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La finanza vota per il "pilota automatico"

di Alessandro Montanari - 09/09/2017

La finanza vota per il "pilota automatico"

Fonte: Interesse Nazionale

Ma quale governabilità! La finanza internazionale ora tifa apertamente per l'instabilità che giudica lo scenario più congeniale all'attuazione della contro-rivoluzione neo-liberista. No, non sono i soliti deliri complottisti di un euroscettico affetto oltretutto da spiccate tendenze no-global. Questa volta, infatti, a dirci di preferire il caos istituzionale (ordo ab chao) a una grande coalizione, e naturalmente anche ad un governo populista, è una delle più importanti banche del pianeta.

La notizia arriva dalle pagine del Fattoquotidiano che mercoledì 4 settembre divulga diversi passaggi alquanto interessanti, e per ora non smentiti, di un report di Citigroup sullo scenario delle prossime elezioni italiane. “Dopo venti anni nella Seconda Repubblica – ragionano gli esperti della super-banca americana – l'Italia è in bilico sul ritorno al sistema proporzionale della Prima Repubblica. Mentre gli italiani speravano in una “Liberazione 3.0”, pensiamo che – cito testualmente quanto riportato dal Fatto – il Paese potrebbe trarre maggior vantaggio da un Parlamento paralizzato che non da governi a maggioranza debole, come nel recente passato, o dal ritorno ad una legge elettorale che favorisca la nascita di coalizioni di governo”.

Capito il senso del discorso? Le ammucchiate di “responsabili”, che dal 2011 col governo montilettarenzigentiloni stanno garantendo l'attuazione del modello globalista, non bastano più. Troppo timidi, lenti e titubanti per dare le necessarie garanzie sul lavoro che resta ancora da fare. Sì perché in Italia, nonostante i Jobs Act e le riforme Fornero, per i signori dei mercati ce ne deve essere ancora parecchio di “lavoro da fare”...

Vi state preoccupando, lo sento. Eppure non siamo ancora arrivati al punto. “Cinicamente – premette, con apprezzabile senso del pudore, l'analista di Citigroup –, se nessuno sta governando, nessuno può lamentarsi per l'introduzione di riforme impopolari e tasse. Quindi un Parlamento senza maggioranza e un governo ad interim basato su una maggioranza fluida potrebbe consentire all'Italia e all'Europa di completare un processo che istituzioni più deboli hanno iniziato nel 2011”.

Non saprei cosa aggiungere. Più che un'analisi, sembrerebbe una deposizione. Perché avevamo appena capito, a suon di terrorismo psicologico, che la finanza pretende governabilità e affidabilità (pensate alla strana impennata dello spread per favorire la sostituzione di Berlusconi con Monti, alle previsioni catastrofiche prima della Brexit e all'endorsement per il sì nel referendum costituzionale italiano) ed ora scopriamo che anche la fase del passaggio per la politica è finita.

La verità è che la Finanza sa benissimo di essere diventata più forte della Politica, che vive come un fastidio anti-storico, ed ora non vuole più perdere tempo ed energie a dissimulare. In questo contesto, allora, lo spread torna ad apparirci per quello che realmente è: non una una spia onesta dei nostri rischi (semmai dei loro...), ma piuttosto un'arma sempre meno efficace di condizionamento pubblico e, ancora molto efficace, di arricchimento privato.

Per troppo tempo, fin qui, ci hanno fatto concentrare sul dito invece che sulla luna. Ci siamo torturati sulle possibili conseguenze catastrofiche di un nostro voto “sbagliato” mentre avremmo dovuto guardare all'obiettivo convergente di tutte quelle pressioni: la trasformazione dello Stato sovrano italiano nell'ennesima provincia del nuovo ordine globale iper-liberista.

Privatizzazioni, liberalizzazioni, flessibilizzazione del lavoro, deregolamentazione dei mercati interni, blocco della spesa pubblica: le hanno chiamate “riforme” e “compiti a casa” per agevolare gli esecutori politici stimolando nelle masse senso di colpa e del dovere ma, in fondo, era solo una grande rappresentazione. Perché scavalcare di netto la democrazia sarebbe stato imprudente e pericoloso. Ma la democrazia esige la politica e i politici sono per loro natura indecisi e timorosi, dipendono dal consenso e talvolta, ebbene sì, conservano ancora un novecentesco retaggio di sensibilità sociale. Di loro insomma non ci si può fidare. E infatti, già da tempo, il sistema finanziario si era premurato di poterne fare a meno.

Oltre al 2011, infatti, c'è anche un'altra data memorabile in questo processo forzato di disarticolazione degli Stati: il 2013. Ricordate? In Italia dovevano tenersi le delicatissime elezioni del dopo-Monti, che si candidò per garantire la prosecuzione del lavoro, il disagio economico dilagava, l'eresia euroscettica si andava diffondendo a macchia d'olio e l'euro sembrava potesse crollare. I mercati erano nervosi e volatili, oscillavano in preda al panico o, forse, stavano solo cercando di prendere i soliti due piccioni con la solita fava: fare soldi con la speculazione&incutere un educativo timore nei cittadini tentati dal voto di rottura. Ebbene, come un raggio di sole a disperdere la tempesta, il 7 marzo Super-Mario Draghi irruppe davanti alle telecamere per consegnare ai posteri la sua seconda frase storica dopo il famigerato whatever it takes.

A quei fessacchiotti che sui mercati si stavano davvero agitando in vista dell'imminente rivoluzione populista, il governatore della Bce disse chiaro e tondo di stare tranquilli perché tanto, comunque fossero andate le elezioni, nessun politico avrebbe mai potuto invertire la rotta disegnata a tavolino. “Molti dei processi di risanamento – scandì, con la mimica imperturbabile di un novello Buster Keaton, il nostro Mario Draghi – continueranno ad andare avanti col pilota automatico”.

Quel messaggio non era destinato solamente ai mercati. In egual misura era rivolto anche alla politica: inutile provare a curvare a destra, con tagli delle tasse senza coperture, o a sinistra, con il ritorno dello Stato nell'economia. Tra clausole di salvaguardia, vincoli di bilancio, tetti di spesa..., la strada restava comunque, ineluttabilmente, segnata. Impossibile deviare.

Il “pilota automatico”, tuttavia, aveva un difetto intrinseco perché costituiva una frustrazione insopportabile per quei politici di nuova generazione, come ad esempio il giovane Renzi, che, pur essendo totalmente votati al modello, ambivano anche ad essere amati, acclamati e ricompensati delle loro premure con il voto. Da qui le ripetute richieste di chiudere un occhio su questo e quel parametro: per ricostruire Amatrice, ospitare gli immigrati e puntare qualche fiches da 80 euro sul tavolo verde delle elezioni. Rivendicazioni di libertà alquanto intollerabili per i liberisti liberali.

E allora ecco la drastica soluzione del problema: mettere fine alla recita e dire le cose come stanno. Sinceramente. Sfacciatamente. Brutalmente. La grande finanza tifa per un “parlamento paralizzato” perché, “se nessuno sta governando, nessuno può lamentarsi per l'introduzione di riforme impopolari e tasse”. Ordo ab chao, l'ordine che nasce dal caos. Almeno adesso lo sapete.