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Tradotti i diari di guerra di Jünger. Per una nuova fenomenologia del polemos

di Renato de Robertis - 03/10/2016

Tradotti i diari di guerra di Jünger. Per una nuova fenomenologia del polemos

Fonte: Barbadillo

“Quei cenci sbrindellati avvolgevano una mummia umida dalla puzza nauseante. Non si vedeva la testa, ma solo una specie di grumo di calcare. Sul ginocchio si vedeva la rotula spuntare da brandelli di pelle lacerata…” Così il giovane ufficiale scriveva nel suo diario. Osservava la morte e non poneva  limiti al suo sguardo. Scriveva tutto. Aveva il bisogno di rappresentare la fenomenologia della guerra. Ernst, lo studente che lasciò le aule per i campi di battaglia, guardò dentro quella “guerra di merda.” Lo fece con l’acutezza del fotografo avventuroso. Immagine dopo immagine, la tragedia fu misurata senza filtri, senza paura. Il sottotenente Jünger, ferito quattro volte, annusò i fumi acidi delle battaglie della Somme, fu accarezzato dai proiettili shrapnel e lo descrisse in quattordici taccuini, per la prima volta tradotti in Italia e diventati, “Il diario di guerra. 1914 -1918” a cura di Helmuth Kiesel.

Ecco la guerra in diretta di un ufficiale tedesco. Ecco il documento, la cronaca giorno dopo giorno di Ernst che descriveva gli odori, i bisogni, le assurdità in un campo di battaglia, “Alle 11 abbiamo preparato  il pranzo su un fornelletto a spirito e abbiamo mangiato nonostante la puzza di cadavere e i mosconi.” Di certo la pubblicazione di queste narrazioni analitiche riapre il confronto sul realismo jüngeriano, sulla cifra stilistica criticata da una certa sensibilità culturale. Alessandra Iadicicco, sul Corriere della Sera, tuttavia, sottolinea che la spietatezza realistica di queste cronache non rappresenta un distacco morale bensì la ricerca dell’oggettività, “Viva è in lui, invece, la passione per la realtà, l’aspirazione dell’oggettività, la smania ordinatoria della cultura del XIX secolo… che lo induceva ad appuntare le sue osservazioni con l’imperturbabilità di un anatomopatologo.”

Se tornasse alla mente la riflessione di György Lukács sull’anti-umanesimo delle avanguardie del Novecento, continueremmo a non vedere le profonde cause storiche della letteratura jüngheriana. Oggi, per fare ricerca, è indispensabile dimenticare i parametri del Novecento e comprendere che questi diari acuti e fotografici indicano la conclusione tragica di un’epoca, come avvenne in Remarque o in Hemingway. Quindi, non la fredda ossessione militarista di uno scrittore che annotava le sue giornate al fronte, ma la constatazione della civiltà distrutta rappresenta la chiave critica per conoscere i diari jüngheriani.

Anni fa Luisa Bonesio ricordava che leggere Jünger come un “portatore di una sorta di indifferenza morale” sia  una semplificazione. Le conclusioni più complete inquadrano la letteratura jüngheriana di guerra come un grande catalogo sull’annullamento dell’umanità europea. Un annullamento generato dalla frattura tra la coscienza e la realtà dell’epoca; e in Jünger la realtà non ha più senso, dilania, brucia la vita. Pioggia di bombe, trincee di sangue, e il soldato Ernst non si fermava nel fumo dei cannoneggiamenti. Tuttavia arrivò anche per lui la fucilata, quella bruciante, “Mi trovavo  davanti ad una trincea lungo 50 m quando ho avvertito un urto violento sul petto e sono crollato a terra, con la sensazione di essere crivellato di colpi.” Egli descriveva tutto di sé; e l’episodio del ferimento poi diventò  una pagina intensa “Nelle tempeste d’acciaio.”

Ma la tensione è continua: il sapore della dinamite; la “danza macabra” delle fanterie; Il rumore infernale dei bombardamenti. C’è la Prima guerra mondiale in questi diari. Ci sono le istantanee dell’abbruttimento della civiltà a causa della guerra tecnologica. C’è il ventenne che si accorse di aver vissuto dentro un terremoto mondiale. E il tutto consente una comparazione tra i diari e il famoso romanzo del 1920, una comparazione, inserita in appendice, dentro la quale compaiono piccoli disegni a matita della  vita militare di Jünger.

Il lettore scopre forti e vere scene di guerra in cui “Erano tutti pronti, armati sino ai denti. Quel tambureggiamento logorava i nervi, ma una volta spostatosi, le truppe sono saltate in trincea e hanno cominciato a sparare. Nel terzo plotone c’è stata una vittima. Una granata pesante le era sfrecciata davanti e le aveva fracassato il cranio.” La guerra dichiara l’inutilità dell’esistenza; un’inutilità imposta dalla Storia. Le macchine di morte, i carri armati e le mitraglie, cancellano assurdamente la vita. E il soldato testimonia tutto ciò; come fece il comandante di plotone  Ernst  Jünger scrivendo sui taccuini, senza mai fermarsi per quattro lunghi anni.

Solo pochi mesi fa veniva proposta la traduzione del prezioso ‘San Pietro’. Inoltre. Il ‘Trattato del ribelle’ – sempre ristampato da Adelphi – è attualissimo per le molte riflessioni sulle società contemporanee. Ora, la pubblicazione dei diari collega finalmente il romanzo ‘Nelle tempeste d’acciaio’ o le teorie de ‘La mobilitazione totale’ al laboratorio esistenziale del ‘Diario di guerra’, nel quale un ventenne provava le tragiche “influenze della guerra” sulla sua pelle.

Ernst Jünger, “Diario di guerra. 1914-1918”, a cura di Helmuth Kiesel, edizioni Leg, pagg. 642, 2016 –  euro 28.00