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La libertà è a rischio nel dopo-pandemia

di Emanuel Pietrobon - 27/03/2020

La libertà è a rischio nel dopo-pandemia

Fonte: Insideover

Il Covid-19 sta mettendo a dura prova la natura liberale delle democrazie europee, che si sono scoperte estremamente fragili, vulnerabili ed inefficienti nei campi della prevenzione e del contrasto della pandemia. L’unico modo di realizzare dei sistemi di contenimento effettivi è sembrato essere quello del ricorso alla sorveglianza di massa, retta sul supporto diretto e visibile dei pattugliamenti nelle aree urbane delle forze armate e sull’aiuto delle agenzie di sicurezza nel monitoraggio della telefonia mobile e di internet, sullo sfondo di operazioni di telecamerizzazione e riconoscimento facciale.
Queste misure contribuiranno indubbiamente a contenere l’espansione del Covid-19, fungendo da ulteriore incentivo per le persone a rispettare gli obblighi e i divieti derivanti dall’emergenza sugli spostamenti limitati, ma il rischio è che lo stato di sorveglianza possa perdurare anche a crisi rientrata, perdendo la natura di straordinarietà, assumendo quella dell’ordinarietà.

Telecamere, geo-localizzazione e servizi segreti
La Russia continua a guidare la classifica meno colpiti dal Covid-19 e il merito è anche legato al fatto di aver chiuso la frontiera con la Cina quando ancora non si parlava di rischio pandemia globale, varando al tempo stesso misure di controllo nei confronti dei cittadini cinesi residenti nel paese. Ma è stato il ricorso alle telecamere con funzioni di riconoscimento facciale a consentire al Cremlino di combattere il virus; telecamere che sono state installate ovunque, autobus, stazioni della metropolitiana, piazze.
È così che vengono ripercorsi i tragitti dei contagiati acclarati, ma le telecamere intelligenti vengono anche utilizzate per seguire gli spostamenti in diretta dei “sospettati”. Ed è proprio quest’ultimo utilizzo che ha causato degli attriti con Pechino, alla luce delle denunce dei turisti cinesi circa controlli invasivi e a sorpresa sugli autobus o per strada.
Le telecamere intelligenti servono anche per capire se una persona sottoposta a quarantena sta rispettando o meno l’obbligo, essendo dotate della funzione di riconoscimento facciale. Nel solo mese di febbraio, questo gigantesco apparato di sorveglianza ha consentito alle autorità russe di scoprire 88 turisti in violazione dell’obbligo di quarantena, determinandone l’espulsione immediata, e recentemente, Kommersant, ha riportato che sono state avviate le pratiche per l’espulsione di 100 studenti cinesi, anch’essi colti a infrangere l’auto-isolamento dalle telecamere.
In Israele, invece, il governo ha deciso di affidarsi alle tecnologie e alle tattiche di spionaggio e sorveglianza offerte dallo Shin Bet, l’agenzia per la sicurezza interna, e sviluppate e applicate negli anni nella lotta al terrorismo islamista. In particolare, il governo ha dato il via libera all’utilizzo su larga scala della geo-localizzazione da remoto nei confronti dei contagiati, per accertarsi che rispettino l’auto-isolamento domestico e per mappare i loro spostamenti precedenti alla diagnosi.
Anche la Corea del Sud, similmente ad Israele, ha puntato molto sul ricorso alla geo-localizzazione per creare una mappa complessa, ricca e dettagliata dei luoghi visitati dai contagiati, la cosiddetta CoronaMap, che è stata poi destinata a scopi di informazione pubblica. Gli investigatori hanno ricostruito i movimenti dei contagiati nei dettagli, come si può ben comprendere da uno sguardo veloce alla mappa, segnalando con precisione il momento in cui la visita è avvenuta.
ll CoronaMap è solo la punta dell’iceberg, perché nel nome della protezione della collettività, le autorità hanno sponsorizzato l’invenzione di numerose applicazioni per dispositivi mobili, sempre basate sulla geo-localizzazione, che avvertono l’utente quando si attraversa un luogo in cui hanno transitato dei contagiati, che mandano notifiche sugli spostamenti della chiesa di Shincheonji, e hanno anche monitorato la cronologia dei pagamenti con carte di credito.
Molto più inquietante è il modello taiwanese: la limitatezza delle risorse umane ed economiche ha spinto le autorità a convertire i telefoni dei quarantenati in vere e proprie apparecchiature di controllo, sfruttando il loro agganciamento alla rete per creare delle “recinzioni elettroniche” attorno le case. Nel momento in cui la persona dovesse uscire di casa con il telefono, la polizia riceverebbe immediatamente una notifica d’allarme ed entro 15 minuti il sospetto potrebbe ricevere una chiamata dagli ufficiali o, peggio, vederli arrivare.
Il modello asiatico ha anche attecchito nell’Unione Europea. Pochi giorni fa il governo polacco ha lanciato un’applicazione per i telefoni, Kwarantanna domowa (Quarantena a casa), il cui scaricamento è obbligatorio per tutte le vittime del Covid-19 e per coloro rincasati dall’estero. L’applicazione funzione in questo modo: una volta scaricata, l’utente si registra, caricando un proprio autoscatto, e viene regolarmente e periodicamente contattato dalla polizia, alla quale deve inviare entro 20 minuti una foto, pena la visita domiciliare. Non esiste margine di errore, scappatoia, perché due sono i pilastri fondanti dell’app: geo-localizzazione e riconoscimento facciale, che consentono alle autorità di tracciare in diretta la posizione e di profilare il volto nell’autoscatto.

