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#ITALIARIPARTE … verso il burrone

di Eugenio Orso - 19/02/2017

Fonte: Pauperclass

 

C’era una volta la catena involutiva sinistroide, avanguardia del collaborazionismo nei confronti dei Mercati & Investitori, Pci del crepuscolo- Pds –Ds –Piddì. Dal 1991 al 2007, cioè dallo scioglimento del Pci alla nascita del Piddì, ma soprattutto da lì ai giorni nostri, la “trasformazione” della sinistra nell’ombra servile del turbocapitalismo non ha conosciuto soste e, in parallelo, sono cresciute a dismisura, nel nostro paese, disoccupazione, povertà vera e disuguaglianze sociali. All’involuzione della cosiddetta sinistra, che ha liquidato definitivamente i comunisti e abbandonato le classi povere al loro destino, ha corrisposto una caduta ormai di lungo periodo di molti indicatori dell’economia italiana. Basti pensare che a fronte di un rapporto Debito/Pil di circa il 98%, nel 1991 (anno di morte del Pci e dell’Urss), nel 2015 siamo arrivati oltre il 132%, mentre la disoccupazione ufficiale è salita da poco più del 7% a oltre l’11% (quella reale è oggi molto più alta). Tutto ciò non è una mera casualità, perché quello che alcuni chiamano “il tradimento della sinistra” – risultato di una vera e propria mutazione genetico-politica – ha dato un potente contributo alla caduta dell’economia italiana, al saccheggio delle risorse del paese da parte dei poteri esterni e all’impoverimento di massa.

Fatta questa doverosa premessa, notiamo che oggi, mese di febbraio del 2017, la sinistra e il centro-sinistra, mutati geneticamente e asserviti ai vari JP Morgan, Soros e Goldman Sachs, fedeli alla troika e al sopranazionale come non mai, potrebbero giungere rapidamente al capolinea, o almeno a una caotica e repentina scomposizione, con la crisi interna all’entità collaborazionista chiamata piddì. Ciò non significherebbe, però, la nascita, o la rinascita un istante dopo, dalle ceneri della sinistra neocapitalista ed euroserva di una vera opposizione sociopolitica, nutrita di buoni propositi come la lotta alle diseguaglianze, la valorizzazione (anche economico-retributiva) del lavoro dopo anni di svalutazione, la protezione (di ciò che rimane) delle produzioni nazionali dalla rapacità globalista, il contrasto alla finanza creativa e di rapina. L’involuzione della sinistra, ormai ultradecennale, è cosa fatta e indietro non si potrà tornare. Scordiamoci, dunque, le fanfaluche dei vari Fassina, Speranza, Stumpo, D’Attorre, Fratoianni, fuori e (almeno per ora) dentro il piddì.

L’apparente situazione di caos che c’è dentro l’entità piddì, potrebbe, però, non essere la spia di una crisi irreversibile della sinistra e del centro-sinistra, ma, bensì, potrebbe preludere a una scomposizione e ricomposizione dell’entità collaborazionista dei poteri esterni. Come? Anzitutto liberandosi di alcune zavorre interne per “ripartire” di gran carriera, ma sempre su posizioni neoliberiste informate dal mercato, dal darwinismo sociale e dagli appetiti della razza padrona elitista, cercando di attrarre altro e nuovo consenso idiota. Solo ed esclusivamente in tal senso si dovrebbe leggere lo slogan renziano #ITALIARIPARTE.

Se riflettiamo bene, Matteo Renzi, da quando è calato dall’alto (JP Morgan, Goldman Sachs, veri padrini della sinistra) occupando la segreteria del piddì e poi, in rapida sequenza, la presidenza del consiglio, ha fatto di tutto per spaccare l’entità collaborazionista, prendendo a schiaffi la cosiddetta “sinistra dem” e a calci nel sedere i vari Bersani, Fassina, Cuperlo e compagnia. Di questi inetti, in grande parte finta opposizione interna, ben pochi sono usciti (non certo Bersani e Cuperlo, ma solo il “Fassina chi?” sputtanato da Renzi), alcuni dei quali perché la loro posizione, all’interno, era ormai insostenibile e rischiavano di bruciarsi per sempre (come nel caso di Civati). Tuttavia, i (per ora) pochi fuorusciti si sono ben guardati dal mollare lo scranno in parlamento, rinunciando a una certa visibilità e a decine di migliaia di euro.

