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Ciampi, “l’uomo che capiva poco di cambi”

di Antonio Serena - 19/09/2016

Ciampi, “l’uomo che capiva poco di cambi”

Fonte: Liberaopinione

 

 

Dovrebbe esserci un secondo modo di giudicare l’operato di Carlo Azeglio Ciampi, che non sia quello di eccedere nella facile cortigianeria. Per quel paio di volte che ho avuto modo di parlarci alla presenza del fido Gifuni, già segretario generale della Presidenza della Repubblica, ma più ancora per averne seguito relativamente da vicino il suo percorso nel settennato di presidenza, mi sono fatto l’idea di una persona attenta a non uscire dalle righe, a non esporsi, a mettersi in gruppo per confondere le responsabilità. Non a caso la parola “insieme” è stata quella più usata nelle sue dichiarazioni.

Nel corso delle consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo (19 dicembre 1999), gli esposi, da rappresentante di un gruppo autonomistico, la situazione, allora pesantissima, dei trasporti e della viabilità nel nord ed in particolare nel nord-est del Paese. Mi aspettavo una promessa di impegno ed invece se ne uscì con uno sproloquio che interpretai come una manifesta assunzione di non responsabilità. In pratica: “Si rivolga ai competenti organi locali, ho altro a cui pensare”. Una scelta in uso nelle stanze del potere che sempre più la gente detesta manifestandolo con il rifiuto delle urne.

Gli parlai, in quell’occasione, anche di un caso delicato, che occupò in quegli anni le pagine dei giornali e le aule giudiziarie e cioè la situazione del capitano Erich Priebke, 86enne prigioniero di guerra a più di mezzo secolo dalla fine del conflitto. A sentir pronunciare quel nome, Gifuni sobbalzò sulla sedia, mentre Ciampi rimase letteralmente senza fiato. Sapevo che stavo parlando con un personaggio in odore di affiliazione massonica e con un passato, anche se romanzato, di resistente, ma lo rassicurai subito dicendogli che il mio intervento rivestiva un carattere più umano che politico e che il consulente giuridico del suo predecessore Scalfaro, dottor Salvatore Sechi, mi avevano informato che era ormai a buon punto la concessione della grazia all’ex ufficiale tedesco per motivi umanitari.

Mi sarei accontentato di una risposta anche evasiva, ma non fiatò. Obiettai allora a quel silenzio dicendogli che il nostro Paese aveva fatto una figura barbina permettendo che i giudici che avevano assolto Priebke venissero rinchiusi da quattro scalmanati e facendo intervenire a notte fonda il Ministro della Giustizia Flick (l’anno successivo Ciampi lo nominerà Giudice della Corte Costituzionale) per impedire il corso della Giustizia, vanificando la sentenza emessa e facendo riarrestare l’assolto. Lo vidi letteralmente imbiancare. Lo tolsi allora dall’imbarazzo tornando alla situazione della viabilità al Nord e terminammo quell’incontro che mi fece perdere anche quell’esile filo di fiducia che ancora nutrivo per le Alte Istituzioni.

«Dai gesuiti mi è stato insegnato l’amore per il prossimo, da Guido Calogero e alla Normale mi è stato insegnato il rispetto per il prossimo, al quale riconosci i tuoi stessi diritti e per i quali devi combattere ancora prima che per i tuoi», confesserà al suo biografo Arrigo Levi. A me, da quanto testè esposto, non è parso proprio. Prudente, timido, schivo, apprensivo, titubante: tutto, fuorché “generoso combattente”. Si dovesse coniargli uno slogan su misura, sarebbe: “Per favore, lasciatemi fuori”.

Scrivono i biografi che “fu la moglie Franca a convincerlo a fare il concorso alla Banca d’Italia dove entrò e alla fine rimase 47 anni, di cui 14 da governatore”. Un miracolo da Belpaese: come si fa, con una laurea in lettere e una in giurisprudenza, con una cultura classica, una dichiarata passione per l’insegnamento e un ottimo curriculum letterario (alla Normale di Pisa fu esaminato da Giovanni Gentile superando brillantemente il concorso), ma senza alcuna preparazione economica, a diventare prima Governatore della Banca d'Italia, poi Ministro del Tesoro e delle Finanze?

