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Per un'economia di autosussistenza

di Enrico Caprara - 25/04/2017

Per un'economia di autosussistenza

Fonte: Il giornale del Ribelle

L'essere umano, alle condizioni attuali della civiltà, si trova generalmente a vivere un'esistenza economica di merci industriali. La nostra personale economia - nel senso, il più proprio, di "modalità con cui vengono soddisfatti i bisogni materiali" - si realizza ottenendo dei beni da dei fornitori, contro pagamento in moneta. In quanto comperati, i beni sono delle merci. Questi beni che si comprano - queste merci - sono prodotti da un sistema industriale, cioè da un complesso produttivo organico, interrelazionato, che utilizza a fondo le conoscenze scientifico-tecniche, con organizzazione e procedimenti complessi, facendo grande uso di macchine e con una forte divisione dei compiti lavorativi. Questa modalità produttiva industriale si contrappone a quella artigianale, tenuta pressoché per tutta la storia umana, e caratterizzata dall'uso di attrezzi piuttosto semplici, nonché dal compimento di tutta l'opera lavorativa da parte di un solo artefice o gruppo stabile. (L'attività produttiva che oggi viene definita "artigianale" non ha in effetti queste caratteristiche.) Un Sistema di propaganda, estremamente organizzato, ha potuto imporre l'idea che questo tipo di economia, industriale delle merci, sia l'economia "naturale", la tendenza economica umana "normale"; e che il tipo di lavoro umano che sta dentro questa economia, il lavoro d'impiego professionale monetario, è il tipo di lavoro umano naturale e normale. Se si parla a qualcuno di "lavoro" in termini diversi dall'essere utilizzati come strumenti per un compenso monetario, ci si trova di fronte a stupore e quasi a un paradossale fastidio, come se rischiasse di incrinarsi uno pseudo-equilibrio molto delicato. […] C'è poi chi rimane estraneo a qualunque forma di impiego professionale: la classe sociale del Potere - del Potere del denaro. Abbiamo così una parte sociale, di Potere, estranea all'alienazione del lavoro; e abbiamo, poi, la parte sociale di coloro i quali realizzano effettivamente l'economia industriale, dall'imprenditore al lavapiatti, accomunati nell'alienazione, nella frammentazione, nella perdita del senso... […] Questa forma economica, caratterizzata da una produzione di estrema complessità tecnica, che fornisce prodotti sempre più complessi, di funzionamento sempre più automatico e nascosto, è negativa già da un punto di vista "antropologico". L'essere umano ha sue caratteristiche proprie, che fondamentalmente sono spirituali e perciò immutabili. Ha bisogno di consapevolezza, di un rapporto consapevole con il mondo; ha bisogno di avere sotto il proprio controllo i fatti che realizzano la sua propria esistenza. Si trova invece ad aver a che fare con modi di organizzazione, materiali, dispositivi, di cui sa in realtà poco o nulla. Basta "schiacciare un bottone": sempre però con un sotterraneo timore che la macchina non funzioni. Le ansie e le nevrosi vengono in buona parte da qui. Che poi si disponga di più o meno denaro per manutenzioni ordinarie e straordinarie, chiamate di "carri-attrezzi", interventi di tecnici specializzati, non cambia nella sostanza questa percezione. Ma supponiamo pure che queste forniture economiche industriali, tecnicamente iperboliche, siano un vantaggio, una comodità - ciò che, come dicevo, non credo affatto. Perché queste cose siano disponibili devono però essere prodotte. Contenuti tecnici estremamente complessi possono essere ottenuti solo mediante