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L’Europa si è spenta con la civiltà cristiana

di Francesco Lamendola - 25/08/2017

L’Europa si è spenta con la civiltà cristiana

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Che cosa è stata la civiltà europea? L’incontro fra il cristianesimo latino e lo spirito guerriero e avventuroso germanico. Da questi due elementi è nata la cavalleria, come istituzione del mondo feudale e come Weltanschauung propria dell’uomo medievale. L’Impero carolingio prima, quello ottoniano poi, traggono origine da qui; da qui traggono origine il monachesimo cluniacense e le Crociate, le cattedrali gotiche e la Divina Commedia, quanto di meglio ha saputo produrre la cultura medievale, le sue istituzioni, il suo diritto, la sua spiritualità, la sua fierezza, la sua tenacia, il suo senso del limite, la sua capacità di conservarsi e di espandersi, superando innumerevoli tempeste e risorgendo ogni volta, dopo le rinnovate invasioni barbariche - dei Vichinghi, degli Ungari, dei Saraceni -, dopo le carestie, le pestilenze, le guerre intestine, perfino i mutamenti climatici: sempre conscia di sé perché conscia dei suoi valori, del senso della vita, del legame con il trascendente, il sacro, il divino, e ingentilita dal messaggio di amore del Vangelo, che rimase sempre il termine di paragone, anche quando era disatteso, edulcorato, perfino tradito.

Ma, fra tutti gli altri elementi, quello cavalleresco resta, probabilmente, il più importante, non tanto per ciò che fu effettivamente, quanto per ciò che seppe ispirare nell’immaginario collettivo, per i sentimenti che seppe accendere, per l’energia che seppe alimentare, e del quale le opere dei romanzieri e dei poeti conservano un riflesso, ma col quale la società materiale non s’identifica assolutamente, non più di quanto il Don Chisciotte s’identifichi con il vero spirito della cavalleria. Perché l’uomo medievale fu dotato di vivissima immaginazione e seppe vedere nel mondo che lo circondava, come accade a tutti i popoli nella loro infanzia, ciò che l’uomo moderno non sa più vedere: una foresta di simboli; un linguaggio misterioso di cui egli aveva, e sia pure parzialmente, la chiave; e la chiara consapevolezza che la realtà visibile è solo una piccola parte del reale, paragonata a ciò che non appartiene alla dimensione fisica e materiale. Senza tenere costantemente presente lo spirito di cavalleria, senza ricordare l’importanza e il valore del Sacro Graal, o meglio, della ricerca del Sacro Graal (perché, per l’uomo medievale, l’impegno è più importante del risultato), non si capiscono né Carlo Magno, né san Tommaso d’Aquino, né Federico II, né Innocenzo III, né Dante, né i trovatori, né le eresie medievali, né l’arte medievale e nemmeno il pensiero del Medioevo. Al cuore dello spirito di cavalleria vi è un sentimento eroico della vita e una concezione di essa proporzionata a tale sentimento: la vita, pertanto, è vista come una prova, come una guerra, come una missione, nella quale è necessario mettere in gioco tutte le proprie risorse, fisiche, intellettuali, spirituali, morali, per combattere la buona battaglia a servizio del bene e per debellare il male, con l’aiuto di Dio; ma è, prima di tutto, una guerra che si combatte nell’interiorità dell’anima, e un uomo degno di questo nome, che sia un monaco o un guerriero, deve aver prima affrontato e vinto i propri demoni, le proprie tentazioni, le proprie debolezze, se vuol diventare degno di affrontare, a viso aperto, i nemici esterni, che poi sono i nemici dei suoi simili, della sua civiltà, della sua fede religiosa. L’ideale eroico della cavalleria sposa, infatti, il massimo della tensione individualistica, che esalta le qualità del singolo, quelle che lo distinguono e lo fanno emergere dalla folla anonima (il Medioevo non conosce il concetto di “massa”, perché non è malato, come la modernità, di egualitarismo velleitario), con il massimo del comunitarismo, nel senso che tutte le azioni e tutte le intenzioni hanno come orizzonte spirituale non la realtà dell’io, ma quella della comunità; non i bisogni dell’io, non le brame dell’io, ma i bisogni e le necessità vere e profonde della comunità, sia essa la corte del signore, o il villaggio, o il regno, o l’Impero, o la cristianità tutta, concetto molto ampio che abbraccia l’intera Europa, non solo in senso geografico, ma soprattutto in senso culturale, spirituale, religioso. Il pellegrino che va a piedi, partendo dalla Scandinavia, a Santiago di Compostela, o quello che, partendo dall’Inghilterra, si reca al santuario di San Michele Arcangelo, sul Monte Gargano, non pensa di attraversare dei Paesi stranieri, ma un’unica patria ideale. L’Europa, pertanto, comincia a tramontare quando si offusca lo spirito di cavalleria; quando il mercante e il banchiere cominciano a imporre la loro logica, la loro concezione del reale; e quando la Chiesa, che, fino ad allora, aveva sostanzialmente inglobato in sé l’ideale cavalleresco, ovviamente cristianizzandolo, viene a patti con questa nuova mentalità borghese e si predispone a quel lunghissimo processo di auto-svalutazione e di auto-liquidazione cui oggi siamo assistendo nella sua fase più clamorosa, ma che parte, in effetti, da molto lontano: precisamente, da quando essa lasciò cadere la condanna dell’usura e si adattò a un compromesso con il sistema delle banche, cercando di strappare per sé qualche vantaggio.

