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Come mai il Pakistan interviene nella guerra in Yemen?

di Lorenzo Centini - 22/03/2017

Fonte: Italia Sociale

 

 

É notizia di non molto tempo fa che oltre a Sudan,Emirati Arabi Uniti, Qatar, Marocco, Senegal ed altri anche il Pakistan, nazione da sempre collegata strettamente alla sfera di influenza saudita, abbia inviato alla frontiera yemenita alcune forze di terra[1].

 

La notizia, importante e centrale in uno scenario che dopo il congelamento del conflitto siriano e il volgersi alla conclusione di quello in Iraq diventerà sempre più dirimente, è in aperto contrasto col rifiuto che invece Islamabad aveva opposto alla richiesta di Salman di un aiuto in Yemen, avanzata da Ryadh al Pakistan nella Primavera del 2015, all'inizio del conflitto e del reale coinvolgimento militare saudita.

 

Tradizionalmente il Pakistan ha sempre mantenuto un basso profilo fuori dal suo quadrante indoiranico. Le diatribe pesanti con Iran ed Afghanistan sul controllo delle frontiere, la infinita diatriba territoriale sul Kashmir indiano, recentemente riaccesa da una serie di sommovimenti popolari, la guerra intestina tra apparato militare USA, esercito e servizi segreti alleati dei ribelli islamisti nel Nord hanno bloccato molto spesso qualsiasi afflato di Islamabad oltre la sua area di competenza.

 

Negli anni Islamabad ha saputo anche tessere rapporti proficui con la Cina (che lo ha sempre supportato in funzione antindiana), con la Russia (che con la Cina condivide l'uso del porto di Gwandar) e gli altri giganti sunniti, soprattutto Indonesia e Malesia.

 

L'entrata di una brigata pakistana nel conflitto yemenita rompe questa tendenza. Opportunamente Islamabad aveva rifiutato l'offerta di due anni addietro di Ryadh, asserendo che se Islamabad fosse entrata nella coalizione saudita, il conflitto settario tra Sciiti e sunniti sarebbe stato riattizzato anche in patria, mettendo in pericolo la stabilità stessa delle regioni dove sciiti e sunniti convivono.

 

Tuttavia nuove considerazioni strategiche hanno portato Sharif (che stavolta non ha coinvolto eccessivamente il parlamento, come invece aveva fatto quando aveva rifiutato le proposte di Ryadh) ad entrare in Yemen.

 

DUE BUONI MOTIVI PER ADERIRE: RASSICURARE I SAUDITI E TRASCINARLI IN KASHMIR

 

Prima di tutto, la decisione pakistana di inviare una brigata sul teatro yemenita arriva dopo una visita fatta dal generale Qamar Javed Bajwa in Arabia Saudita a Dicembre:

 

“Gen Bajwa reiterated Pakistan's commitment to the security and protection of the Holy Mosques and also the territorial integrity of the kingdom”[2]

 

Testimoniando quindi la volontà di aderire alla causa saudita che aveva collegato la sua guerra per ristabilire il governo Hadi in Yemen con la coalizione antiterroristica messa su proprio dall’ Arabia Saudita in risposta al nuovo vigore che l'ISIS aveva mostrato nel 2015/2016.

 

Inoltre, con le motivazioni sopraesposte, Qamar sostiene sottilmente la posizione saudita che aveva accusato gli Houtni di voler attentare alle due moschee sacre con lanci di missili; accusa che gli Houtni avevano smentito categoricamente.

 

Questa accusa non è infatti priva di risvolti geostrategici. Accusare gli Houtni (sostenuti diplomaticamente da Teheran) di attentare alla sicurezza delle moschee vuol dire mettere in totale contrasto la difesa dell'Islam con una qualsivoglia politica di mutuo riconoscimento, da parte di una nazione sunnita, del ruolo iraniano (e sciita) nell'equilibrio mediorientale. Il ricatto saudita colpisce soprattutto quei paesi che, dilaniati da conflitti interetnici, rischiano enormemente di collassare sotto una guerra civile ormai non più strisciante.