una produzione dalle caratteristiche industriali: una produzione che prevede il lavoro umano nella forma della fortissima specializzazione, della parzialità. Il lavoro, uno degli aspetti fondamentali dell'esistenza umana, viene così ad essere qualcosa che invece di contribuire ad una realizzazione compiuta, disintegra. Viene ad essere una delle principali cause dell'alienazione, della estraneazione dell'essere umano a sé stesso, della disarticolazione nella sua personalità. L'attività lavorativa deve ridursi ad una abnorme quantità di conoscenze e operatività specifiche, che invece di rivelare il mondo e la nostra posizione in questo, confondono. La capacità mentale umana, anche subcosciente, è limitata; la necessità di trattenere una miriade di nozioni e schemi ad uso professionale, richiede l'abbandono di saperi fondamentali dal punto di vista propriamente umano. Ci si può illudere, magari, di trovare posizioni non alienanti nelle funzionalità sociali più elevate. Ma il modo di produzione industriale - "produzione" in senso ampio - è una caratterizzazione che pervade tutto: il medico sarà medico industriale, l'insegnante scolastico insegnante industriale, l'attore e il cantante lo saranno industrialmente, il calciatore sarà calciatore industriale. Ciò che ricaveranno dalla loro posizione sociale elevata sarà una disponibilità monetaria, ovvero un'abbondante disponibilità delle varie droghe, con cui tentare un'impossibile compensazione all'alienazione. Questa modalità di esistenza economica, delle merci industriali, funziona poi nel mantenimento di una sottomissione sociale. La sussistenza economica viene generalmente ritenuta possibile, per via innanzitutto del Sistema di propaganda, solo grazie a prodotti complessi, che possono essere realizzati solo dal Sistema di produzione industriale; questi prodotti vengono forniti come merci: si devono cioè acquistare pagando in moneta. La cosa importante è che l'appartenente alla classe sociale subordinata non sia nelle condizioni di produrre da sé la propria sussistenza economica, ma sia sempre nel bisogno di forniture esterne, che alla fine è sempre un bisogno di denaro. L'ottenimento di denaro può realizzarsi, complessivamente, con la sottomissione della classe inferiore alla classe sociale che "per definizione" dispone della moneta - "per definizione" dal momento che la moneta, oramai completamente immateriale, virtuale, è creata dal nulla tramite le banche. È chiaro, peraltro, quale sia la portata più generale di questo rapporto fra le due classi. Il denaro viene a determinare pressoché completamente tutti i rapporti sociali. Ogni rapporto personale, anche interno alla classe sociale sottomessa, è, a meno di eccezionalità, un rapporto di Potere, di violenza del denaro. L'esistenza economica "delle merci industriali" determina quindi una condizione umana caratterizzata dall'alienazione, nella persona, e dalla violenza (del denaro) nei rapporti interpersonali. L'uscita da questa condizione inumana richiede l'uscita dall'esistenza economica delle merci industriali, e il passaggio ad un'altra modalità di esistenza economica: quella di autosussistenza. La modalità, cioè, del provvedere da sé ai propri bisogni economici, dove il "da sé" può essere riferito a diversi livelli dell'aggregazione umana: oltre l'individuo, la famiglia, il clan, la tribù... Tutti quei livelli di aggregazione in cui ognuno può sentire come proprio quel che si fa; in cui ognuno è in qualche modo partecipe; in cui i rapporti sono essenzialmente personali diretti, e non caratterizzati dallo scambio calcolato.