Vale la pena di rileggersi il bel saggio La nascita dell’Europa di Christopher Dawson (Hay Castle, Galles, 12 ottobre 1889-Budleigh Salterton, Devon, 25 maggio 1970), uno dei migliori medievisti britannici ed europei, forse non abbastanza conosciuto e apprezzato perché cattolico (si era convertito nel 1914 dall’anglo-cattolicesimo e insegnò anche Religione cattolica all’Università di Harvard, negli Stati Uniti) e perché convinto dell’importanza, per la società europea odierna, di conoscere le proprie radici, un concetto oggi sempre meno apprezzato dalla cultura dominante, relativista, internazionalista, immigrazionista, che fa di tutto per nascondere ai popoli d’Europa le loro radici appunto per poterne distruggere l’identità e, quindi, la speranza nel futuro. Dawson era uno che diceva, senza tanti giri di parole: Solo studiando la cultura cristiana noi possiamo capire com’è nata la cultura occidentale e quali sono i valori essenziali sui quali è fondata. Perciò, se vogliamo che tale tradizione sopravviva, ritengo che lo studio della cultura cristiana sia indispensabile.  Riportiamo, dunque, la conclusione de La nascita dell’Europa (titolo originale: The Making of Europe: An Introduction to the History of the European Unity, London, Sheed and Ward, 1932, ripubblicato dalla Catholic University of America Press, 2003; traduzione dall’inglese di Cesare Pavese, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1959, 1969, pp. 330-333):

 

Questo territorio mediano [tra la Francia settentrionale e la Germania occidentale], che si estendeva dalla Loira al Reno, fu la vera patria della cultura medievale e la fonte delle sue creazioni più caratteristiche. Esso fu la culla dell’architettura gotica, delle grandi scuole medievali, del movimento di riforma monastica ed ecclesiastica e dell’ideale delle crociate. Fu il centro del tipico sviluppo dello stato feudale, del movimento comunale nord-europeo e dell’istituto della cavalleria. Fu qui che venne finalmente raggiunta una completa sintesi del Nord germanico e dell’ordine spirituale della chiesa e delle tradizioni della cultura latina. L’età delle crociate vide apparire un nuovo ideale etico e religioso, che rappresenta la trasposizione in forme cristiane dell’antico ideale eroico della cultura guerresca nordica. Nella “Chanson de Roland” troviamo gli stesi sentimenti che ispiravano l’antica epica pagana: la fedeltà del guerriero al suo signore, la gioia della guerra per la guerra, e soprattutto la glorificazione della sconfitta onorevole. Ma ora tutto ciò è subordinato al dovere di servire la cristianità e messo a contatto con gli ideali cristiani. Il caparbio rifiuto di Rolando di suonare il corno è interamente nella tradizione della vecchia poesia, ma nella scena della morte al posto dello sdegnoso fatalismo degli eroi nordici come Hogni e Hamdis c’è l’atteggiamento cristiano della sottomissione e del pentimento. “Verso la terra di Spagna egli volse la faccia, sicché Carlo e tutto il suo esercito potessero scorgere ch’era morto da valoroso vassallo con la faccia rivolta al nemico. Poi si confessò, pieno di santo zelo, e levò il suo guanto al cielo in pegno dei suoi peccati” (“Chanson de Roland”, vv. 2360-65; anche 2366-96).