 

Islamabad (di cui bisogna calcolare la tripartizione strategica in complesso islamista/esercito/servizi segreti) sostiene questa tesi per radicalizzare lo scontro interno tra sciiti e sunniti, nell'ottica di completare la sua uscita da una palude diplomatica in cui i rapporti diplomatici con Teheran la avevano gettata. Il primo rifiuto era infatti arrivato dopo una visita di Zarif in Pakistan, aizzando l'opinione degli ambienti dei paesi antiraniani, che il Pakistan stesse cambiando barricata. Questo ritorno su posizioni di fatto antiraniane, nei termini della adesione di Qamar alle posizioni saudite, potrebbe essere quindi un modo per riacquistare una posizione preminente e non sospetta nel mondo islamico e soprattutto nella Conferenza Islamica, dominata da Ryadh.

 

In secondo luogo, Islamabad non vuole rimanere indietro nella nuova fase di agitazione che sta attraversando il Kashmir. I nuovi scontri che ormai da mesi infiammano la regione hanno nei fatti assunto una spiccata connotazione religiosa, con il governo di destra, che accusa apertamente il Pakistan di fomentare il terrorismo nella regione[3] e il governo pakistano di difendere diplomaticamente i detenuti separatisti nelle carceri indiane.

 

Tuttavia, nel puzzle del Kashmir, le amicizie e le inimicizie di rimescolano. Si vedrà allora che, sul Kashmir, i sauditi si sono dimostrati negli anni abbastanza freddi, più inclini a mantenere rapporti proficui con l'India, che a supportare la minoranza islamica nella regione[4] mentre gli iraniani, tradizionalmente non molto vicini ad Islamabad, sostenerlo apertamente in questo frangente, in nome della resistenza islamica globale.

 

Anche se gli inizi del 2017 hanno visto una riduzione delle frizioni in Kashmir in termini di proteste ed arresti, le braci covano sotto la cenere. Per Islamabad è centrale creare da un lato una rete diplomatica che la supporti con l'India (che negli anni si è conquistata l'appoggio informale russo, pareggiando i rapporti amichevoli e di alleanza del Pakistan con la Cina) che possa un giorno risultare “pesante” in sede internazionale, e dall'altra aumentare il proprio ascendente sulla stessa popolazione del Kashmir, polarizzando in senso religioso il conflitto, mirando quindi a portare dalla propria parte tutti i musulmani del Kashmir, che sono praticamente il novanta percento della popolazione.

 

In questa lotta al Soft Power, la adesione alla guerra in Yemen sarà una gran bella mossa propagandistica in tal senso, mettendo il Pakistan tra i difensori della Mecca e della Medina, acuendo il proprio status di “Defensor Fidei”. Per questa via Islamabad vorrebbe anche trascinare, come in un “Do ut Des”, Ryadh in una maggior implicazione ideologica della lotta del Kashmir, come già fece a suo tempo sostenendo le prospettive ufficiali islamiche contro alcune frange Deobandi, e viceversa. D'altro canto il Pakistan è sicuro di non perdere la sponda iraniana, che per la sua natura ideologica non può facilmente dismettere le lotte islamiche in Palestina e, appunto, Kashmir.

 

SCATOLE CINESI

 

Il convitato di pietra tra India, Pakistan ed Arabia Saudita è la Cina, che intrattiene ottimi rapporti commerciali e diplomatici tanto con Ryadh che con Islamabad, di cui è solida alleata contro l'India ormai dagli anni Settanta. Con quest'ultima la Cina ha riscoperto dall'inizio del nuovo millennio una nuova fase di rapporti distesi, grazie anche alla comune militanza nei BRICS e alla mediazione russa.

 

Non a caso Re Salman, nel suo viaggio in Asia (ha già visitato Indonesia e Giappone), è sbarcato in Cina. Con la straordinaria crescita cinese Pechino ha scalato le classifiche degli importatori di petrolio, soprattutto dal Medio Oriente. E se gli accordi cinesi con l'Iran e Russia su gas e petrolio sono solidi ed ormai implementati da anni, le importazioni di quest'ultimo della Cina a pro di Ryadh sono cresciute enormemente. Sinopec, Norinco e altri colossi a capitale statale partecipato hanno firmato con la Saudi Aramco vari accordi per creare una catena del petrolio, totalmente sino-saudita. Ryadh stima di poter concludere accordi commerciali con Pechino per 65 Miliardi di dollari.