 

 Il senso proprio della vita economica, della produzione di possibilità materiali, è di costituire il fondamento alla vita spirituale. Lo spirito è il livello della personalità propriamente umano; lo spirito vive di simboli, di aspetti della realtà e dell'esperienza che gratificano e illuminano secondo pure e dirette percezioni. […]   Il livello di economia utile è qualcosa di completamente diverso da quello affermatosi nell'attuale forma di civiltà; è quello caratterizzato da semplici, stabili abitudinarietà naturali; quello che fornisce le necessità materiali con giusto agio, badando primariamente a lasciare una tranquillità d'animo. Nell'attuale forma di economia pressoché tutto è un sovrappiù e una devianza. Tutto è studiato alla perdita delle semplici abitudini naturali (tranquillità, indipendenza) e alla loro sostituzione mediante complesse abitudinarietà controllate tecnicamente (ansia, bisogno di denaro). […]   Il sovrappiù malefico e fuorviante - vediamo di parlar chiaro - è il telefonino, il computer, la televisione, l'automobile, la plastica, l'acciaio, l'energia elettrica... Le fondamentali necessità economiche, pratico-materiali, sono in fin dei conti tre (come dice Platone nella Repubblica, anche se la sua cultura greca è già permeata da un senso forte della divisione del lavoro): abitazione, vestiario, alimentazione. Quando non si desiderino ascensori o impianti satellitari, costruirsi un piccolo edificio d'abitazione non è assolutamente fuori della portata di una persona che abbia normale intelligenza, buone conoscenze generali, capacità di apprendere in proprio, capacità di risolvere con equilibrata creatività questioni di cui non aveva mai avuto esperienza - quest'ultima caratteristica, particolarmente, è possibile a chi non abbia la mente sclerotizzata da conformazioni professionali. I materiali per la costruzione possono essere molto basici: legno, pietra, terracotta, pietra calcarea per fare calce, sabbia, catrame vegetale, un po' di ferramenta, qualche lastra di vetro. Ci vorrà il fuoco (l'energia) quindi della legna da ardere, un bosco nelle vicinanze; ci vorrà l'acqua, una sorgente preferibilmente, oppure un pozzo. Per l'arredo e il corredo domestico si tratta di saper praticare un'essenziale falegnameria, metallurgia, ceramica, vetreria. Tutte cose alla portata di un piccolo laboratorio artigianale. Riguardo il vestiario e i panni più in generale, c'è da disporre anzitutto di un filato, tradizionalmente lana o lino più del cotone, la cui coltivazione necessita di un clima particolarmente caldo. Per millenni o forse decine di millenni la filatura si è fatta usando un pezzetto di legno a forma arrotondata, il fuso. Un'operazione certo lenta (al nostro sguardo frenetico?): ad ogni modo, a quanto pare, si filava abbastanza per i panni necessari. L'invenzione, comunque, nel medioevo del "filatoio ad alette", una piccola e semplice macchina in legno, dove un fuso in orizzontale gira mosso da una ruota, azionata a sua volta da un pedale, ha molto aumentato le possibilità per una filatura semplicemente realizzata. Un telaio a due licci è direi abbastanza facilmente autocostruibile: sino a non poi molti decenni fa era cosa normale che un insediamento rurale disponesse di un proprio telaio, con cui autoprodurre i tessuti necessari. Mi sembra di esperienza comune che una essenziale arte sartoriale sia alla portata di tutti. La questione della disponibilità di vestiario e panni richiama un fatto che va considerato anche in termini più generali: la possibilità del recupero. […] Per chi si ponga nella prospettiva di un uso limitato e autoprodotto di oggetti metallici, non avrebbe né senso pratico né moralità di rispetto della Natura continuare l'esaurimento di risorse, già scarseggianti, in presenza di un'abbondante quantità di metallo da rifondere o rifucinare. Insomma, si può considerare realistico un utilizzo contingente di manufatti industriali, di semplice costituzione, che intanto si possano con una certa facilità reperire (per esempio oggetti in acciaio, dal momento che l'acciaio è ottenibile solo con processi industriali, e d'altra parte è estremamente durevole). Si può ritenere opportuno praticare un certo recupero dalla produzione industriale, senza tralasciare per nulla di coltivare le capacità di autoproduzione, che resta ovviamente la modalità di produzione sana e normale. Si tratterebbe di una sorte di "dote iniziale", che tradizionalmente era il lascito della produzione artigianale delle generazioni precedenti: per chi voglia compiere, oggi, il passaggio dall'economia industriale all'economia di autosussistenza, la dote iniziale può essere opportunamente e giustamente un recupero della produzione industriale. […]   La possibilità del ritorno ad un'autosussistenza alimentare è già suggerita dalla grande diffusione raggiunta, negli ultimi tempi, dalle "autoproduzioni domestiche": farsi il pane, coltivare degli ortaggi anche sul balcone, eccetera. Naturalmente, un'autosussistenza alimentare è cosa ben diversa da qualche autoproduzione fatta saltuariamente, come svago dalla routine impiego-consumo. Un'autosussistenza alimentare necessita, intanto, di una riduzione drastica della varietà alimentare cui siamo comunemente abituati. Facendo tutto "in proprio" si può badare all'ottenimento di un numero limitato di cose. Del resto, la varietà offerta da un supermercato è, io credo, cento volte superiore a una varietà normale e sana, fisiologicamente e psicologicamente. […]   Nei giusti termini limitati ci si può provvedere di tutto. Già con le coltivazioni vegetali, insieme - cosa da tenere molto in considerazione - alla raccolta spontanea, tutte le necessità alimentari possono essere soddisfatte […]   Abitazione, vestiario, alimentazione, sono gli aspetti fondamentali ma non esauriscono completamente il campo della vita economico-pratica: c'è qualche altro aspetto che va considerato, particolarmente in queste modalità dell'organizzazione umana e del vivere in cui di fatto ci troviamo.

