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Legislative in Francia, vince il partito dell’astensione

di Marco Muscillo - 12/06/2017

Legislative in Francia, vince il partito dell’astensione

Fonte: l'Opinione Pubblica

È proprio questa la vera notizia di queste elezioni legislative 2017: più della metà dei francesi non è andato a votare al primo turno. Il dato nazionale sull’astensione si attesta intorno a 51,29%, in sessant’anni di voto non era mai stato così alto.

 

Riguardo alla bagarre elettorale nessuna novità da rivelare: del 48,71% di coloro che sono andati alle urne, il  32,3% ha votato per l’alleanza tra il nuovo partito di Emmanuel Macron con i moderati centristi, concedendogli quindi la maggioranza assoluta e permettendogli probabilmente di occupare in Assemblea dai 415 ai 445 seggi su un totale di 577. Un risultato che, come ben fanno notare da alcuni analisti, neanche De Gaulle aveva mai ottenuto.

Édouard Philippe, il nuovo Primo Ministro, ha commentato: “La Francia sta tornando. Siete stati meno numerosi rispetto alle passate legislative, ma l’importante è andare a votare domenica prossima. Il progetto presidenziale è già stato messo in atto e domenica prossima l’Assemblea Nazionale incarnerà il nuovo volto della nostra Repubblica”

Si attesta come seconda forza parlamentare il partito de Les Républicains, che ottengono il 21,56% dei consensi, con la possibilità di ottenere dai 70 ai 130 seggi. Il Front National di Marine Le Pen si attesta invece come terzo partito con il 13,2%, ben al di sotto del 21,3% delle presidenziali. Al secondo turno potrebbe ottenere dai 3 ai 10 seggi. Marine Le Pen ha chiamato tutti i “patrioti” a presentarsi alle urne al ballottaggio.

La France insoumise, il partito guidato da Jean-Luc Mélanchon, delude un po’ le attese e finisce quarto con circa l’11% dei voti. Al ballottaggio potrebbe riuscire a strappare più seggi della Le Pen, con una forbice che va dagli 11 ai 21 seggi. Débâcle assoluta per i socialisti che, avendone il partito di Macron inglobato l’ala più moderata, si fermano al 9,5% con la possibilità di conquistare 15.25 seggi in Assemblea.

Vince su tutta la linea il neo eletto Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, il quale ottiene un risultato davvero storico che mai nessuno (nemmeno De Gaulle, ricordiamolo) aveva eguagliato. Eppure altrettanto storico è il dato sull’astensione. Ricordiamolo: mai in sessant’anni è stato così basso. Nel 2012 l’astensione, già molto alta, si attestò  al 44,60%, mentre nel 2007 fu del 40,2%.

Insomma un dato in continua crescita che, se preso in considerazione nel computo dei consensi ottenuti, ridimensiona di molto il risultato eclatante ottenuto da La Republique En Marche!. Il nuovo governo si reggerà su un consenso pari a poco meno del 16% dei francesi. Del restante 84% degli aventi diritto al voto, una piccola minoranza ha espresso un’altra preferenza, mente la stragrande maggioranza non ha voluto esercitare il proprio diritto di voto.

L’aumento esponenziale dell’astensione va di pari passo con la crisi della politica: come affermato con molta trasparenza in varie interviste dallo stesso Jacques Attali, famoso economista francese e padrino politico di Emmanuel Macron, la globalizzazione ha esautorato il potere della politica a favore del mercato. È il mercato, dominato dalle élites economico-finanziare, che ormai detiene le redini delle decisioni in campo politico, economico, sociale.

A lungo andare il mercato aumenterà il suo dominio sui più svariati settori, relegando la politica ad un ruolo sempre più marginale. Se consideriamo tutto questo, scopriremo che le consultazioni elettorali già sono e sempre di più diventeranno delle semplici messe in scena teatrali. I partiti politici saranno solo degli attori e nuovi leaders saranno calati dall’alto, come già è successo con lo stesso Macron.

I popoli, ormai assuefatti all’idea che la politica sarà sempre la stessa e che votando partiti del tutto interscambiabili nulla possa realmente cambiare, disertano le urne, legittimando così il dominio delle élites. D’altronde, come possiamo dare loro torto? Se votando nulla può cambiare, allora perché andare a votare?