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Le cause del disastro venezuelano

di Jared Abbott - 29/01/2019

Le cause del disastro venezuelano

Fonte: Jacobin Italia

I vincoli dell'industria petrolifera, le debolezze della macchina statale, le divisioni in seno al chavismo e l'auspicata riforma municipalista. La versione di Temir Porras, dirigente di lungo corso ai tempi di Hugo Chávez
Considerando quanto siano polarizzati sia i media mainstream che quelli di sinistra sul tema della politica venezuelana, è praticamente impossibile per gli osservatori internazionali accedere a valutazioni giuste ma critiche sul Venezuela da sinistra. Temir Porras è stato un militante chavista fin dall’inizio della presidenza di Hugo Chávez nel 1999 e ha ricoperto vari ruoli importanti sia nel governo di Chávez che poi brevemente nel governo di Nicolás Maduro. In particolare, dal 2004 in poi ha lavorato come capo di gabinetto e vice di diversi ministri degli esteri, tra cui Nicolás Maduro tra il 2007 e Maduro come presidente nel 2013. A partire dalla fine del 2013 ha lavorato brevemente come capo di Fonden e Bandes, il fondo di sviluppo nazionale del Venezuela, e Bandes, la banca di sviluppo.
Porras è un insider chavista di lunga data con una vasta esperienza ai più alti livelli del governo bolivariano venezuelano, ma anche un critico costruttivo delle recenti strategie economiche e politiche del governo Maduro. Ciò lo colloca idealmente [nonostante questa intervista risalga a due settimane fa, prima del precipitare della situazione, Ndr] nel fornire ai lettori una valutazione sfumata e panoramica di entrambe le radici dell’attuale crisi economica e politica del Venezuela, nonché un quadro per pensare a soluzioni attuabili e progressiste a queste crisi.
Iniziamo con le questioni economiche. Il Venezuela sta vivendo una grave crisi: iperinflazione sostenuta, anni consecutivi di grave contrazione economica, gravi carenze di beni e servizi di base. Ciò su cui c’è meno convergenza, specialmente all’interno della sinistra, sono le cause della crisi. I critici del governo offrono una serie di fattori: politiche macroeconomiche miopi, politica monetaria irrazionale, corruzione governativa, investimenti insufficienti nell’industria petrolifera venezuelana. D’altra parte, tra i sostenitori del governo le cause più spesso citate della crisi sono la guerra economica condotta contro il Venezuela dagli Stati uniti (soprattutto tagliando l’accesso venezuelano al credito americano), così come i grandi speculatori nel mercato nero dei beni di base. Che ne pensi di questi resoconti divergenti sulla crisi economica in Venezuela?
Beh, la prima cosa da tenere a mente è che, in generale, in America Latina, il Venezuela è utilizzato da coloro che sostengono che qualsiasi scuola di pensiero alternativa che non rispetti i dettami neoliberali e non segua le ricette tradizionali della narrazione economica del libero mercato deve fallire. Dobbiamo fare attenzione quando facciamo confronti storici come questo, ma la situazione è un po’ come dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo in Europa, quando c’è stata una massiccia spinta proveniente da pensatori e organizzazioni neoliberali di prendere l’esempio di un fallimento come prova assoluta che tutto ciò che viene dalla sinistra sia destinato a fallire.
Nel caso del Venezuela, c’è una sorta di industria di denigratori. Spesso è il caso di persone che sono state critiche del chavismo fin dall’inizio, in particolare quelli che io chiamo gli anti-chavisti “sociologici” (o l’élite tradizionale), che si sono opposti al chavismo con mezzi non sempre molto leciti o democratici. Sostengono che quello che stiamo vedendo oggi in Venezuela era scritto già nel 1999 [all’inizio del governo di Chávez], e questo è il motivo per cui lo hanno criticato fin dall’inizio. Un modo per riscrivere la storia.