 

La questione della salute, della sanità, è oggi per noi inevitabilmente relazionata a un Sistema di medicina scientifico-tecnica, industriale. È una medicina che ha senz'altro capacità di intervento fortissime. Ma come sempre le cose vanno considerate nel complesso. Intanto si può rilevare come la medicina industriale curi, anche con grande potenza, malattie che la stessa civiltà industriale ha generato. La chemioterapia attacca tumori prodotti in buona parte dall'inquinamento; gli impressionanti macchinari di un odontoiatra operano su alterazioni ai denti che popolazioni "primitive" non sanno neppure cosa siano; tutto l'armamentario degli psicofarmaci cerca di intervenire su disagi psicologici che l'alienazione della vita industriale ha generato. Il modo di cura scientifico-tecnico è poi in generale fortemente invasivo, alterativo; riflette una valutazione tipica della civiltà industriale: che la capacità di alterazione sia sempre un vanto e una possibilità positiva. Ma la struttura della realtà è fatta di equilibri delicati, rilevabili materialmente o anche più sottili. In altre culture - particolarmente il Taoismo - la tendenza a produrre alterazione è considerata la manifestazione propria del Male. Alterare le cose, alterare un complesso come l'organismo umano, è sempre rischioso. La medicina industriale può senz'altro agire potentemente su specifiche patologie, ma facilmente innesca un circolo vizioso: altri squilibri insorgono per via di quell'intervento curativo, che richiedono altri interventi curativi eccetera. Questa forma di medicina, differentemente caratterizzata rispetto ad altre, possiamo anche vederla sottesa a una differente cultura della vita e della morte. In passato si sapevano affrontare, con animo sostanzialmente sereno, patologie delle quali non si conosceva in termini analitici pressoché nulla. E magari, proprio per questa solidità di atteggiamento, con esiti di guarigione anche sorprendenti. Quand'era poi il momento, si sapeva come morire. Oggi, credo, non vivendo autenticamente non si possono accettare cose come la malattia e la morte. Ad ogni modo, come dicevo, la medicina è uno di quegli aspetti dell'esistenza per cui si è, al momento, inevitabilmente relazionati al Sistema. Certo, possiamo vedere oggi una buona diffusione di conoscenze e pratiche mediche alternative alla medicina industriale, con la riscoperta di saperi tradizionali, ed è la via maestra su cui procedere, per ricostituire una medicina essenzialmente preventiva, fatta di pratiche tendenzialmente semplici, conoscibile e conducibile autonomamente dalla persona o comunque nell'àmbito delle aggregazioni umane primarie. […]   Anche riguardo a realizzazioni in apparenza molto gratificanti, come un allungamento dell'aspettativa di vita che negli ultimi decenni ha avuto luogo, volendo guardare senza remore la realtà delle cose ci si può scorgere un'ombra del Potere. Una vita più lunga sta comportando in effetti, come vediamo, una più lunga vecchiaia, un più lungo periodo della vita in cui ognuno può vedersi come molto bisognoso delle forniture del Sistema. Una posizione da cui il Sistema rafforza la propria pretesa di importanza e di inevitabilità, da cui può incutere remore psicologiche a chi intenderebbe magari, per altre considerazioni, esserne un oppositore.

 

Un altro aspetto che reca con sé una forte caratterizzazione di rapporto con il Sistema è quello della sicurezza. […] L'uso della forza, contro chi cerchi di violare l'incolumità o l'àmbito garantito, è tenuta dal Sistema come propria prerogativa - a meno di situazioni eccezionali che necessitino di una indifferibile "legittima difesa" da parte del diretto interessato. Una questione che, dati questi termini, si pone in maniera assolutamente rilevante. Il Sistema richiede qui un riconoscimento totale.   Non vedo in effetti ci sia l'opportunità, per chi voglia condurre un percorso di autarchia, di porsi da subito in un'esplicita alternativa rispetto all'appartenenza statuale, al Diritto, all'uso riservato della forza. […] Sempre mantenendo, ad ogni modo, chiarezza di veduta: considerando complessivamente l'appartenenza statuale è l'appartenenza dello schiavo al padrone; il Diritto è una regolarizzazione dell'oppressione; la forza pubblica, gli organi della giurisdizione, le carceri, servono a intimorire i sottomessi. Poi, anche qui, vale quanto detto riguardo la Sanità: chi opera nell'istituzione è magari in buonissima fede, pensa che il proprio impegno sia finalizzato a mantenere una correttezza nei rapporti sociali e una libertà che, in fin dei conti, non esistono. […]  

