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Storia della Geopolitica

di Dagoberto Bellucci - 26/02/2017

Fonte: Dagoberto Bellucci

                "Come è impossibile separare la politica pura, in quanto arte, dall'ideologia dell'artista che la realizza; così è impossibile sfuggire alla necessità di misure preparatorie alla geopolitica, cioè la conoscenza delle configurazioni durevoli, determinate dalla terra e legate al suolo, che caratterizzano la formazione, il permanere e la scomparsa della potenza nello spazio; si tratta di una necessaria acquisizione preliminare, di una propedeutica, di una scuola preparatoria per tutti quelli che vogliono cimentarsi in quest'arte."


                ( Karl Haushofer, "Utilità della Geopolitik", Editoriale trasmesso a Radio Berlino nel 1931)

                Quindici anni or sono, tra l'autunno del 2001 e la primavera del 2003 ( nel periodo compreso tra le aggressioni statunitensi all'Afghanistan dei Talebani ed all'Iraq di Saddam Hussein di quel post-11 Settembre che caratterizzerà l'escalation bellicistica dell'amministrazione Bush portando il mondo vicinissimo ad un vero e proprio "clash of civilizations", lo scontro tra le civiltà prospettato da Samuel Huntingont a metà anni novanta del quale si faranno banditori i settori più oltranzisti dell'arcipelago w.a.s.p. neo-conservatore e sionista della politica mondiale) abbiamo avuto l'occasione, ed il piacere, di usufruire di uno spazio televisivo concessoci dall'emittente "TeleStudio Modena" all'interno del programma di approfondimento culturale denominato "Observer" condotto con intelligente equilibrio e lucida versatilità dal giornalista Tito Taddei.

                Abbiamo così centellinato, nel corso di una quindicina di 'apparizioni', quelle che Taddei definì come "pillole di geopolitica" ovvero una serie di  analisi relative alla presentazione in chiave geopolitica degli avvenimenti caratterizzanti la politica internazionale di quel periodo storico con una rilettura delle principali teorie dalla politische geographie di Friedrich Ratzel (1844-1904) allo "Stato come forma di vita" (1916) dello svedese Rudolf Kjellen fino alle loro evoluzioni comprese nei concetti di HeartLand del britannico Halford Mackinder (al quale si deve l'intuizione su un "geographical pivot of History", un perno geografico della storia che lo studioso inglese individuerà nell'Eurasia centrale) , del "Sea Power" (il potere marittimo) sviluppato dall'ammiraglio statunitense Alfred Mahan (1840-1914) e concludendo questa rassegna di studi geopolitici con le teorie dell'americano Nicholas Spykman (1893-1943), del tedesco Karl Haushofer e della sua scuola di Geopolitica e quelle che trovarono spazio nella rivista italiana "Geopolitica - Rassegna di geografia economica, politica, sociale, coloniale" diretta da Giorgio Roletto ed Ernesto Massi e pubblicata tra il 1939 ed il 1942 in periodo fascista.

                Il trimestrale di studi geopolitici "Eurasia" era ancora di là da venire, "Limes" esisteva oramai da una decina di anni, gli studi di geopolitica in Italia ancora latitavano ma la "Asterios" Editore di Trieste aveva cominciato con la pubblicazione di alcuni testi (oltre a questo volume del Lorot era già stato pubblicato "Geopolitica e geostrategie delle droghe" dei francesi Labrousse e Koutouzis ed in programma vi erano le edizioni italiane dei testi di Ewa Kuletsza Mietowski "Geopolitica dell'Europa centrale" e di Bruno Tessier "Geopolitica dell'Italia") che avrebbero aperto una breccia presentando l'abc di quella branca delle scienze internazionali che i diversi Centri Studi strategici di mezzo pianeta tornavano, dopo mezzo secolo, a denominare come "geopolitica".

                Un termine caduto in disuso dopo la seconda guerra mondiale per le pretese e presunte 'connivenze' con il Nazionalsocialismo  quando, in realtà, come rileva Lorot nell'introduzione, la geopolitica dagli anni Ottanta stava assumendo un ruolo sempre maggiore ed uno spazio fondamentale nelle relazioni politiche internazionali diventando "la parola chiave di fine secolo, una parola che si ritiene spiegare tutto, compreso quello che non può essere spiegato. Insomma la geopolitica si è rifatta una verginità e si vende bene.".