D’altra parte, ci sono spiegazioni interne della crisi. Si possono elencare; nessuna di loro è la sola, essenziale ragione, ma tutte hanno un ruolo parziale. Una è che, in Venezuela in particolare – ma questo vale per la maggior parte dei governi progressisti/di sinistra sorti in America Latina nei primi anni e nella metà degli anni 2000 – il chavismo ha trovato un modo per mobilitare la ricchezza nazionale del paese, derivante innanzitutto dall’industria petrolifera, e farne un progetto redistributivo. In questo senso ha avuto una dimensione rivoluzionaria perché mai prima d’ora un governo venezuelano aveva deciso di utilizzare in modo così massiccio l’approccio redistributivo come strumento per affrontare non solo i problemi del Venezuela quali disuguaglianza, mancanza di accesso all’istruzione e alla salute, ecc. ma anche per aumentare i consumi e creare un mercato interno in una crescita economica dinamica.
Il problema è che sebbene questi sforzi redistributivi abbiano avuto un impatto di vasta portata, come possiamo vedere nei rapidi miglioramenti degli indicatori sociali durante il governo di Chávez, la sinistra venezuelana e la sinistra latinoamericana in generale non hanno mai avuto una strategia economica. In che modo le nazioni in via di sviluppo che si trovano in quella che alcuni chiamano “trappola del reddito medio” affrontano la sfida dello sviluppo, di aumentare la base materiale che consente il progresso sociale? E in che modo le economie in via di sviluppo che tentano di organizzare un processo di sviluppo orientato sul mercato affrontano le pressioni della globalizzazione, cioè il fatto che la finanza mondiale è globalizzata e che paesi come il Venezuela richiedono l’accesso al capitale internazionale?
Tutte queste domande non sono state prese in considerazione sotto Chávez, principalmente perché la situazione economica del Venezuela nei primi anni 2000 e fino a poco tempo fa era favorevole. La maggior parte dei paesi dell’America latina faceva affidamento sul super-ciclo delle materie prime per sostenere la crescita ed era in grado di accedere a un capitale sufficiente a sostenere le strategie sociali espansive. La maggior parte di questi paesi, e chiaramente nel caso del Venezuela, non aveva realmente bisogno di rispondere a queste difficili domande perché la situazione economica favorevole dava loro una autonomia così consistente da poter perseguire ambiziosi programmi di spesa sociale. Una volta che la situazione è cambiata [con il declino dei prezzi delle materie prime globali nel 2014], il chavismo non era preparato ad affrontare un ambiente economico negativo.
Inoltre, per quanto la stampa internazionale abbondi nel sensazionalismo, il governo venezuelano soffre anche di una mancanza di trasparenza, di corruzione, con un problema generale di cattiva gestione, mancanza di capacità tecniche e di persone qualificate nei posti giusti. C’è una convinzione [tra i funzionari del governo venezuelano] che la fiducia personale e la vicinanza politica siano più importanti della competenza tecnica. Questa è una caratteristica comune in molti paesi dell’America Latina. Gli stati latino-americani erano mal equipaggiati per poter svolgere l’importante ruolo che la sinistra aveva loro assegnato nel processo di sviluppo nazionale.
Inoltre, proprio perché coalizioni e leader di sinistra hanno raggiunto il potere politico attraverso le elezioni negli anni 2000 (qualcosa di molto nuovo in America Latina all’epoca), ciò non significa – nonostante le affermazioni di trarre ispirazione da ideali socialisti – che il Venezuela sia una società socialista. Come sa chiunque conosca l’America Latina, in queste società vi sono grandi settori economici che possono essere definiti pre-capitalisti, c’è una forma molto selvaggia di capitalismo in cui le forze del denaro sono molto forti e i diritti delle persone per difendersi dalle forze del mercato sono deboli.
Nonostante il governo di Maduro citi la guerra economica e le forze della borghesia nazionale e internazionale come i principali fattori della crisi economica, credo si tratti di un’esagerazione, dati i fattori che ho descritto prima. Ciò non significa che non vi sia una influenza negativa esercitata da questi gruppi. Ma per il governo di Maduro non è una novità.