 

La previdenza consiste di quegli ausili monetari che il Sistema organizza e fornisce per vecchiaia, condizioni particolari, o comunque situazioni sociali determinate. […] Condizioni dell'esistenza umana come la vecchiaia, troverebbero normalmente una loro equilibrata soluzione in quegli àmbiti di aggregazione umana - il clan familiare soprattutto - che l'attuale forma di civiltà ha provveduto a distruggere. La prospettiva di estraneazione dal Sistema in senso autarchico mantiene dunque, per intanto, degli aspetti di inevitabile relazione con il Sistema. Ho detto di sanità, sicurezza, previdenza. Sono aspetti di relazione dove l'autarca, in effetti, può ricevere qualcosa. Si dovrebbe mettere nel conto, ovviamente, tutto ciò che gli viene tolto: in termini di possibilità esistenziali, di costrizioni più o meno manifeste. Il Sistema, come contropartita di questo genere di provvidenze, attua delle imposizioni di carattere fiscale. Delle richieste monetarie. Ora, il fatto di non utilizzare denaro è uno degli aspetti che più fortemente costituiscono il valore di un tipo di conduzione umana come l'economia di autosussistenza.  […] Il denaro, nella realtà effettiva, è venuto ad essere la violenza nella forma più propria, più subdola e pervasiva. L'economia di autosussistenza compiuta non prevede l'uso di denaro. Una prospettiva di autosussistenza ne fa un uso minimo. La compensazione alle provvidenze del Sistema può esserci anche in termini non monetari: non-produzione di inquinamento e di rifiuti (quindi sgravio di costi parecchio consistenti), cura del territorio, recupero e conservazione di cultura tradizionale locale...

 

Un'ultima situazione di rapporti con il Sistema che considererei è quella dell'educazione: il "sistema scolastico" […] L'educazione del Sistema è istruzione. Sono le fondamenta su cui procede il lavaggio del cervello. Si dispongono le giovani menti ad accettare la conformazione. Uscirne sarà poi estremamente difficile. L'educazione in senso proprio (ex-ducere, far emergere ciò che è dentro, aiutare una realizzazione personale autentica) si può realizzare solo mantenendosi, per questo aspetto, completamente estranei al Sistema. La questione dell'educazione porta alla questione della cultura. Un processo di alternativa concreta richiede come viatico indispensabile una solida cultura alternativa […]     La prospettiva autarchica è una via di salvezza. Innanzitutto personale. Realizzarsi le condizioni pratiche migliori possibili. E poi, soprattutto, mettersi nel rapporto col mondo in una prospettiva di giustizia, garantirsi da un punto di vista morale e spirituale. È fondamentale per liberarsi da molte ansie. Certamente, anche una via di salvezza complessiva. Senza tuttavia riguardo a questo farsi illusioni. Quello che noi stiamo vivendo è un periodo che in sanscrito, nei testi indiani, viene indicato come kali-yuga, "età oscura". È l'ultima fase di un Tempo che la cultura indiana, come tutte le culture premoderne, considera ciclico. Inutile illudersi circa la possibilità di "risistemazioni" nella condizione del mondo. Qualche parziale andamento favorevole non potrebbe che essere un passaggio positivo dentro il più generale andamento negativo. Le cose andranno complessivamente sempre peggio. Sino al "grado zero", il punto infimo del ciclo, la "mezzanotte". Lì si attua il rivolgimento, ed il procedere torna ad essere ascendente. Ma proprio nella fase più buia è importante, è necessario, che le caratteristiche del Bene si conservino, sia pure in "nicchie" limitate e protette. Ciò che queste nicchie contengono sono i "germi della rinascita" (hiranyagarbha) che fioriranno nel mondo quando verrà il tempo.