È vero che l’ideale eroico aveva già trovata un’espressione nella letteratura dei popoli cristiani, soprattutto nel nobile “Lamento di Maldon” con quei grandi versi: “La mente sarà più risoluta, il cuore più indomito, il coraggio più grande, via via che perderemo la forza”. Ma qui per ora troviamo ben poca traccia di sentimento cristiano. Sopravvive intatta l’antica tradizione. Invero, per tutta l’”età oscura” la società occidentale fu caratterizzata da un dualismo etico che corrispondeva a un dualismo culturale. C’era un ideale per il guerriero e un altro ideale per il cristiano, e il primo apparteneva ancora in spirito al mondo barbarico del paganesimo nordico. Solo nel secolo XI la società militare venne incorporata nell’organismo spirituale del mondo cristiano sotto l’influsso ideale delle crociate. L’istituto della cavalleria è il simbolo della fusione delle tradizioni nordiche e cristiane nell’unità medievale, ed essa rimarrà tipica della società occidentale dal tempo della “Chanson de Roland” sino al giorno in cui, durante il passaggio della Sesia, nei tempi di Lutero e di Machiavelli, il suo ultimo rappresentante, Baiardo, “il buon cavaliere”, morirà come Rolando col viso rivolto verso gli Spagnoli. Il medioevo è infatti l’epoca del cattolicesimo nordico, e durò solamente finché durò l’alleanza tra il papato e il Nord: un’alleanza che era stata inaugurata da Bonifacio e Pipino, e rassodata dall’opera del moto settentrionale di riforma ecclesiastica nel secolo XI, moto ch’ebbe la sua origine nella Lorena e nella Borgogna. Quest’alleanza fu spezzata per la prima volta da un altro Bonifacio e da un altro re dei Franchi, alla fine del secolo XIII, ma, sebbene dopo di allora non si ricostituisse mai più interamente, tuttavia rimase la pietra angolare: dell’unità occidentale, sino a quando il papato non divenne una potenza del tutto italiana e i popoli del Nord cessarono di essere cattolici.

Ma, sebbene la cultura medievale fosse la cultura del Settentrione cristiano la sua faccia, come quella di Rolando, era rivolta verso il Sud islamico, e non c’era terra dal Tago all’Eufrate dove i guerrieri nordici non avessero versato il loro sangue. Principi normanni regnavano in Sicilia e ad Antiochia, principi lorenesi a Gerusalemme e a Edessa, principi borgognoni nel Portogallo e ad Atene, principi fiamminghi a Costantinopoli; e i ruderi dei loro castelli nel Peloponneso, a Cipro e in Siria, testimoniano ancor della potenza e dell’iniziativa dei baroni franchi.

Questo contatto con la superiore civiltà del mondo islamico e bizantino ebbe un influsso decisivo sull’Europa occidentale, e fu tra i più importanti elementi che contribuirono allo sviluppo della cultura medievale. Esso si rivelò, da una parte, nella formazione della nuova cultura aristocratica cortigiana e della nuova letteratura dialettale, e, dall’altra, nell’assimilazione della tradizione scientifica greco-araba e nella formazione di una nuova cultura intellettuale d’Occidente. Questi influssi rimasero vivi finché non li arrestò la rinascita della tradizione classica, che coincise con la conquista turca dell’Oriente e la separazione dell’Europa occidentale dal mondo islamico. Con la fine del medioevo, p’Europa volse la schiena all’Oriente e cominciò a guardare all’Atlantico.