La borghesia, storicamente, ha fatto pochissimo per contribuire al progetto nazionale. Ciò che viene spesso definita come una comunità imprenditoriale è solo un settore privato che, a differenza delle economie più avanzate del Nord, non agisce in base al principio rischio-rendimento. Esistono vari meccanismi attraverso i quali le borghesie nazionali e internazionali possono preservare i loro interessi contro i tentativi progressivi di riforma, ma questa è una caratteristica permanente che non è unica del governo attuale. Chávez ha dovuto affrontarlo in passato ed è stato comunque in grado di ottenere dei successi. Quindi, spiegare la crisi attuale facendo soprattutto riferimento all’esistenza di una cospirazione internazionale è una spiegazione molto parziale e insoddisfacente.
Sembra che tu veda limiti strutturali fondamentali che impediscono la capacità dei governi di sinistra di attuare programmi economici più radicali in America Latina, soprattutto la capacità dello stato. Ma sembra che ci siano più o meno due ampi percorsi economici che un governo nella situazione del Venezuela oggi potrebbe prendere per risolvere la sua crisi economica, mettendo tra parentesi le questioni politiche estremamente spinose che rendono più complicata l’implementazione di questi percorsi. Uno proviene dall’estrema sinistra, che sosterrebbe che il governo venezuelano non è andato abbastanza avanti nel nazionalizzare le industrie chiave, nella creazione di imprese di proprietà dei lavoratori e delle comunità, nella creazione di un’economia socialista autenticamente autosufficiente in Venezuela. Dall’altra parte ci sono i pragmatici dell’economia che sostengono che l’unica via d’uscita sarebbe una sorta di difficilissimo programma di aggiustamento per stabilizzare l’economia venezuelana, che probabilmente includerebbe misure che sarebbero catastrofiche per i comuni venezuelani, lungo la linea dei tradizionali programmi di risanamento neoliberali. Quale consideri lo scenario migliore per spostare il Venezuela in una direzione più positiva dal punto di vista economico?
Hai parlato della possibilità di un aggiustamento. Una delle caratteristiche curiose del Venezuela oggi è che questo aggiustamento è già avvenuto. Anche se il governo non ha implementato un programma di aggiustamento neoliberista tradizionale, la sua mancanza di strategia per affrontare l’attuale crisi ha permesso che un aggiustamento caotico avvenisse da solo. Cos’altro potrebbe essere se non un risanamento quando il salario mensile minimo è sceso da 300 dollari nel 2014 a 1 dollaro qualche mese fa? Quindi, la situazione in Venezuela deve essere analizzata tenendolo presente. C’è stato un risanamento, e questo è il motivo per cui si vedono conseguenze negative enormi riguardo alla migrazione, alla mancanza di servizi pubblici, ecc.

Non è il risultato di un programma consapevole e razionale da parte del governo, il governo non ha deciso di smettere di finanziare questo o quello, ma la mancanza di strategia per affrontare la crisi ha lasciato il paese in una situazione di risanamento caotico o anarchico. L’economia si è “autoregolata”, se vuoi, quindi non penso che sia necessario un ulteriore aggiustamento, almeno non in modo neoliberista, perché le persone hanno sofferto abbastanza.
D’altro canto, non vorrei nemmeno perorare la causa di un approccio più radicale. I sostenitori di questa proposta suggeriscono che potrebbe avere successo, ma manca la volontà del governo di attuarlo. Penso che si tratti di una visione semplicistica delle realtà politiche ed economiche del Venezuela. Ciò che è necessario per uscire dalla crisi, almeno a breve termine, è affrontare il problema principale. Oggi il Venezuela è un paese che si basa essenzialmente su un settore: il petrolio. Se non si dispone di un’industria petrolifera funzionante è impossibile superare l’attuale crisi economica. Ciò mettendo da parte la questione di chi possiede e controlla l’industria petrolifera, ovviamente. Il problema è che l’industria petrolifera sta producendo la metà di ciò che produceva solo quattro o cinque anni fa. Anche allora il governo venezuelano non aveva capito come soddisfare le crescenti richieste della società venezuelana, ed era intrappolato tra la necessità di diversificare la sua economia e la necessità di produrre più petrolio per finanziare il consumo. Questo ci riporta al problema irrisolto della incapacità della sinistra di offrire un modello economico alternativo sostenibile di cui abbiamo parlato prima.
