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La società , i giovani e la sfida del futuro

di Fabrizio Pezzani - 02/12/2016

La società , i giovani e la sfida del futuro

Fonte: Fabrizio Pezzani

 

In questo difficile tempo il tema delle generazioni future diventa sempre più oggetto di dibattito per la sua criticità, infatti la generazione dei ventenni e trentenni è la prima che teme un futuro peggiore delle precedenti ma di fronte a questo problema  sembrano prevalere atteggiamenti su “cosa fare“, su “come procedere“ per affrontare seriamente il problema, mentre tende sempre a rimanere in secondo piano la domanda fondamentale a cui bisognerebbe cominciare a rispondere per capire, poi, come fare, la domanda è: perché siamo giunti a questo punto? Qual è e cosa è il problema? A cosa siamo di fronte con questo periodo di crisi la cui soluzione sembra sempre sfuggire di mano ?

E’ proprio il modello culturale che ha caratterizzato questo lungo periodo di storia che porta ad avere un atteggiamento pragmatico di fronte ai problemi, infatti prevale l’idea che sia sufficiente pensare a cosa fare e non ci si domanda mai cosa è, così il risultato è che non si trovano mai soluzioni definitive perché il modello culturale non è in grado di rispondere ai problemi posti dalla società.

 Più gli economisti mettono mano all’economia più questa si complica; più gli studiosi di scienze sociale si occupano dei problemi della famiglia più questa diventa fragile; più gli studiosi della politica si occupano di riforme della politica più questa diventa insolvibile ; più si vuole arrestare la criminalità più questa diventa aggressiva ; più aumenta il numero dei laureati più diminuisce il livello culturale medio di comprensione dei problemi. Potremmo andare purtroppo avanti ed avremmo le stesse deludenti risposte e la stessa conclusione: abbiamo un tracollo dei modelli socio-culturali che hanno caratterizzato da lungo tempo la nostra storia ed il nostro tempo ed è così che la crisi ha un risvolto economico ma trova le radici in un modello di società che non è più in grado di rispondere ai problemi di convivenza sociale imposti da un fenomeno di globalizzazione che investe tutti. Abbiamo avuto uno sviluppo imponente della cultura tecnica ma assolutamente asimmetrico rispetto all’evoluzione dei sistemi sociali che sono diventati ancillari del primo.

“Il primo passo da fare è giungere alla più ampia, profonda e sollecita comprensione possibile del carattere straordinario della crisi sociale e culturale che ci ha colpiti. E’ giunto il momento di capire che non siamo di fronte ad una crisi ordinaria che capita più o meno ogni decennio, ma davanti ad una delle grandi transizioni della storia umana quando ad una forma di cultura ne succede un’altra. Un’adeguata comprensione delle immense dimensioni del mutamento che ora incombe su di noi, è la condizione necessaria per potere individuare, in modo adeguato i mezzi e le misure per fronteggiarlo“. Queste erano le considerazioni che faceva Pitirim Sorokin nel suo lavoro che presentò alle stampe nel 1941 (“The crisis of our age“) in cui prefigurava con incredibile precisione come ci troviamo noi oggi.

La crisi è, così, fondamentalmente una crisi di valori la cui declinazione ha portato ad un’interpretazione eccessivamente materialistica, utilitaria ed individualista dei mezzi e dei fattori di produzione generando una società incapace di sentire ed ascoltare i problemi della gente e dei giovani in particolare.

Cerchiamo di chiarire il senso di questo pensiero ed il percorso che ha fatto per portarci in questa situazione di difficoltà ma scopriremo di non scoprire niente perché è sempre con la natura dell’uomo che noi abbiamo a che fare, natura che non è mai cambiata da come i tragici greci l’hanno splendidamente descritta.

A partire dalla Genesi, come la troviamo nell’Antico Testamento, l’uomo è sempre stato messo di fronte al mistero ed al dolore della sua esistenza e nel tempo il rapporto con il mondo naturale è stato declinato come rapporto con una entità immanente con la quale l’uomo ha cercato di confrontarsi per capire qual’è “la verità“. Il rapporto con le divinità, a partire dalla genesi ma poi con la mitologia greca è stato caratterizzato da un confronto in cui l’uomo pensava di essere o di diventare onnipotente, oltre alla genesi basti pensate al mito di Icaro , di Sisifo ed a quello di Prometeo.