Dell’inesperienza, prima o poi si paga il conto, come ha scritto qualche illuminato osservatore: “Sbagliarono tutto sia Ciampi che Prodi. Al di là dello strozzinaggio sul cambio lira euro, accettato senza una piega, l'errore madornale, che neanche uno studente di economia politica farebbe, è stato quello di non sapere o non capire che un Paese con alto debito pubblico, vieppiù ingravescente di anno in anno, non può sopravvivere se tale debito è in valuta estera (l’euro in questo caso) e quindi non governabile di fatto dalla banca centrale. Da allora è iniziata inesorabile la nostra catabasi, il nostro percorso verso il default. Oggi siamo sospesi a un filo, a un passo dal declassamento più penoso, quello del non investment grade”.

Qualcuno, del resto, lo aveva previsto. Franco Bechis, su “Libero”, riporta un fonogramma strettamente confidenziale che “partì dall’ambasciata americana di Roma il 29 giugno 1978, diretto al segretario di Stato Usa dell’ epoca, Cyrus Vance. All’ interno un piccolo scoop: “Guardate che fra due settimane, il 16 luglio, cambierà il direttore generale della Banca d’ Italia. Se ne andrà in pensione Mario Ercolani, e il suo posto verrà preso da Carlo Azeglio Ciampi… A differenza di Ercolani, Ciampi non è preparato sulle questioni internazionali, e capisce assai poco di cambi. Per questo speriamo che verrà promosso alla guida del settore estero e del mercato dei cambi, Carlo Santini, assai più ferrato di lui su queste materie”.

Conclude Bechis: “l’ uomo che non capiva nulla di cambi secondo gli americani sarebbe passato alla storia d’ Italia proprio per avere costretto il suo paese e anche gran parte dei paesi europei a cambiare la lira con l’euro”.

In politica fu più o meno la stessa cosa. Hanno scritto i giornali: “La politica lo interessava, ma non troppo: dopo la tessera del Partito d’Azione, rimase ai lati del campo”. Per rientrare a tempo ormai scaduto, quando la Repubblica che aveva collaborato a far nascere traversando a piedi la Maiella in una notte, crollava sotto le macerie di Tangentopoli. E nel 1993, dinanzi a un parlamento in parte delegittimato dagli scandali e dalla corruzione, Ciampi diventa, prima volta nella storia della Repubblica, Presidente del Consiglio senza essere parlamentare, inaugurando l’infausto carosello dei “nominati” che sostituiscono gli “eletti”. Rimedierà sei anni dopo, venendo eletto Presidente della Repubblica con votazione bipartisan quasi unanime. “Tutti insieme”.

Ha scritto qualche suo estimatore: «Sempre, il metodo Ciampi ha marciato sul “mai lasciare sul tavolo una pratica incompiuta”, sul “le cose si fanno subito”… mai in vacanza in luoghi distanti oltre l’ora e mezza di macchina da Roma». Con tutto il rispetto, forse sarebbe stato meglio che si fosse preso qualche vacanza ai Caraibi.

La sua mancanza di conoscenze politiche è costata a questo Paese la perdita della sua sovranità. Scrive Sallusti su “Il Giornale”: “È stato lui insieme a Prodi, a gestire l’entrata dell'Italia nell’Euro accettando condizioni da strozzini sul cambio Lira-Euro imposte dalla Germania. Fu quello infatti l'inizio di tutti i problemi che, a distanza di sedici anni, ancora ci troviamo a scontare. Non si è mai pentito, Carlo Azeglio Ciampi, di quella sciagurata scelta. Sbagliò visione e previsione”.

Azeglio Ciampi è stato definito in tutti modi: “padre nobile dell’euro”, “uomo di larghe vedute”, “salvatore della Patria”, “galoppino del sistema bancario”, “comunista mascherato”, “traditore”.  Nel 2012 scrisse una “lettera aperta” ai giovani ventenni scoraggiati, concludendo: “Ragazzi ora tocca a voi!". Non ci par proprio che l’Italia anche da lui voluta abbia riservato un posto di privilegio ai giovani.

È invece un fatto noto che dal giorno in cui Ciampi e Prodi, da ingenui o da traditori, misero la firma che ci faceva entrare nell’Euro a quelle condizioni, l’Italia ha smesso di crescere e non si è più ripresa.