Oggi, al contrario, il problema principale è semplicemente quello di trasformare radicalmente l’industria petrolifera e farla produrre di nuovo. Uno dei problemi è che un’industria petrolifera come quella del Venezuela, che è sproporzionata rispetto alle dimensioni dell’economia, è un’industria molto internazionale. Mi piacerebbe assaporare l’idea di un’alternativa per il Venezuela che non dipenda tanto da interessi internazionali, ma il problema è che gran parte della produzione venezuelana è destinata all’esportazione. Quindi, l’industria è strettamente legata all’economia internazionale. Inoltre, è un settore che richiede un alto livello di investimento. E il Venezuela non ha il capitale necessario per questi investimenti.
Quindi, almeno a breve termine, cercando di navigare tra i due poli che hai descritto (pragmatico vs radicale), il Venezuela richiede una soluzione più nel mezzo, perché l’industria petrolifera non può recuperare senza accesso al capitale. E questo implica stakeholder internazionali, istituzioni multilaterali, ecc. Questo è un problema enorme. Nella misura in cui il Venezuela può rimanere lontano dalle tradizionali fonti di capitale fornite dal Fondo monetario internazionale, sarebbe l’ideale [date le condizioni insite nei prestiti], ma per riuscirci bisogna convincere paesi come la Cina e i mercati del capitale (organizzati principalmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito) a investire. Queste sono sfide che richiedono che qualunque amministrazione in Venezuela abbia obiettivi strategici molto chiari e, a breve termine, questo deve significare accesso al capitale, e questo, a sua volta, suggerisce la necessità di raggiungere una sorta di accordo negoziato o di compromesso con le parti interessate internazionali. Me ne rammarico, ma non vedo come il Venezuela possa auto-ingegnarsi per uscire dall’attuale crisi, almeno dal punto di vista economico.

Natura della crisi
La crisi economica in Venezuela è stata accompagnata da una profonda crisi politica, con legislature nazionali in competizione che rivendicano entrambe legittimità, rapporti di crescente concentrazione ai più alti livelli decisionali attorno alla cerchia ristretta del presidente Maduro, accuse di frode nelle elezioni presidenziali del 2018, che hanno indebolito la legittimità internazionale di Maduro, e con un crescente senso di disperazione tra molti venezuelani. Come definiresti la natura dell’attuale crisi politica e quali sono le sue cause principali?
Uno dei principali successi di Chávez è stata la sua capacità di gestire forze spesso contraddittorie all’interno del suo movimento per produrre risultati positivi. Un esempio è la mobilitazione della retorica rivoluzionaria, quando Chavez prometteva di trasformare la società venezuelana e costruire il socialismo, mentre allo stesso tempo la maggior parte dei guadagni ottenuti sono stati raggiunti non attraverso uno stato rivoluzionario, ma attraverso una democrazia liberale più o meno tradizionale.
Il Venezuela aveva una costituzione funzionante che garantiva i diritti e i meccanismi che ogni vera democrazia liberale offre, c’era il pluralismo politico, c’era la libertà di parola e tutte le garanzie erano lì per consentire a diversi gruppi di competere nell’arena pubblica. Nessuna soluzione teorica a quella contraddizione – ‘stiamo facendo una rivoluzione’ da un lato, e ‘stiamo rispettando lo stato di diritto di qualsiasi democrazia liberale’, dall’altro – è stata mai sviluppata. Piuttosto, la risposta pratica è stata che Chávez è riuscito a stabilire un’egemonia politica, e questo ha permesso al chavismo di mantenere il potere dal 1999 al 2015. Preservare quell’equilibrio politico e cercare di creare consenso, ove possibile, era anche un modo per dare al paese la stabilità politica necessaria per consentire l’attuazione di qualsiasi tipo di strategia di sviluppo.