Nel tempo il rapporto con la natura è diventato più armonico, essa veniva chiamata “Madre Natura“ per i valori che ispirava, rappresentava una norma obbligante per ogni conoscenza ed ogni azione che è naturale da cui il senso di validità dell’esistenza. Questo intimo rapporto ha finito per incrinarsi nella misura in cui le conoscenze tecniche, la tecnologia applicata allo studio di ogni attività dell’uomo, cominciano ad avere una dimensione indipendente e dominante nell’indirizzare la società, il sistema di vita e di valori nel mondo moderno (si veda Romano Guardini ,“La fine dell’epoca moderna”. Il potere, Morcelliana, 1953) .

Questa spinta al cambiamento contribuisce sempre più a modificare il rapporto con il mondo naturale che viene assoggettato al dominio dell’uomo che lo vede come mezzo per soddisfare i suoi bisogni ed i suoi desideri in modo  illimitato .

In particolare questo modello socioculturale e valoriale si è andato affermando negli ultimi due secoli e trova le radici nel campo della speculazione – Kant con l'enunciato dell'autocritica e l'idealismo tedesco ( Cordula , H. Urs von Balthasar 1962 ) - ma ha avuto una forte accelerazione negli ultimi 30/40 anni, in particolare l’implosione dell’impero sovietico rappresentato dalla caduta del muro di Berlino ha sviluppato l’idea che quel modello culturale e di economia in particolare fortemente liberista fosse la soluzione di tutti i mali ed ha consegnato alla potenza espressiva di quel modello, gli USA, il bastone di comando del mondo e la sensazione di eterna onnipotenza. A quel punto le conoscenze tecniche – razionali, tipiche del modello socioculturale americano hanno assunto il ruolo dominante di valori assoluti ed autoreferenziali subordinando ad esse lo sviluppo ed il giudizio sulle singole persone e sulla società nel suo complesso. Il rapporto con la natura non è più diretto ma viene intermediato dal calcolo e dalla tecnica e reso più asettico. L’uomo sa oggi molto di più di quello che può vedere o sentire con i suoi sensi; diventa capace di progettare e di realizzare cose che non può più sentire così aumenta il distacco dal mondo naturale che contribuisce ad aumentare la sua freddezza di cuore e la sua difficoltà di avere rapporti relazionali veri con i suoi simili.

L’uomo, così, rischia di non essere più capace di sentire e di fare esperienza personale ma tende a trasformare il suo lavoro in organizzazione dei mezzi e nel loro controllo e di diventare impersonale: un uomo non umano  in una società non sociale.

L’economia e la finanza hanno cominciato ad assumere nella nostra vita sempre più il ruolo di fine e non quello di mezzo ed a definire le regole e l’indirizzo dei sistemi sociali e passare da sapere tecnico a sapere morale . Allo stesso modo l’invasività culturale di quel modello di stampo quantitativo – razionale ha portato sempre più a vedere l’uomo come insieme di azioni e reazioni chimiche e non più come insieme di azioni e reazioni emozionali -una macchina termodinamica e non una persona-. In questo modello culturale sono l’uomo e la società a doversi adattare alle regole e non viceversa fino ad affermare che le regole buone fanno l’uomo buono ma la realtà è esattamente il contrario perché è nato prima l’uomo della regola.

 E’ emblematico come i premi nobel nelle materie tecniche – medicina , fisica , economia –negli ultimo 50 anni siano stati vinti dalla cultura tecnica americana che in compenso non è riuscita ad aggiudicarsi neanche un premio nobel in letteratura; I. Singer e S. Bellow erano di radici europee e la Morrison era espressione della cultura dell’emarginazione nera. Sembra che l’affermazione di una cultura tecnica sia antagonista di una cultura umanistica perché la prima ha assunto il ruolo di valore in quanto tale. Infatti, nonostante gli ammonimenti di Stiglitz sul “ flop dell'approccio razionale “, l'Accademia delle Scienze ha assegnato il nobel in economia a due studiosi americani per l'approccio razionale all'economia ed alla finanza .

Il pensiero unico legato ad un solo principio di verità , quella tecnica-razionale e sensistica , ha finito per produrre una cultura di tipo alessandrino , la cultura per la cultura e la formula per la formula , fino a  soffocare il pensiero creativo l'unico che porta avanti la società dell'uomo lasciando spazio alla libera associazione di idee .

L'idea che i modelli abbiano in sé un valore morale , bene in sé , ha spinto al loro assoluto uso nel campo pratico in modo che sia la realtà ad adattarsi ad essi ; ma se la realtà dimostra nei fatti che non può essere assoggettata a questo modello di studio , come succede oggi , si verifica un costante allontanamento tra la realtà ed i suoi modelli di studio che diventano sempre più incapaci di spiegarla . 