Così l’unità medievale non era duratura, perché fondata sull’unione della chiesa e dei popoli nordici con un lievito d’influssi orientali. Tuttavia, il suo tramonto non significò la fine dell’unità europea. Al contrario, la cultura occidentale divenne più autonoma, più autosufficiente e più “occidentale” che mai. La perdita dell’unità spirituale non implicò la separazione dell’Occidente in due unità culturali esclusive e nemiche, come sarebbe certamente accaduto se essa fosse successa quattro o cinque secoli prima. A dispetto della separazione religiosa, l’Europa conservò la sua unità culturale, ma stavolta fondata più su una tradizione intellettuale comune e una comune fedeltà alla tradizione classica che non su una fede comune.

 

E tuttavia, pur condividendo quasi tutta l’analisi di Dawson circa la formazione della civiltà europea medievale quale risultato della fusione fra la tradizione guerriera, e poi cavalleresca, dei popoli nordici, e il cristianesimo, organizzato dalla Chiesa, dei popoli latini, il tutto stimolato da proficui contatti con l’Oriente islamico e bizantino (cioè arabo e greco), abbiamo qualche riserva da fare su ciò che egli dice circa la fine della civiltà medievale, laddove sostiene che l’Europa conservò la sua unità culturale anche dopo la perdita dell’unità spirituale e religiosa, provocata dalla cosiddetta Riforma protestante. Perché è vero quel che egli dice, che la grammatica latina, nelle scuole e nelle università, prese il posto della perduta liturgia latina nelle chiese (ovviamente, in quelle del Nord protestante, che adottarono la liturgia nelle lingue volgari fin dal XVI secolo), sicché l’unità culturale permase; ma l’unità culturale non è sufficiente a tenere in piedi una civiltà, a nostro modo di vedere, se non esteriormente e superficialmente. Il vero elemento unificatore di una civiltà, quello che fa di essa ciò che è, ossia una civiltà, una Kultur, e non solamente una cultura, una Bildung, risiede non in un fatto intellettuale, ma in un fatto essenzialmente spirituale e religioso. Per cui, venuta meno l’unità spirituale e religiosa, viene meno anche l’unità complessiva, se non, appunto, esteriormente; anzi, bisogna chiedersi se sia possibile parlare ancora di civiltà. Infatti, se è vero che il professore di latino (e di greco) prese il posto del chierico, da Londra a Palermo e da Berlino a Lisbona, ciò non fu sufficiente a rimpiazzare quel ch’era andato perso, e che era insostituibile: il sentimento della comune idealità spirituale e religiosa. Il mondo protestante incominciò a non sentire alcun legame con il mondo cattolico, perché proprio della rottura dell’unità esso aveva fatto la sua bandiera e la sua nuova ragion d’essere: non avrebbe potuto agire diversamente, senza suicidarsi. Il Nord era costretto, dalla sua stessa dinamica interna, ad andare sempre più lontano; e infatti, anche geograficamente ed economicamente, il suo sguardo si rivolse sempre più oltre l’Atlantico, e sempre di meno verso il Mediterraneo. Ciò lo rese sempre più commerciale e sempre più finanziario – e sempre meno cristiano. Sotto la vernice cristiana, il Nord incominciò a secolarizzarsi; poi, gradualmente, a divenire irreligioso, come lo è diventato, sostanzialmente, oggi. Il Sud, ripiegato su se stesso, arretrato economicamente e socialmente (nel XVII secolo vi fu un vero e proprio processo di rifeudalizzazione) cerò un compenso nel rinnovato slancio missionario e religioso: e buona parte del moto della espansione coloniale portoghese, e soprattutto spagnola, può essere letto in quest’ottica. Dal punto di vista spirituale, lo slancio missionario della Compagnia di Gesù in Paraguay, in Cina, in Giappone, alle Molucche, è certo più significativo dello slancio guerriero dei conquistadores; e anche se le sue “conquiste” furono più labili, o addirittura nulle, contribuì più di questo alla ristrutturazione spirituale del Sud cattolico.