Il problema oggi è che la base di quel fragile consenso costruito da Chávez è infranta. La realtà è che, in assenza di qualsiasi tipo di compromesso, almeno sul funzionamento istituzionale del paese, non è possibile attuare una strategia economica di successo perché, come hai accennato, se non si dispone di un potere legislativo riconosciuto come tale da tutti si inizia ad avere problemi come quelli che abbiamo oggi: problemi che riguardano la legalità del budget, la legalità dei contratti, ecc. Come si attua una strategia petrolifera mentre le controparti nel resto del mondo non hanno garanzie che i passi che il governo sta prendendo per organizzare la propria industria saranno legali?
Il problema oggi è che le persone si concentrano solo sul brevissimo termine. L’opposizione crede che il governo sia estremamente debole e che sia giunto il momento che crolli e che l’opposizione subentri. Nel frattempo, il governo di Maduro viene attaccato da tutte le parti dalla cosiddetta comunità internazionale ed è schiaffeggiato con sanzioni devastanti, che lo hanno messo in una posizione molto difensiva. Tutti sono focalizzati sul brevissimo termine. Ma la realtà è che nessuna delle azioni intraprese per mantenere il potere a breve termine sarà sufficiente a stabilizzare il nostro paese e garantire un funzionamento più normale del paese in futuro.
Ecco perché, a volte contro i miei riflessi naturali, dico che non importa quanto siano sbagliati i nostri avversari politici, c’è una necessità politica nel paese di trovare un modo di negoziare per garantire la convivenza politica. Ecco perché sono un sostenitore – anche se sono perfettamente consapevole di quanto siano lontani i due schieramenti – dell’idea che non c’è via d’uscita da questa situazione senza un accordo politico che richiede una grande maturità dei diversi attori politici. Ciò consentirebbe almeno alle istituzioni del 1999 di funzionare di nuovo. Anche se sembra estremamente improbabile in questo momento, questo è il modo in cui il paese ha funzionato fino a pochi anni fa. Non ho una road map per arrivarci ma sono convinto che ci debba essere un negoziato politico nazionale interno.

Voglio concentrarmi un po’ sul chavismo in sé’ e sulla sinistra venezuelana. Dall’esterno, c’è una forte tendenza a semplificare eccessivamente quello che è in realtà un ampio spettro di prospettive politiche all’interno del chavismo. Potresti darci una panoramica a grandi linee delle principali tendenze all’interno del movimento in questo momento, e in particolare concentrarti sul ruolo della sinistra al suo interno?
Bene, la prima cosa da dire è che il chavismo non è “la sinistra”. Il chavismo ha almeno due componenti, come descritto dallo stesso Chávez. Primo, la rivoluzione bolivariana si basava su un’alleanza civile-militare, quindi il chavismo è un movimento molto particolare perché ha una massiccia componente civile, ma ha anche una componente militare profondamente radicata. I progressisti di tutto il mondo tendono ad avere un problema con questo.
La mia risposta è che il chavismo si è presentato come un movimento di liberazione nazionale, in un certo senso, e i movimenti di liberazione nazionale hanno una componente patriottica che richiede alla nazione di preservare la propria sovranità. Il chavismo non era solo un movimento politico socialmente progressista, ma anche un movimento di liberazione nazionale che permetteva a un nuovo governo di esercitare pienamente la sovranità sul proprio territorio, e a tale scopo la questione dell’esercito era essenziale. Questo spiega perché non tutti i personaggi di spicco del chavismo abbiano una formazione di sinistra. Lo stesso Chávez era un tipo molto particolare di militare, perché il Chávez civile influenzava il militare Chávez molto più del contrario. Diventando il capo politico delle forze armate venezuelane, riuscì a incanalare l’energia dei militari in favore di un governo progressista.
