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Elogio dell’aquila

di Gianfranco de Turris - 10/03/2017

Elogio dell’aquila

Fonte: EreticaMente


Ogni immagine ha due prospettive, quella realistica e quella simbolica. Ciò che rappresenta e ciò che sta al di là e a di sopra della rappresentazione. Non tutti se lo ricordano e si fermano alla prima impressione di superficie, soprattutto se suggestiva, eclatante.

Come ad esempio quella dell’aquila reale che piomba su un piccolo drone, lo afferra con gli artigli e lo distrugge con i colpi del suo becco potente. Suggestiva, eclatante, addirittura entusiasmante. Il rapace è stato addestrato dall’esercito francese(ma già ci aveva pensato quello olandese) a catturare, abbattere e addirittura a riportare a terra questi piccoli velivoli telecomandati capaci non solo di fotografare e filmare ma anche di portare bombe. Si dirà: animali impiegati per usi miliare se ne conoscono da sempre, dai cavali in battaglia ai muli della prima guerra mondiale, ai cani sminatori, addirittura ai delfini, che c’è di nuovo? In realtà, qui è assai  diverso da un punto di vita simbolico.

Qui, infatti, c’è di mezzo quello che è sempre stato considerato il “re degli uccelli”, un volatile maestoso e regale, in passato e ancor oggi  simbolo di imperi, da quello romano a quello napoleonico, da quello asburgico a quello zarista sino all’aquila americana dalla testa bianca. L’aquila è un simbolo di maestà, un simbolo non solo della natura, ma anche della divinità: messaggero degli dei e di Zeus, reca le sue decisioni e a sua vendetta, esegue i suoi ordini, rapisce i mortali. Animale solare, unico può guardare l’astro senza abbagliarsi. Animale alchemico. Animale araldico. Spirito libero e altero per eccellenza, ma non per questo disdegnano di salvare Gandalf, Sam e Frodo ne Il Signore degli Anelli.

Il nobile volatile che piomba implacabile dall’alto e distrugge e cattura l’aggeggio volante costruito dall’uomo, un essere artificiale e modernissimo, non rappresenta altro che la vendetta e, qui, la superiorità della naturalità sulla meccanicità, la dimostrazione che in questo caso non è detto che a priori il marchingegno elettronico realizzato da sempiterno sogno faustiano dell’uomo sia superiore a una espressione della natura, selvaggia o meno che sia. E che non è detto a priori che l’artificio possa prevalere sempre e comunque, che noi si sia destinati a diventare da padroni a servi delle nostre invenzioni.

Ovviamente ci sono droni enormi contro cui le aquile nulla potrebbero, ma questa immagine del rapace che allunga i suoi rostri verso la macchinetta di plastica e metallo in volo è quasi confortante. Come a dirci: la tecnologia sempre più avanzata non deve essere obbligatoriamente il nostro destino finale, sembra ammonire l’aquila imperiale, e che non è vero che il regno dei computer, dei tablet, degli smarthphone, dell’elettronica sia invincibile.

E, si parva licet componere magnis, ce lo insegna anche un altro piccolo episodio di tutt’altro genere con protagonista… l’attuale  premier! Gentiloni, proprio lui, come hanno riferito i giornali, quando era ministro degli esteri, sapendo che la Farnesina era o poteva essere sotto attacco informatico, preferiva comunicare scrivendo i suoi messaggi i le sue istruzioni, non mediante la ormai ovvia posta elettronica ma a voce e grazie a biglietti (una specie di pizzini istituzionali, insomma!) evidentemente a mano, per non essere intercettato dai pirati informatici o da un qualche servizio segreto.

Magari americano, come la cronaca recente e meno recente insegna.

Insomma, un modo per sfuggire alle trappole della tecnologia sempre controllabile. Banale forse, ma anche qui un simbolo.