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I "non-luoghi" come spazi della surmodernità

di Alessandra Funari - 10/03/2007

 

 

Marc Augè nasce a Parigi nel 1935, etnologo di formazione africanista e come tale abituato all’analisi sul campo, Direttore all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales de 1985 al 1995 ; Direttore di ricerca al ORSTOM fino al 1970, poi professore all’ EHESS di Parigi, ha effettuato molte missioni in Africa, principalmente in Costa d’Avorio e nel Togo. Dalla metà degli anni 1980, ha differenziato i relativi campi dell'osservazione, in particolare compiendo parecchi soggiorni in america latina per poi optare all’ osservazione della realtà del mondo contemporaneo nel relativo ambiente più immediato. Nel 1987 ad un incontro tenutosi al Museo di Arti e Tradizioni popolari, già si trovava una convergenza  fra gli etnologi delle società primitive e quelli delle società complesse, nel riconoscere all’antropologia un soggetto di studio del “qui” e “dell’ora”, non confondendo la questione del metodo con quella dell’oggetto.

Nel 1992 Augè inizia ad applicare gli strumenti dell’etnologia allo studio del mondo contemporaneo, nei suoi testi, riporta un problema capitale dell’antropologia teorica cioè se il suo studio fosse limitato ai popoli primitivi o fosse indirizzato anche alle società complesse, ossia, nell’applicazione degli strumenti analitici e teorici della disciplina alle condizioni della vita culturale presente. Mette in atto un tentativo di lettura del mondo contemporaneo in cui la globalizzazione viene percepita in Occidente alla luce del modo in cui i popoli coloniali si rappresentarono all’epoca dell’incontro con i colonizzatori; tramite il confronto basato sulla percezione del  tempo, dello spazio e dell’identità che popoli colonizzati di ieri e popoli occidentali di oggi hanno elaborato in due momenti diversi, ma caratterizzati da crisi di tipo analogo: fine del senso della storia, impressione di un restringimento dello spazio, sensazione di un destino individuale svincolato da un progetto collettivo, Augè giunge a mettere in rilievo la dimensione cosmopolita dell’antropologia nell’epoca attuale.[1]

 

 

Questi tentativi che in maniera precisa cercano di individuare i campi della pratica e della riflessione antropologica non vanno disgiunti dalle etnografie, le quali non dovrebbero soltanto avere come soggetto gli scambi, gli intrecci i rapporti, i processi di risignificazione a cui, nel mondo attuale, gli “incontri tra culture” danno luogo; ma avere il compito di esplorare mediante gli strumenti concettuali ed analitici della disciplina antropologica, i rapporti di forza e di gerarchia, di sfruttamento e di mimesi culturale cui questo incontro tra culture danno luogo. Importante per Augè, i casi in cui tali processi si manifestino all’interno delle culture stesse, le quali vengono sempre più coinvolte in un processo globale sottoposto alla logica della contemporaneità.

Entrambi i concetti di Marc Augè surmodernité e non-lieux vengono trattati nel suo libro: “Nonluoghi, introduzione ad una antropologia della surmodernità”, del 1992. Qui l’autore tratta entrambi i termini da lui coniati dopo lo studio della società contemporanea. Per giungere al concetto dei nonluoghi, l’autore delinea il concetto di surmodernità inscindibile da quello di nonluogo, poiché spiega e così si differenzia da altri concetti di nonluogo espressi da autori come Michel de Certeau. La surmodernità è il concetto alla base dell’analisi di Augè, si tratta di una nuova  modernità che ha sostituito quella precedente del XVIII e XIX secolo per le sue caratteristiche di esasperazione e complicazione della realtà, del tempo e dello spazio; ciò che contempla lo spettatore della modernità, è l’embriacatura dell’antico e del nuovo, mentre la surmodernità fa dell’antico e della storia uno spettacolo specifico. “La surmodernità sarebbe l’effetto combinato di un’accelerazione della storia, di un restringimento dello spazio e di una individualizzazione dei destini”[2],

 

questi i tre punti base substrato concettuale sul quale sono affrontate tutte le disquisizioni. Augè ci spiega come è possibile verificare quotidianamente che la storia accelera e che ciò è possibile se si guarda il tempo da un punto di vista banale, semplice; per lui la storia è “quell’insieme di eventi riconosciuti da molti come tali” a cui si legano immagini o circostanze particolare, l’insieme di queste sarà poi alla lettura dello storico per scrivere la storia e a chi la vive di accorgersi che la stà “scrivendo”. Dunque l’”accelerazione” della storia corrisponde ad una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da sociologi o storici; la moltiplicazione come sovrabbondanza di avvenimenti e di informazione e delle interdipendenze inedite di ciò che oggi alcuni definiscono “sistema “mondo”, pone agli storici un problema di natura antropologica, quello del “sovrainvestimento di senso”, cioè il bisogno quotidiano che proviamo esplicitamente nel dare un senso al mondo, il quale costituisce il riscatto di questa sovrabbondanza d’avvenimenti, “corrispondente ad una situazione definibile surmodernità per rendere conto della sua modalità essenziale: l’eccesso”[3].

 

Cambiamenti pratici nell’ordinamento della vita sociale sono comportati anche dalla coesistenza di quattro generazioni anziché tre, ciò estende la memoria collettiva, genealogica e storica.

La seconda caratteristica della surmodernità è lo spazio, altro eccesso che presenta come correlazione il restringimento del pianeta, “i nostri primi passi nello spazio riducono il nostro spazio ad un punto infimo”[4].

