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Il principio della non ingerenza

di Stefano D’Andrea - 10/02/2017

Fonte: Il giornale del Ribelle

 

       

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Le parole di Trump per ora restano soltanto parole. Tuttavia, se alcune (protezionismo, lavoro agli americani) possono o devono essere considerate da noi italiani "positive" per le conseguenze geopolitiche ed economiche che potrebbero generare a nostro vantaggio (almeno nel senso di creare possibilità che altrimenti non si materializzerebbero), altre sono non soltanto negative ma pericolosissime. In particolare è pericolosissima l'idea idiota che gli Stati Uniti non soltanto debbano smettere di destabilizzare governi autoritari, come hanno fatto in Iraq, in Libia e in Siria (ma in realtà hanno destabilizzato anche Ucraina e Jugoslavia, dunque due democrazie), ma debbano intraprendere una dura lotta "contro l'islamismo" o "contro il fondamentalismo islamico" o contro lo Stato Islamico.

 

Questo programma, infatti, implica che le guerre aumenteranno e non diminuiranno, che il terrorismo dei bombardamenti aerei si moltiplicherà e non diminuirà; che gli Stati Uniti, non soltanto continueranno a bombardare in Afghanistan, in Libia, in Iraq e in Siria, ma inizieranno a bombardare in Yemen, nel Sinai, eventualmente in Mali, in Nigeria, nel Maghreb, nel Sudan e via via in una decina di altri Stati.  Ora, siccome è certo che le rivolte degli islamisti sunniti aumenteranno, la più criminale delle idee che un presidente statunitense possa avere è quella di andare a condizionare i verdetti dei campi di battaglia, tramite interventi militari diretti, peggio ancora se l'intervento implicherà l'uso del solo strumento costituito dal bombardamento aereo terroristico. La politica estera seria, ossia non guerrafondaia e criminale, consiste, da un lato, nel non agire per destabilizzare governi di qualsiasi tipo e colore, dall'altro, nel non intervenire militarmente nelle guerre civili o nelle rivolte o rivoluzioni, lasciando che sia il campo di battaglia a generare il nuovo equilibrio.