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L’«utile amicizia» con Trump che Putin deve ora ripensare

di Sergio Romano - 08/04/2017

L’«utile amicizia» con Trump che Putin deve ora ripensare

Fonte: Il Corriere della Sera

Quando Silvio Berlusconi offriva pubblicamente a Vladimir Putin l’ingresso nella Unione Europea, il presidente russo lo ringraziava con un cortese sorriso in cui qualche osservatore intravedeva un’ombra di scetticismo. Non voleva matrimoni; gli sarebbe bastata una utile amicizia da cui entrambi i Paesi avrebbero potuto trarre qualche vantaggio.

Non credo che in un contesto molto più complicato e drammatico, l’atteggiamento di Putin verso Donald Trump sia sostanzialmente diverso. Viste da Mosca, le elezioni presidenziali americane non avrebbero mai risolto, una volta per tutte, il problema dei rapporti fra due Paesi che hanno interessi e mentalità alquanto diversi. Putin sperava certamente nella sconfitta di Hillary Clinton perché le attribuiva (soprattutto dopo l’annessione della Crimea), un atteggiamento ostile. E leggeva con curiosità le dichiarazioni di Trump perché un candidato repubblicano, agli occhi di un leader russo e post-sovietico, è sempre preferibile a un democratico. Con il primo è possibile trovare un terreno di reciproche convenienze. Con il secondo la Russia, chiunque occupi il Cremlino, rischia di imbattersi, come all’epoca di Woodrow Wilson e di Jimmy Carter (presidenti, rispettivamente durante la Grande guerra e gli anni Settanta del secolo scorso), in politici missionari, sempre pronti a impartire lezioni di democrazia al mondo. I migliori presidenti americani per Mosca sono stati Richard Nixon e Ronald Reagan. Il primo fece accordi sul disarmo che convenivano anche all’Urss. Il secondo credette nelle riforme di Gorbaciov e firmò con Mosca un accordo storico sulla limitazione dei missili intermedi.

Quando scese in campo per la Casa Bianca, Trump presentava, rispetto ai suoi predecessori, un altro vantaggio. Era un uomo d’affari e aveva già fatto qualche esperienza russa fra cui un viaggio a Mosca per l’organizzazione del concorso di Miss Universo. La Russia è un enorme Paese, dotato di straordinarie risorse naturali e può essere, nelle sue relazioni economiche con il mondo, alquanto spregiudicata. Furono spregiudicati i sovietici quando permisero all’Urss, dopo il Trattato firmato a Rapallo nel 1922, di addestrare in territorio sovietico le truppe e le armi proibite dal Trattato di Versailles. Furono spregiudicati quando Stalin realizzò il primo piano Quinquennale con il contributo determinante della industria tedesca. Sono stati spregiudicati i suoi successori quando hanno fatto altrettanto con la Germania e altri Paesi capitalisti dopo la Seconda guerra mondiale. Se avesse deciso di allargare alla Russia le sue iniziative economiche, Trump sarebbe stato accolto dagli oligarchi putiniani a braccia aperte.

Ma non credo che Putin abbia riposto nel nuovo presidente americano eccessive speranze. Il vecchio agente del Kgb sa che esiste nella società politica americana un partito trasversale per cui la Russia è sempre un potenziale nemico. E sa che questo partito è particolarmente forte nelle due istituzioni (il Dipartimento di Stato e il Pentagono) da cui dipende in ultima analisi la gestione quotidiana della politica estera degli Stati Uniti. Ne ha avuto una conferma quando ha constatato che l’America aveva deciso di estendere la Nato sino alle frontiere dell’Urss e di oltrepassarle accogliendo fra i suoi membri le tre repubbliche del Baltico. Ne ha avuto una ulteriore conferma quando si è accorto che esistono gruppi americani per cui i prossimi candidati all’organizzazione atlantica dovrebbero essere la Georgia e l’Ucraina.

Questo non significa che l’ultima decisione di Trump (una raffica di missili sulla basa siriana da cui sarebbe partito l’attacco chimico degli scorsi giorni) sia stata accolta a Mosca con una alzata di spalle. Putin credeva che Trump, nonostante la sua evidente imprevedibilità, fosse almeno fortemente interessato alla guerra contro lo Stato islamico e quindi consapevole dell’importanza di un rapporto positivo con la Russia (che dell’islamismo radicale è stata per molto tempo una delle maggiori vittime). Oggi ha scoperto che il presidente americano non farà mai, probabilmente, una politica estera di lungo respiro. Il metro con cui Trump misura un evento internazionale è l’effetto che potrebbe avere sulla sua immagine negli Stati Uniti. Nel caso dell’attacco chimico contro la città di Kan Sheikhoun ha deciso che il silenzio o la semplice richiesta di una inchiesta internazionale avrebbe nuociuto alla rilevazione quotidiana del suo tasso di popolarità. Vi saranno certamente altre occasioni in cui la Russia e gli Stati Uniti lavoreranno insieme per un obiettivo comune. Ma oggi Putin e altri leader internazionali sanno che la vera preoccupazione del presidente americano è il tweet del giorno dopo.