                Il testo quindi ripercorre un secolo di studi geopolitici, le dottrine ed i loro teorici, le applicazioni in campo internazionale, il ruolo che queste hanno fornito per interventi militari ma anche gli sviluppi contemporanei con il 'revival' che la geopolitica ha avuto, dalla seconda metà degli anni Settanta, in ambito sovietico prima e russo poi.

                Partiamo dalla definizione che l'autore dà della geopolitica inquadrata come "una metodologia particolare che individua, identifica e analizza i fenomeni conflittuali e le strategie offensive e difensive incentrate sul possesso di un territorio sotto il triplice sguardo dell'influenza dell'ambiente geografico, in senso sia fisico che umano, delle argomentazioni politiche dei contendenti e delle tendenze ponderose e contrastanti della storia.".

                Una definizione che se non esaurisce completamente gli spazi di 'manovra' e gli ambiti di intervento della geopolitica sicuramente ne tratteggia efficacemente la funzione.

                Così come, d'altronde, è lo stesso Lorot a fornirci una altrettanto chiara visione della genesi storica di questa branca di studi presentandola quale "figlia della geografia" e suo più che naturale complemento grazie soprattutto all'opera del tedesco Friedrich Ratzel il primo autentico studioso capace di applicare al concetto di "anthropogeographie" (titolo di una sua opera del 1882) - ossia l'evoluzione delle civiltà e dei popoli in relazione alla demografia ed alle diverse tecniche di rappresentazione cartografica degli spostamenti umani - ; quelle implicazioni collegate agli spazi ed alla potenza, alle variabili determinate dal dinamismo storico, che saranno condensate nel volume Politische Geographie (1897).

                Scriverà Ratzel nel settimo capitolo di quest'opera ('profeticamente' intitolato "Il sapere geografico ed etnografico come forza politica" ) che "...l'espansione politica ha un bisogno crescente di elementi intellettuali. E' sempre più sbagliato considerarla solo la riunificazione forzata di nuove province ai precedenti territori di uno Stato. (...) La cultura geografica ha sempre dimostrato la sua efficacia politica.Si potrebbe citare un numero incalcolabile di azioni fallite a causa di un orizzonte politico-geografico deformato o immaginario, della cattiva conoscenza di un paese e dei suoi abitanti, del suo terreno, del suo clima; ma esistono esempi di progetti politici consapevolmente fondati sulla geografia.".

                "Gli Stati - prosegue Ratzel - appaiono così come formazioni spazialmente delimitate e regolate da fenomeni che la geografia descrive, misura, disegna e compara scientificamente. In tal modo essi si inseriscono nell'insieme dei fenomeni di espansione della vita, della quale costituiscono, per così dire, il vertice.".

                Se queste considerazioni potevano ancora essere frutto di una visione zoologico-evoluzionistica, date le 'tendenze' dell'epoca nella quale furono concepite, la loro programmazione dottrinaria sarà 'organizzata' dal Ratzel attorno alla centralità del concetto di spazio - der Raum -; nozione-chiave che Pierre-Marie Gallois nella sua opera "Gèopolitique , les voies de la puissance" (Geopolitica, le vie del potere) chiarisce essere determinante per "l'analogia tra lo spazio nutrizionale indispensabile per la vita delle specie vegetali e animali - il loro Lebensraum (spazio vitale) - e l'estensione del territorio, senza la quale un popolo non potrebbe svilupparsi e dare piena dimostrazione delle sue forze vitali.".

                Come scrive Lorot il concetto di Stato per Ratzel è dinamico: "...lo Stato si evolve come un'organismo vivente: nasce, cresce e si sviluppa, raggiunge la maturità, poi invecchia e muore. Come ogni essere vivente lotta per trarre il massimo profitto da risorse limitate. Il Lebensraum non è comunque invariabile: in 'Die Gesetze des raùmlicher Wachstums der Staaten" (Le leggi dell'espansione spaziale degli Stati, 1901), citato da Gallois, Ratzel considera sette "leggi di espansione" degli Stati:
                1) L'estensione degli Stati aumenta con l'avanzare della loro cultura.
                2) La crescita spaziale degli Stati si accompagna a varie altre manifestazioni del loro sviluppo: l'ideologia, la produzione, l'attività commerciale, il livello della loro influenza e dei loro sforzi di proselitismo.
                3) Gli Stati si espandono assimilando o assorbendo le unità politiche meno importanti.
                4) La frontiera è un organo posto alla periferia dello Stato (considerato come un organismo). Grazie alla sua posizione materializza la crescita, la forza e i cambiamenti territoriali dello Stato.
                5) Nel procedere alla sua espansione spaziale lo Stato si sforza di assorbire aree importanti per il suo progetto: le coste, i bacini fluviali, le pianure e, in generale, i territori più ricchi.
                6) Proviene dall'esterno il primo impulso che spinge lo Stato a espandere il proprio territorio, in quanto è fortemente attratto dalle civiltà inferiori alla propria.
                7) La tendenza generale verso l'assimilazione o l'assorbimento delle nazioni più deboli moltiplica le appropriazioni di territori, dando origine a un processo che in un certo senso si autoalimenta.
                Le frontiere sono dunque destinate a evolversi: questo è per Ratzel un punto essenziale.".