Cosa sta succedendo in Italia
I ministeri dello sviluppo economico, per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, e dell’università e della ricerca, hanno recentemente lanciato il bando “Innova per l’Italia“, che viene ufficialmente presentato come un'”iniziativa […] per aziende, università, enti e centri di ricerca pubblici e privati, associazioni, cooperative, consorzi, fondazioni e istituti che, attraverso le proprie tecnologie, possano fornire un contributo nell’ambito dei dispositivi per la prevenzione, la diagnostica e il monitoraggio per il contenimento e il contrasto del diffondersi del Coronavirus (SARS-CoV-2) sull’intero territorio nazionale”.
A poche ore dall’apertura del bando, il governo ha già ricevuto 270 proposte di applicazioni mobili sul modello polacco, ed è lecito aspettarsi che, alla luce del numero elevato, alcune di esse troveranno effettiva commercializzazione, facilitando l’agenda del contenimento dell’esecutivo.
Applicazioni a parte, il ricorso alla sorveglianza è già una realtà. Da alcuni giorni, in diversi comuni italiani è autorizzato l’utilizzo dei droni muniti di telecamera per controllare il territorio e accertarsi che i cittadini stiano effettivamente limitando i loro movimenti negli spazi pubblici. L’idea di fare affidamento ai droni per monitorare il territorio è stata accolta dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), che ha dato luce verde ad un’eventuale applicazione del metodo su scala nazionale.
La Lombardia, che è l’epicentro dell’epidemia in Italia, è all’avanguardia nel campo della sorveglianza e ha avviato i controlli delle celle dei telefoni, acquisendo dati anonimi e aggregati dalle compagnie telefoniche Vodafone e Tim, per capire chi si muove, quando, come, e verso dove. Le autorità, però, rassicurano: “Sono dati secchi, numeri. Non abbiamo modo di risalire ai proprietari dei cellulari”.
Il tema dell’utilizzo delle tecnologie di sorveglianza per vigilare sul rispetto della quarantena è anche al centro degli ultimi decreti presentati dall’esecutivo, che hanno gettato le basi per la loro applicazione sul territorio nazionale; in questo contesto si inquadra il bando “Innova per l’Italia”.

Le incognite nel dopo-crisi
Gli attentati dell’11 settembre 2001 sono la prova di come le autorità possano sfruttare la gravità degli stati d’eccezione per cristallizzare in maniera permanente, o semi-permanente, misure di natura straordinaria, rendendole ordinarietà, abituando i cittadini a vivere la sorveglianza come uno stato al quale abituarsi nel nome della sicurezza nazionale, del bene collettivo.
Il Patriot Act, entrato in vigore all’indomani dell’11/9, è regolarmente prorogato, nonostante la minaccia del terrorismo islamista sul suolo statunitense sia sensibilmente diminuita. Nel tempo, il pacchetto di leggi è stato utilizzato per altre funzioni, molto diverse da quelle originali, spianando la strada per la sorveglianza di massa, legittimando il controllo dei cittadini ordinari attraverso controlli a tappeto, intercettazioni ambientali, telematiche e telefoniche non autorizzate, e stretto monitoraggio della realtà virtuale.
Sono passati ormai quasi 20 anni dall’11/9, e lo stato d’eccezione è divenuto la regola, le proteste di incostituzionalità sono scemate insieme alle accuse di liberticidio, ed anche il successivo scandalo portato alla ribalta da Edward Snowden ha avuto un impatto sulla società civile tutt’altro che profondo, molto probabilmente perché l’opinione pubblica si è ed è stata abituata al nuovo di stile di vita.
Il Covid-19 ha mostrato le capacità delle autorità pubbliche di effettuare controlli della popolazione su larga scala, a volte appaltandosi direttamente alle agenzie di sicurezza, ricorrendo a tattiche solitamente utilizzate nella lotta contro il crimine organizzato e contro il terrorismo, ma è difficile credere, ad esempio, che nel dopo-crisi si assisterà alla de-telecamerizzazione di Mosca o alla delegittimazione della geolocalizzazione invasiva e non autorizzata nei paesi occidentali.
Infatti, le applicazioni sul controllo a distanza stanno fiorendo e diffondendosi, dalla Corea del Sud alla Polonia, passando per l’Italia, ed è altamente probabile che il Covid-19 sancirà, o meglio, abbia sancito, l’inizio di una rivoluzione nel mercato dei prodotti di sorveglianza, con tutte le conseguenze che questo implica sulle libertà negative e sul diritto alla riservatezza dei cittadini ordinari.
In Europa come negli Stati Uniti, il mantra è sempre lo stesso: sacrificare le libertà nel nome della sicurezza collettiva. Ma se è vero che il sacrificio è giusto e legittimo in situazioni di crisi, dove l’individualismo deve fare spazio al comunitarismo, è altrettanto vero che la straordinarietà non può essere utilizzata per giustificare la cristallizzazione degli stati di polizia sorti per soddisfare esigenze contingenti, altrimenti cade il confine che separa le democrazie liberali da tutto il resto: illiberalismi, autoritarismi, dittature.