Ma quando Chávez è scomparso, questa leadership è scomparsa e la capacità di orientare l’esercito è scomparsa. Eppure i militari rimangono. Questo è uno dei motivi per cui si vedono tendenze molto contraddittorie all’interno del chavismo. Quando Chávez emerse come fenomeno politico a metà degli anni Novanta, il suo movimento assorbì rapidamente gran parte della sinistra rivoluzionaria del Venezuela. Inoltre assorbì la maggior parte della base elettorale della socialdemocrazia venezuelana, sebbene la maggior parte della sua leadership sia rimasta fuori dal movimento. In altre parole, il chavismo è riuscito a sviluppare un gruppo rivoluzionario che poteva esercitare ruoli di leadership nel movimento, mentre allo stesso tempo costituiva una base di appoggio di massa tra gli elettori che in passato sostenevano il partito socialdemocratico (Acción Democrática).
Quindi c’era la componente della sinistra rivoluzionaria, il bacino elettorale del movimento socialdemocratico e una componente militare, che, a meno di importanti eccezioni, non si può dire abbia un legame storico con la sinistra. È più legata alla storia nazionale venezuelana, in particolare a Bolívar e al movimento indipendentista nazionale del Venezuela. Quella tradizione era anche significativa nella sinistra venezuelana, ma in realtà la connessione tra la sinistra e l’esercito era sostenuta dalla personalità di Chávez.
Oggi ci sono ancora le stesse componenti, ma sono molto più frammentate di prima. Chávez è riuscito a fare una sorta di alchimia che ha approfittato di ognuno di questi elementi e li ha fatti lavorare insieme. In qualche modo è riuscito a tirare fuori il meglio dalle diverse componenti del chavismo. Il problema della mancanza di leadership dopo la morte di Chávez è che la maggior parte di questi gruppi opera in modo frammentato, rivendicando frazioni di potere e comportandosi in modo più tradizionale basandosi sulla conservazione dei propri interessi ristretti.

Un grande esempio è la sinistra rivoluzionaria. Durante la presidenza di Chávez ha in gran parte messo da parte ciò che a mio avviso rappresenta la tradizione politica della sinistra rivoluzionaria, cioè l’essere molto divisiva, settaria, non rivolta al quadro generale o alla ricerca di strategie politiche realizzabili. Oggi, tuttavia, questi riflessi naturali stanno riemergendo.
La stessa cosa si vede con i militari. Ci sono segmenti dell’esercito che cercano di prendere il controllo su varie industrie o settori della società, e ci sono cani sciolti che si organizzano come mafie. Le azioni di alcuni settori dell’esercito sfuggono al controllo e le istituzioni civili non hanno realmente il potere di contenerle. Tutta la società venezuelana, tutto il chavismo oggi soffre di questo problema di frammentazione. E alla fine questo produce una generale mancanza di coerenza nell’azione del governo. Maduro può benissimo essere al centro di queste fazioni diverse, ma ciò non significa che possa orientare le azioni del chavismo nel suo complesso. È più un guardiano che distribuisce il potere per preservare il proprio. Ma allo stesso tempo, sta perdendo ogni sorta di capacità strategiche e sta perdendo una grande quantità di coerenza politica ed economica.
Come si può vedere, nel 2018 il governo venezuelano è passato da un approccio economico estremamente eterodosso a rivendicare una politica di deficit fiscale nullo. Ha adottato questo approccio economico molto più ortodosso, almeno nella sua retorica, senza alcun tipo di ampia discussione sulla politica economica all’interno del partito (Psuv), senza nessuno dei processi che si potrebbe immaginare come parte del processo decisionale di un movimento più coerente. Quindi oggi, purtroppo, il chavismo è molto frammentato e privo dell’equilibrio e della stabilità che Chávez era riuscito ad assicurare durante la sua presidenza.