Anche il calo del tesseramento piddì, drammatizzato dai ridicoli oppositori interni di Renzi, dal punto di vista di questa sinistra euroserva e mercatista non è propriamente un fatto negativo, perché consente di lasciar fuori quella parte di “popolo” (chiamiamolo pure così) che potrebbe creare difficoltà e cagionare ritardi, se resta all’interno, in occasione delle prossime controriforme su lavoro, pensioni e stato sociale. Infatti, Renzi non si è mai stracciato le vesti per le decine di migliaia di tessere non rinnovate. Se non ricordo male, nel 2015 quando è esplosa mediaticamente la questione del calo del tesseramento fu Bersani, non certo il fiorentino, a stracciarsi le vesti e guaire.

La perdita di tessere è conseguenza “naturale” di un nuovo modo d’intendere la politica? La scarsa partecipazione di massa è il destino futuro della politica, dando implicitamente ragione ai 5s che la preferiscono on-line, mitizzando la democrazia diretta in rete, con tanto di credenziali d’accesso? Certo che no, perché “il nuovo modo d’intendere la politica è una delle giustificazioni (pelose) addotte dai renziani, per coprire il calo delle tessere e lo sboom partecipativo. Costoro sono consapevoli del fatto che se perseguitano i lavoratori pubblici, come fanno con la riforma Madia, per procedere più facilmente ai licenziamenti, questi si accorgeranno di essere le vittime sacrificali e, per quanto idioti sociopolitici, toccati nella carne viva si allontaneranno dal piddì e dall’infame sinistra, che li sacrifica sull’altare dei Mercati & Investitori.

Se la “buona scuola” piddino-renziana e gli interventi contro il pubblico impiego di Madia, che ci mette la firma e la faccia odiosa e arrogante, allontanano insegnanti, impiegati dei ministeri e altri dal piddì, è chiaro che ciò fa parte di un piano per alleggerire l’entità collaborazionista (“partito leggero” liberal-liberista, caldeggiato e applicato già da Silvio Berlusconi) e trasformarla in qualcosa di nuovo (“partito della nazione”?). Anche l’Ape, il cosiddetto anticipo pensionistico, che comporta indebitamenti a vita dei lavoratori con banche e assicurazioni per andare in quiescenza con un paio d’anni d’anticipo, è una spia del fatto che ai vertici del piddì non importa nulla della “partecipazione popolare” e della militanza, nonostante i piagnistei inscenati ad arte dal trombato Bersani. Il doppio linguaggio dei collaborazionisti sinistroidi delle élite finora ha funzionato a meraviglia, domani vedremo. Ai polli obnubilati e sinistroidi si richiedono la “partecipazione democratica”, le tessere e il voto, come fa Bersani, mentre con i suddetti provvedimenti si colpiscono nel vivo, nei loro interessi e bisogni primari, addirittura insultandoli e criminalizzandoli in quanto “furbetti del cartellino”, “nullafacenti”, “assenteisti”, eccetera, come fanno i renziani. E’ solo un gioco delle parti, un’ennesima recita per fottere il paese obbedendo ai voleri delle élite. Ecco perché mentre un Bersani frigna continuamente che la scissione è già avvenuta, ma quella dei militanti, del “popolo della sinistra”, implorando la direzione e la segreteria di cambiare strada, continuano senza soste le vessazioni contro il pubblico impiego e i lavoratori in generale. Così agiscono i collaborazionisti, che nell’arco di cinque lustri (1991 – 2017) hanno sviluppato con una certa “professionalità” l’abilità di mentire e ampiamente praticato la doppiezza.