La crisi rappresenta alla fine la prima vera e profonda sconfitta del modello culturale che ha spinto gli USA, sull’onda delle illusioni a pensare ad una forma di onnipotenza; ma le sconfitte possono essere utili se riescono a fare ripensare agli errori commessi ed alle cause che li hanno determinati, in fondo è questa la sfida di questa grande nazione .

Paradossalmente l’uomo ha creato un mezzo, l’economia e la finanza, che continua a mantenere sempre più indipendente da sé stesso che nel soddisfargli i bisogni gliene crea sempre di nuovi più sofisticati e personalizzati. ma l’economia e la finanza devono mantenersi dotate di senso, la loro attività deve avere un criterio di misura, una gerarchia di valori, una consapevolezza di quali bisogni possano considerarsi giusti e quali sbagliati. E’ necessaria una corretta economia del vivere altrimenti si forma un sistema infinito di desideri che afferma la sua assoluta libertà di soddisfarli. Ma essendo le risorse inferiori ai desideri  più si ha e più si vorrebbe avere e questo conduce ad una lotta incessante tra uomini e gruppi per appropriarsi in modo sempre maggiore di valori necessari a soddisfare i desideri definibili in beni materiali. Siccome la realizzazione di questo modello di società, fortemente orientato alla soddisfazione materiale a breve dei propri bisogni, può essere realizzato solo prevaricando gli altri, la lotta tra persone e gruppi finisce per intensificarsi fino a fare collassare la società ed è a questo punto della storia in cui noi ci troviamo .

Proprio la spinta a questa forma di antagonismo ha generato una forma di competizione aggressiva che porta ad un perenne scontro tra persone e gruppi . Questa competizione è mossa non dal desiderio di affermare una società migliore ma dalla paura dell'altro , dalla paura di essere dominati  e viene mossa da una spinta distruttrice e suicida .

La crisi non può essere risolta  con provvedimenti meccanicistici dall’esterno – le regole – ma solo pensando all’interno della società come fare per riorientare i sistemi di condotta e di valori in cui noi viviamo verso una dimensione più trascendente .

In questa prospettiva dobbiamo vedere alcune via da seguire :

- riportare al centro la famiglia che è un investimento e non una spesa, è nella famiglia che si formano i valori e le persone che entreranno nella società;

- riportare al centro il ruolo della donna che in una società fortemente individualista è in grado di riportare il senso genuino del dono perché lei ne è geneticamente portatrice;

- riportare al centro i giovani facendogli vivere un maggiore contatto con il mondo artigianale e quello rurale dove la solidarietà è più facilmente realizzabile; ripensare ai programmi scolastici in senso più umanistico – abbiamo il migliore liceo al mondo quello classico e lo stiamo distruggendo per seguire le tecniche;

- riportare al centro l’idea di progettare insieme il futuro dei nostri territori nel rispetto delle loro tradizioni millenarie non cedendo alle lusinghe di modelli di sviluppo che non hanno funzionato neanche in altre realtà;

- riscoprire l’orgoglio delle nostre tradizioni e della nostra storia attingendo alla sapienza delle generazioni che ci hanno preceduto;

- riportare il sentimento di gratuità e di attenzione agli altri  al centro del nostro interesse e del servizio inteso come l'espressione di una forza di chi “ si sente responsabile per la vita – per tutto ciò che si chiama vivere : uomo ,popolo ,cultura, ordine del paese e della terra -...Forza di servizio che vuole che le cose della terra divengano giuste .” ( R. Guardini op. cit. ) .

Solo così possiamo ancora una volta, tutti insieme senza discriminazioni di sorta, guardare ad un futuro migliore per costruire una società che includa e non una società che escluda  .Possiamo , così , concludere con un pensiero che A. Toynbee scriveva nel 1947 (Civilisation on trial – Civiltà al paragone  )

“Non vi è nulla che trattenga la nostra civiltà occidentale dal seguire le orme di società precedenti, se essa  così vuole e dal commettere in tal modo un suicidio totale. Ma, d’altra parte, non siamo condannati a far sì che la nostra storia si ripeta; sta a noi, attraverso i nostri sforzi dare alla storia, nel nostro caso, una svolta nuova , un esito senza precedenti. Quali esseri umani, siamo dotati di libertà di scelta e non possiamo barare al giuoco facendo passare le nostre responsabilità sulle spalle di Dio o della natura. Dobbiamo addossarcele noi stessi. Dipende da noi.” 

Che sia un Natale di riconciliazione .