                Punto fondamentale attorno al quale ruoteranno tutti gli studi geopolitici successivi: così, se estensione e spazio erano per la Geopolitik haushoferiana concetti fondamentali, l'attualità geostrategica post-secondo conflitto mondiale pone nuovi elementi di analisi alle ricerche della geopolitica e nuove sfide ai suoi moderni cultori e studiosi.

                Questi elementi rappresenteranno autentiche innovazioni e oggetti di studio essenziali e preliminari dai quali ricavare dottrine coerenti lo sviluppo della politica mondiale.

                Tra essi un posto privilegiato lo occuperanno gli studi relativi allo sviluppo ed al possesso delle risorse energetiche e delle materie primarie di fondamentale importanza per il commercio internazionale, l'analisi del ruolo e della funzione deterrente rappresentata dalle nuove armi di distruzione di massa (dalle atomiche ai razzi balistici) che hanno reso meno essenziale nel corso dei decenni l'idea spaziale delle prime scuole geopolitiche.

                Le frontiere continueranno a vivere di vita propria, a modificarsi, ad espandersi: questo rimarrà un concetto-chiave della politica internazionale. ma nuove, diverse, saranno le formule analitiche fornite dall'avvento dell'era nucleare e da quella informatica: "il ruolo che può giocare l'armamento atomico sulla scena internazionale - osserva Gallois - è indipendente dall'estensione territoriale degli Stati, dalla posizione che occupano, dalla morfologia, dal clima, dall'importanza numerica della popolazione, cioè dalla maggior parte dei tradizionali criteri di potenza."

                Così se si è andata perdendo quella sorta di "mistica delle frontiere", che contraddistinse la geopolitica fino al secondo conflitto mondiale, si sono sviluppate progressivamente nuove sintesi, affermate altre dottrine e imposte moderne chiavi di lettura le quali - sebbene non si siano completamente "liberate" degli eccessi della visione unilaterale, troppo 'propagandistica' e ideologizzata secondo Lorot, data da Haushofer alla sua Geopolitk ed a quelle altrettanto estremizzanti delle scuole britannica e statunitense pre-belliche della prima metà del XX° secolo - hanno determinato la crescita degli studi geopolitici.

                Studi che indubbiamente hanno continuato a nutrirsi delle analisi geografiche - fattori stanziali - applicandole a quelle collegate ai processi politici, agli avvenimenti bellici ed all'evoluzione socio-economica e commerciale delle relazioni tra Stati (fattori dinamici).

                Non esiste politica estera pertanto che non si inserisca nel solco dell'analisi geopolitica e che da essa non ricavi informazioni, proiezioni e idee-guida; così, analogamente, qualunque interpretrazione politica dovrà, sempre più in un futuro prossimo, inevitabilmente interagire con la politica globale di un mondo diventato apparentemente più limitato, equidistante, omogeneo.

                "La prima virtù della geopolitica - osservava l'americano Colin S. Gray nel suo "The geopolitics of the nuclear Era" (La geopolitica dell'Era nucleare, 1977) - (...) è il focalizzare la sua attenzione sui fattori permanenti e durevoli" mentre il suo connazionale , Saul Cohen, poteva rilevare che "l'essenza della geopolitica è lo studio della relazione esistente tra la politica internazionale e le corrispondenti caratteristiche della geografia.".

                Per concludere questa ricognizione d'analisi sul testo del Lorot niente potrebbe essere più chiaro di ciò che Robert Harkavy scrisse per definire la moderna relazione tra Stati ed il ruolo degli studi geopolitici :
                "La geopolitica è la rappresentazione cartografica delle relazioni tra le potenze principali in contrapposizione fra loro.".


            Pascal Lorot , "Storia della Geopolitica" , "Asterios Editore", Trieste, 1997.