Per andare avanti
Si parla molto a sinistra del chavismo, e all’interno della sinistra internazionale, della possibilità di costruire l’Estado Comunal, o stato comunale. Poco prima di morire nel 2013, il presidente Chávez ha lamentato il fallimento del processo bolivariano di avanzamento verso l’Estado Comunal, che consisterebbe in una totale riconfigurazione del potere politico, lontano dal tradizionale sistema rappresentativo basato su comuni e stati e verso un radicale sistema socialista partecipativo-democratico costituito da consigli cittadini locali (consejos comunales) aggregati in comuni più grandi (comunas), e così via fino a livello nazionale. Dal 2012 sono stati formati migliaia di comuni in tutto il paese, ma la misura in cui il sistema sta progredendo verso un’eventuale sostituzione dell’attuale sistema politico venezuelano è oggetto di dibattito. Come vedi lo stato attuale dell’Estado Comunal e quale ruolo pensi che possa avere nel futuro del socialismo venezuelano?
Nel caso delle organizzazioni comunali, non mi sembra una questione di essenza più o meno radicale, ma una questione di costruzione di una vera democrazia. In questo senso io, come molti Chavisti e Chávez stesso, sono favorevole all’idea di autogestione e auto-organizzazione. La società venezuelana è stata antidemocratica in passato anche a causa della mancanza di accesso ai diritti di base per i poveri. Anche dal punto di vista di una politica liberale più tradizionale, di coloro che sarebbero a favore di più soluzioni di mercato per il Venezuela, l’organizzazione delle persone per scopi produttivi e per rendere economicamente autosufficienti le persone è qualcosa di necessario.
Quindi penso che l’organizzazione dei Comuni, che è stata demonizzata dalla destra, fondamentalmente sta solo permettendo alle persone di organizzarsi collettivamente, dando loro le risorse per impegnarsi nei progetti economici. L’obiettivo di costruire la struttura comunale era essenzialmente quello di creare un quadro giuridico che rendesse legale il trasferimento di risorse dallo stato centrale a strutture economiche molto piccole. Secondo me è perfettamente in linea con la Costituzione del 1999 e coerente con l’esistenza di una forte democrazia liberale. È solo uno strumento per consentire alle iniziative economiche provenienti dal basso della società di accedere ai finanziamenti, alla formazione, all’assistenza tecnica, necessari per avere successo.
Ma il sistema ha affrontato una mancanza di capacità. Se dovessi spiegare perché la Rivoluzione Bolivariana non ha ottenuto di più nella costruzione di uno Stato Comunale, o almeno nella promozione di un’organizzazione comunitaria dal basso, direi che Chávez e il  chavismo in generale hanno avuto grandi idee e grandi iniziative, ma le modalità di organizzazione non erano probabilmente le più efficienti possibili. È una questione in sospeso e posso solo augurarmi un ulteriore sviluppo.
Abbiamo parlato molto di alcuni dei potenziali ostacoli per andare avanti, e tu hai accennato a quale potrebbe essere la soluzione alla crisi politica. Ma potresti approfondire, spiegando quali ritieni possano essere il peggiore, il più probabile, e il migliore scenario per una risoluzione politica nei prossimi anni?
Penso che il Venezuela sia in una situazione molto pericolosa, per le ragioni che abbiamo descritto, e la situazione sta solo peggiorando. C’è anche la situazione internazionale, con l’America Latina che si sposta a destra e molti governi latinoamericani ora nelle mani dei conservatori. Questi governi stanno pensando a come porre fine a quello che vedono come un problema critico in America Latina, ovvero il chavismo in Venezuela. I problemi di legittimità affrontati dal governo Maduro hanno reso questo percorso più facile. E, naturalmente, anche l’amministrazione degli Stati uniti ha intensificato la situazione in Venezuela, e anche se Trump ha menzionato l’intervento degli Stati uniti in Venezuela solo una volta con un commento scappato di bocca, il fatto è estremamente serio.