Quello che voglio dire, è che il piddì è ormai giudicato obsoleto, così com’è, dai suoi padroni sopranazionali che non mollano la presa sull’Italia. Ha bisogno, quindi, di una scomposizione e ricomposizione in forma diversa per “modernizzarlo”, il che potrebbe implicare una scissione effettiva e non solo a parole, com’è stato finora. Anche in ciò Renzi si è rivelato utile ai padroni, come testimonia lo psicodramma inscenato dall’entità collaborazionista in questi ultimi giorni. Direzione, assemblea, congresso vanno e andranno in tal senso. Del resto, se la cosiddetta opposizione interna fosse genuina e sincera, cercherebbe di ottenere un cambio di linea politica complessiva che investirebbe il governo e le politiche applicate. In tal caso, non farebbe di tutto per andare al voto “a scadenza naturale della legislatura”, mantenendo in piedi un governo Renzi-bis che porta avanti le controriforme neoliberiste, sul solco dei precedenti nominati, allontanando ancor di più dall’amato piddì la sua cara base …

L’estio potrebbe essere effettivamente, questa volta, una scissione, con conseguente uscita della cosiddetta minoranza dall’entità collaborazionista. In tal caso, si costituirebbe una nuova FO (falsa opposizione), corroborata da ciò che c’è già fuori dal piddì, ossia sinistra italiana + sel, affiancandosi al neonato “campo progressista” di Pisapia (e Boldrini). Non a caso è già comparso il “campo progressista”, disposto a collaborare con Renzi e il piddì, a detta dello stesso Pisapia. Se la possibile scissione farà nascere un’altra FO, il gioco che si farà – sotto l’occhio benevolo delle élite finanziarie e della troika – mi pare chiaro fin d’ora. In pratica, “Marciare separati per colpire uniti”!

Una legge elettorale proporzionale, con qualche correttivo, favorirebbe il gioco dell’entità collaborazionista, rinnovata dalla scissione, e delle neonate FO di sinistra. Il “nuovo piddì”, comunque lo chiameranno, o un piddì dopo la scissione catalizzerebbe parte dei Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, mentre le FO sinistroidi raccoglierebbero consenso dalla massa imbecille dei “delusi di sinistra”. Dopo il voto, nel pieno rispetto del detto popolare “passata la festa, gabbato lo santo”, potrebbero ricompattarsi – per il bene del paese – e rimettersi insieme. Non è escluso, inoltre, che un paio di FO, campo progressista e sinistra italiana dem (ipotizziamo …), rubino qualche voto alla FO più grande e alternativa al piddì, ridimensionandola un poco. Del resto, il cinque stelle raccoglie a sua volta il voto ignavo e stupido di una buona fetta di “sinistrati”, che potrebbero essere tentati di tornare a casa.

Tuttavia, a rischio di sembrare ripetitivo – è una cosa che scrivo ormai da anni – l’obbiettivo ultimo delle élite e la finalità di questa operazione di “ingegneria” politica è sempre quello di arrivare al governo-troika definitivo, con ampie possibilità di manovra per i commissari europei (taglio secco delle pensioni, licenziamenti di massa nel pubblico impiego, prevalenza della sanità privata totalmente a pagamento, una nuova ondata di privatizzazioni, eccetera). A quel punto, le FO nate dalla crisi del piddì potrebbero far comodo, come il cinque stelle un po’ ridimensionato, per catalizzare un dissenso sociopolitico sempre più disperato e potenzialmente pericoloso, allo scopo di neutralizzarlo, magari votando qualche singolo provvedimento dei commissari della troika perché giudicato “necessario”, o addirittura utile per il paese. Il piddì, o la sua nuova versione/ il suo sostituto, costituirebbe sempre il perno del collaborazionismo in Italia e avrebbe la funzione, forse assieme a forza Italia e qualche altra piccolezza, di sostenere il governo alieno (un po’ come l’ABC nei confronti del primo Quisling, Mario Monti).

Più come “aruspice” che nelle vesti di analista politico, avevo predetto che dopo Renzi ci sarebbe stato un ultimo piccolo Quisling (ed è arrivato Gentiloni/Renzi-bis) e poi avrebbero imposto al paese il temuto governo-troika commissariale, per attivare la fase finale del saccheggio. Ormai dovremmo esserci ed anche la crisi interna al piddì va in tal senso.

Se le cose andranno come ho scritto, non mi preoccuperei tanto della fine che faranno il piddì, Renzi e l’attuale governo in carica, ma mi preoccuperei di più, molto di più, per ciò che verrà dopo