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Cyborg. G come genetica, N come nanotecnologie e R come robotica

di Andrea Vaccaro - 04/12/2006

G come genetica, N come nanotecnologie e R come robotica: tutt’e tre stanno avendo uno sviluppo impetuoso ma la loro sinergia prelude a cambiamenti impensabili. Con vertiginose prospettive di cura, ma anche pericoli di sovvertimento dell’umano


La tripla sfida della GNR revolution

G per genetica; N per nanotecnologia; R per robotica: dalla filosofia d'oltreoceano giungono i clamori di una rivoluzione tecnico-culturale che, se non cambierà i connotati dell'uomo, modificherà certamente i «connotati categoriali» per pensarlo. L'insegna è unitaria perché le tre discipline non corrono spedite in parallelo, ma si elevano rafforzandosi reciprocamente, offrendo l'un l'altra punti d'appoggio. I manifesti programmatici della GNR revolution sciolgono, per ogni lettera dell'acronimo, ondate di ottimismo.
In ambito genetico - proclamano i teorici - stiamo gradualmente scoprendo l'aspetto informatico dei sistemi biologici. La nanotecnologia, con la sequenza «piccole macchine che costruiscono macchine più piccole, che costruiscono macchine più piccole…» potenzia il suo processo di miniaturizzazione verso strutture molecolari sempre più sofisticate. La robotica poi - o meglio l'«intelligenza» artificiale - è l'occasione che propizia l'incontro tra le altre due discipline. Essa, infatti, da una parte offre la strumentazione indispensabile per elaborare miliardi di dati, dall'altra suggerisce i modelli euristici per condurre la ricerca. Le sue tecniche di «imaging», sempre più dettagliate, consentono l'ingrandimento del microscopico fino a espandere per mezzo milione di volte le dimensioni di una cellula; le sue capacità di computazione rendono possibile la simulazione di aree cerebrali di un centinaio di neuroni con milioni e milioni di collegamenti sinaptici. Nel modello di ricerca cibernetico, poi, consiste la chiave che ha aperto il nuovo scenario: ogni cosa è solo il suo «pattern» di informazioni, «It from bit», il mondo si può comprendere attraverso la cascata di dati che scivolano sugli schermi dei computer di Matrix. E tutto ciò fino a offrire una risposta all'inaudita domanda: cos'è l'uomo?
Ciascuno di noi - scrive D. Dennett a nome di molti ricercatori - è solo un assemblaggio di un trilione di cellule di migliaia di specie differente, ciascuna d elle quali è un meccanismo privo di mente (robots mindless), non più conscio di un batterio, totalmente inconsapevole e indifferente a chi tu sia, con la sola specificità dell'organizzazione per la quale ogni persona, sia fisicamente che caratterialmente, è diversa dal proprio simile (We Earth Neurons). La riduzione dell'umano al numerico.
Su questa piattaforma teorica ed operativa si innalza il regno del possibile, confidando nel fatto che, se all'inizio del XX secolo il potere di computazione raddoppiava ogni tre anni e negli anni '60 ogni due, oggi raddoppia ogni dodici mesi, con segnali di ulteriore accelerazione.
Raccontate con le enfatiche parole degli assertori di questa nuova visione scientifica, conquiste e promesse impressionano. Stiamo per irrompere nella stanza dei bottoni dei geni - la base portante di tutte le informazioni biologiche -, ovvero in quei minuscoli software che Madre Natura, indaffarata a rispettare troppi equilibri, ha programmato in modo goffo e che non aspettano altro che essere riprogrammati in linea con il mondo nuovo (R. Kurzweil). Nell'ultimo triennio, in laboratorio, abbiamo già spento negli animali, tramite la Rna interference, il «fat insulin receptor gene» per l'immagazzinamento delle calorie, in modo che le cavie possano abbuffarsi a dismisura senza alterare il loro peso forma e la loro salute. Stiamo scoprendo i meccanismi biochimici sottostanti all'invecchiamento e creando gli strumenti necessari per padroneggiarli. Al passo con i progressi dell'ingegneria inversa del cervello, stiamo costruendo impianti neurali capaci di interagire con i nostri neuroni «biologici» (R. Freitas). Sono al centro della ricerca nanomedica microdispositivi da immettere direttamente nel sangue, in grado di rilasciare sostanze in singole cellule o rimuovere prodotti di scarto (K. Ishiyama). E, infine, c'è il settore del drug design che mira sia al bersaglio fisico (ad esempio, sostanze che mantengano l'integrità della membrana cellulare), sia all 'obiettivo mentale, con farmaci che cancellano ricordi recenti per persone con stress post-traumatico, che finora era possibile vedere solo in un film (J. L. Mc Gaugh).
Un quadro d'insieme imponente, un'utopia a portata di mano, perché «il vaso di Pandora del GNR è già stato scoperchiato» (B. Joy). I più «morigerati» usano l'espressione radical life extension, perché scomodare l'immortalità appare troppo presuntuoso. Eppure in questa eternità zippata, in questa favola in cui - traslando l'antico consiglio di Platone - è forse più saggio chi si lascia trasportare di chi non ascolta, sembra mancare qualcosa. Sarà perché un Ulisse con il satellitare perderebbe del tutto il senso del suo viaggio nel mistero; sarà perché un Edipo con in mano un test del Dna non si rivolgerebbe mai ad una sibilla che non dice, ma allude; sarà perché un Cyrano modificato da un semplice intervento di chirurgia estetica non attingerebbe così in profondità dal sentimento dell'amore. Oppure, sarà per quel paradossale compiacimento che i teorici del GNR ostentano nel negare all'uomo (quindi anche a loro stessi) ogni nobile origine e nell'escludere ogni elemento extra-animalesco. La loro strenua e determinata volontà di cancellare dall'uomo ogni ombra di volontà; la loro meditata scelta di escludere dall'uomo ogni possibilità di libero arbitrio; il loro intenzionale e cosciente atto di combattere ogni spiraglio di coscienza e intenzionalità. Con l'esito finale di costruire capolavori di razionalità e di squisita ermeneutica per dimostrare che per l'uomo il significato non esiste e la ragione serve solo per i bisogni primari. Una «superba umiliazione» incarnata da figure che assurgono al ruolo di Demiurgo eppure vogliono persuadere di essere solo polvere della terra.
Molto dipende, dunque, dalla prospettiva che si sceglie. Se si guarda all'antropologia di riferimento di questi scienziati-filosofi, ci sarebbe più che da obiettare. Se ci si rivolge alla loro opera, però, non c'è che da rimanere ammirati dalla straordinaria attestazione che rendono alla natura e all'intelligenza dell'uomo. Testimonianze di vita dedita alla ricerca, tesa a spingere contro le pareti della conoscenza, insoddisfatta del transeunte stato presente.