Così, mentre l’Europa del Nord, divenuta protestante, scivolava passo a passo verso il distacco, non da Roma, ma da Dio, e gettava le basi di quella anti-civiltà, materialista, atea e brutalmente edonista, che è la cosiddetta civiltà moderna, il Sud resisteva ancora per qualche secolo, e solo alla seconda metà del XX alzava anch’esso bandiera bianca, rinunciando alla propria identità spirituale e assimilando la mentalità materialista e mercantile del mondo moderno. L’atto visibile e simbolico di questa resa è stato il Concilio Vaticano II, con il quale la Chiesa cattolica - che s’era tenuta ancorata allo spirito della vecchia civiltà medievale europea - dicendo e, forse, credendo, di rinnovarsi e riorganizzarsi, si è, di fatto, suicidata, svendendo il proprio patrimonio spirituale e svuotando di sostanza effettiva la propria religiosità. Lo spettacolo penoso dei preti e dei vescovi ”di strada” che, con la scusa di andare “incontro al mondo”, di fatto abbassando la religione al livello del mondo e la svuotano della sua specifica essenza, ossia della sua dimensione spirituale e trascendente, è il penultimo atto di questa lenta agonia. L’ultimo, sarà simile a quello che si è già verificato nell’Europa del Nord: l’abbandono in massa delle chiese da parte dei fedeli, sedotti da altre voci mondane, più appetitose di quelle dei preti “di strada” e dei teologi della “liberazione”. E, con l’estinzione dell’ultima favilla della civiltà cristiana, l’Europa piomberà nel buio: perché, ripetiamo, i frigoriferi pieni e i quattro televisori in casa non sostituiscono la sostanza spirituale di una civiltà, al massimo possono tentare di contraffarla con una illusoria apparenza di dinamismo e vitalismo. La cosa è doppiamente grave, perché l’Europa, proprio in questa fase storica, è sottoposta ad una sfida di una gravità quale mai si era vista nella sua storia, dai tempi dell’assedio turco di Vienna: una invasione islamica capillare, incessante, inarrestabile, che, sotto le specie d’una pacifica migrazione, si delinea, di fatto, in tutto e per tutto, non solo come una conquista, ma come una autentica sostituzione di popolazione. Ma vi è una logica, in questo: allorché una civiltà si estingue e si riduce a una cultura materialista, vuol dire che i tempi sono maturi perché venga qualche potenza esterna a impadronirsene, e perfino a rimpiazzare fisicamente i suoi abitanti, uno ad uno. Per ogni bambino europeo che non nasce, o che viene ucciso nel ventre di sua madre mediante l’aborto, vi sono due o tre bambini stranieri, figli di genitori islamici, che si apprestano a prenderne il posto.

Dawson, a nostro giudizio, aveva intravisto alcune di queste dinamiche, compresa l’insorgente minaccia da Oriente, ma gli era sfuggita la cosa più importante, pur avendo visto che una civiltà, per usare le sue parole, non è fatta solo di effimeri successi materiali e di progresso tecnologico: gli era sfuggito che la civiltà europea è la civiltà cristiana, per cui essa ha cominciato a  morire alla fine del Medioevo, con il progressivo distacco della società, dell’economia, infine della cultura, dai valori cristiani; distacco di cui la cosiddetta Riforma luterana non è stata che l’atto visibile, ancorché mascherato da motivi religiosi. In realtà, la posta in gioco non era il rinnovamento del cristianesimo, ma la sua messa in liquidazione e la sua sostituzione con la cultura del profitto economico, che non era mai stata al centro della civiltà medievale. Vi è ancora qualche speranza di sottrarci a un tale destino? Umanamente parlando, no: siamo giunti al capolinea. Eppure, niente è impossibile a Dio...