L’unico antidoto a un’ulteriore escalation internazionale – che può solo portare a ulteriori sanzioni che creano più stress per la società venezuelana o l’alternativa assolutamente catastrofica dell’intervento militare americano – è una soluzione interna. Tutte le parti coinvolte devono rendersi conto che l’unica soluzione è offrire una risoluzione interna, mostrare al mondo che i venezuelani possono risolvere i propri problemi.
Il problema è che la comunità internazionale ha sanzionato sia il settore petrolifero venezuelano che gli individui all’interno del governo. Per ottenere una soluzione politica, quindi, gli attori politici coinvolti devono avere un’alternativa. Se l’unica possibilità per un chavista al governo oggi è rimanere al potere o essere portato davanti al Tribunale penale internazionale, come hanno suggerito alcuni governi latinoamericani (con il sostegno del governo americano), non c’è alcun incentivo per nessuno a trovare un terreno comune o per raggiungere una risoluzione interna al conflitto. Deve esserci un cambiamento negli atteggiamenti nella comunità internazionale. E dato che questo non verrà dall’attuale amministrazione statunitense, altri governi, forse in Europa, devono essere consapevoli che è irresponsabile assumere una posizione contro il Venezuela solo perché questo è in linea con l’opinione pubblica nel loro stesso paesi. Perché il rischio è che l’escalation possa portare a un risultato catastrofico.
Esistono diversi potenziali esiti dell’attuale crisi. Uno, che è probabilmente il più positivo, è che alcune persone nel governo venezuelano compiano il passo estremamente coraggioso e lungimirante di generare un processo interno di dialogo. Cioè, trovare controparti nell’opposizione e cercare di raggiungere un accordo che risolva la dualità dei poteri legislativi per poi passare ad altri problemi. Questo è qualcosa che può essere raggiunto, ma, ripeto, richiede molto coraggio e mette da parte le tensioni che la politica quotidiana crea.
Un altro scenario meno positivo sarebbe che le pressioni interne sul governo Maduro generate dalla percezione di non essere in grado di offrire soluzioni alla crisi potrebbero provocare maggiori tensioni e indebolire la leadership di Maduro all’interno del chavismo. Ciò potrebbe determinare una situazione di instabilità politica, il cui esito sarebbe molto difficile da prevedere. E, naturalmente, lo scenario peggiore sarebbe, in assenza di negoziazioni o crisi interne, che un giorno l’amministrazione statunitense possa decidere, per qualsiasi ragione, di iniziare un catastrofico intervento militare in Venezuela, che, come abbiamo visto in molti altri contesti, si sa quando inizia ma non si sa mai come o quando finirà.
Ho la sensazione che la situazione attuale sia così grave, che i prossimi mesi saranno talmente tesi che uno di questi scenari finirà per manifestarsi. Ho la sensazione che sia questione di mesi [questa intervista risale a due settimane fa, prima del precipitare della situazione, Ndt]. Ma allo stesso tempo, bisogna tener conto della resilienza di Maduro e della capacità di recupero del chavismo in generale. Molte volte, gli osservatori hanno previsto una rapida dissoluzione del governo in pochi mesi, eppure il governo è riuscito a mantenere lo status quo, prendendo iniziative politiche che ne hanno conservato il potere.
Ho la sensazione che ora siamo in una situazione diversa, dal momento che Maduro ha promesso alla sua base che la sua recente rielezione [nel maggio 2018] sarebbe servita da punto di ripristino o di riavvio, e che con questa rinnovata legittimità politica lui e la sua squadra sarebbero stati in grado di affrontare i problemi della popolazione in generale. Questo non è successo, almeno non ancora, quindi penso che dobbiamo fare molta attenzione nei prossimi mesi.

*Jared Abbott sta svolgendo il suo PhD ad Harvard, nel Department of Government. Questo testo è stato pubblictato da JacobinMag, la traduzione è di Leopoldo Calabria.