 

D'altronde, la Cina ha anche molto investito sul Pakistan, sia in termini di capitali, sia in termini di infrastrutture: una parte dei collegamenti necessari alla “Nuova via della seta” sono in territorio pakistano, e l'hub portuale, Gwandar, tirato su con i soldi cinesi, rappresenta una assicurazione sulla vita dei rapporti sino-pakistani.

 

Che interessi può avere la Cina nella contesa a tre e sull'intervento pakistano? Pechino aveva, abbastanza sorprendentemente, offerto il proprio supporto al governo di Hadi contro gli Houtni nel Gennaio di quest'anno, mettendosi quindi sulla barricata contraria rispetto a Teheran.[5]

 

Tuttavia, con sagacia diplomatica Pechino aveva smorzato i toni, offrendo garanzie all'Iran in termini di neutralità militare.

 

In questo contesto, assicurata la alleanza con Teheran, l'interveto pakistano in Yemen può diventare un volano delle relazioni economiche tra Pakistan e Cina. Islamabad può diventare, insieme a Ryadh, un ottimo Hub diplomatico per la Cina al fine di entrare nelle complesse vicende mediorientali, da cui Pechino si è sempre distaccata o affacciata solo per interposta persona. Inoltre, Islamabad ha una parte consistente delle chiavi dell'Afghanistan che, dopo la parziale dissolvenza della presa americana, può diventare un protettorato cinese.

 

D'altronde, già Pechino ha cominciato ad impegnarsi tanto diplomaticamente quanto con uomini e mezzi nel pantano afghano. Sicurezza in Afghanistan ed investimenti in Pakistan sono un dipolo inscindibile, come afferma Raffaello Pantucci per Reuters:

 

“For Beijing, a stable and secure Afghanistan is both key to domestic security as well as its growing investments in Pakistan. And it is not always clear that Beijing finds operating in Pakistan easy. There have been stories of lawsuits, a local population who feel they are not being included in the process as well as human casualties as CPEC tries to bring development to Pakistan's more isolated regions. China is discovering building CPEC is not a smooth ride.

 

But Beijing still prizes its relationship with Pakistan, aware that an unstable and paranoid Islamabad is worse than what they have at the moment. Consequently, Beijing will continue to support Pakistan vociferously and publicly - including in defending it from being publicly named and shamed as a 'state sponsor' of terrorism in the U.N”[6]

 

L'intervento pakistano in Yemen, quindi, concede di pensare ad un futuro di maggior protagonismo della Cina negli affari, sia centro asiatici , che propriamente mediorientali, e un maggior coinvolgimento del Pakistan nella nuova architettura che Ryadh sta allestendo per indebolire e respingere l'onda lunga iraniana dopo la vittoria ad Aleppo e la sconfitta dei ribelli nella guerra civile siriana.

 

                    

 

[1] La notizia è stata riportata dal quotidiano pakistano “The Nation” lo scorso 13 Marzo, da fonti dell'esercito pakistano (http://nation.com.pk/national/13-Mar-2017/pakistani-troops-to-guard-saudi-borders-against-houthi-attacks)

[2] Citato in “General Qamar Bajwa calls on Saudi King Salman, vows to guard Holy Mosques”,uscito su Dawn il 18 Dicembre 2016

[3] “Pakistan played key prole in fomentino Etroubles in Kashmir: Rajnath” uscito su The Hindu il 1 Ottobre 2016

[4] Dipanjan Roy Chaundhury, “Neither Gulf nor West supporting Pakistan on Kashmir Issue”, uscito su The Economic Times il 25 Agosto 2016

[5] http://www.reuters.com/article/us-saudi-china-yemen-idUSKCN0UY0C1

[6] Raffaello Pantucci, “China's expanding security role in Afghanistan”, uscito su Reuters il 1