traghettando verso una distopia che si basa sul progresso e sulla tecnologia tesa ad abbattere la Natura e che presto vedrà un conflitto tra vita organica e inorganica: è questa la società verso cui stiamo andando, il modello che i tecnocrati sognano e che aveva immaginato nel lontano 1932 Aldous Huxley nel suo capolavoro distopico Mondo Nuovo. C’è sicuramente qualcosa di perverso e di controiniziatico in tutto ciò, ma intravedo uno scopo chiaro e tremendamente lucido che va oltre la globalizzazione dei mercati e delle coscienze.

 Intervista a cura della redazione di Italicum a Enrica Perucchietti, autrice del libro "False flag" Arianna Editrice 2016