 

Il cambiamento della percezione dello spazio in cui viviamo è stato prodotto dai mutamenti di scala, in relazione ai mezzi ti trasporto veloce, alle immagini di tutti i tipi che entrano nelle nostre case ci danno una visione istantanea di avvenimenti che avvengono all’altro capo del pianeta; punto determinante nell’analisi è quello riguardante le televisioni che rendono quella “falsa familiarità” tra i telespettatori e gli attori della grande storia, che diventano ai nostri occhi come i paesaggi che ne ospitano la storia “ anche se non li conosciamo, li riconosciamo”[5]. Il mondo con i suoi tesori le sue particolarità sono oggetto di una intensa attività mediatica  e ideologica che ne svuota i contenuti e le valenze a favore di una percezione superficiale. Dunque la sovrabbondanza spaziale del presente si esprime in mutamenti di scala, nella moltiplicazione dei riferimenti immaginifici e immaginari e nelle spettacolari accelerazioni dei mezzi di trasporto; porta a modificazioni fisiche considerevoli: concentrazioni urbane, trasferimenti di popolazione e moltiplicazione dei nonluoghi, in opposizione alla nozione sociologica di luogo associata da Mauss a quella della cultura localizzata nel tempo e nello spazio. I nonluoghi diventano la necessaria installazione per la circolazione accelerata delle persone e dei beni, quanto i mezzi di trasporto stessi o i grandi centri commerciali, i campi profughi dove si installano i rifugiati del pianeta.

Terzo punto dell’eccesso Augè lo associa all’ego ossia all’individuo, in una società in cui i riferimenti dell’individuazione collettiva sono mancanti, la produzione individuale di senso diviene quanto mai necessaria; più che dell’individuazione collettiva di senso egli parla di individualizzazione dei riferimenti che proviene da una particolare forma di produzione di senso quella diffusa da tutto un apparato pubblicitario ( incentrato sulla bellezza della fisicità), e da un apparato politico centrato intorno al tema delle libertà individuali; sull’eccesso dell’individualizzazione dei riferimenti, Augè, chiarisce subito che la sociologia può mettere perfettamente in evidenza le illusioni da cui questa individualizzazione deriva.

Il luogo è definito da tre caratteristiche principali: è identitario cioè tale da contrassegnare l’identità di chi ci abita; è relazionale ossia individua i rapporti reciproci tra i soggetti in funzione di una loro comune appartenenza; è storico ricorda all’individuo le proprie radici. Quindi uno spazio che non può definirsi come identitario, relazionale e storico viene definito nonluogo; “…sono dei nonluoghi, nella misura in cui la loro vocazione principale non è territoriale, non è di creare identità individuali, relazioni simboliche e patrimoni comuni, ma piuttosto di facilitare la circolazione (e quindi il consumo) in un mondo di dimensioni planetarie”[6].

 

L’ipotesi sostenuta da Augè che la surmodernità risultante simultaneamente dalle tre figure dell’eccesso trova naturalmente la sua espressione completa nei nonluoghi che sono lo “spazio” della surmodernità, spazio segnato da una contraddizione: ha a che fare con individui solo quando sono identificati, socializzati e localizzati solo all’entrata e all’uscita. Augè definisce i luoghi e i nonluoghi due polarità sfuggenti, poiché il primo non si cancella mai totalmente ed il secondo non è mai compiuto totalmente, la distinzione tra i due passa piuttosto attraverso l’opposizione del luogo con lo spazio; l’autore per spiegare questa opposizione si serve dell’analisi di Michel de Certeau il quale parla di “nonluogo” ma per alludere ad una sorta di qualità negativa del luogo a se stesso impostagli dal nome che gli viene dato; precisa de Certeau che ogni itinerario è in qualche modo deviato dai nomi che gli danno “sensi fino a quel momento imprevedibili” ed ancora “questi nomi creano il nonluogo nei luoghi; li mutano in passaggi”.[7] Prosegue nella sua analisi Augè chiarendo le due realtà in oggetto che sono complementari e distinte e cioè gli spazi costituiti in rapporto a certi fini: trasporto, transito, commercio, tempo libero e il rapporto che gli individui intrattengono con questi spazi. I quali se in parte si sovrappongono non si confondono mai poiché i nonluoghi mediatizzato tutto un insieme di rapporti con sé e con gli altri che derivano dai loro fini solo indirettamente, “ se i luoghi antropologici creano un sociale organico, i nonluoghi creano una contrattualità solitaria”. Le parole sono la mediazione che stabilisce un legame tra un nonluogo e gli individui, il “peso delle parole”, alcune delle quali traendo dal patrimonio conoscitivo di base di ogni individuo diventano evocative di significati più vasti; così ad esempio l’autore cita luoghi che non esistono se non nelle parole che li evocano, stereotipi; la parola qui non scava uno scarto fra funzionalità quotidiana e il mito perduto, crea l’immagine, produce il mito e allo stesso tempo lo fa funzionare.



[1] Ugo Fabietti – Storia dell’Antropologia, II ed.2001

[2] Marc Augè – Rovine e macerie, il senso del tempo 2004

[3] Marc Augè – I nonluoghi, introduzione ad un’antropologia della surmodernità 1993

[4] Ididen

 

[5] M. Augè - I nonluoghi, introduzione ad un’antropologia della surmodernità 1993           

[6] I non luoghi, introduzione ad un antropologia della surmodernità, 1993

[7] Michel de Certeau, l’Invention du quotidien 1990