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Eduard Limonov, sciamano del culturalmente scorretto

di Nicola Berti e Luca Siniscalco - 25/05/2018

Eduard Limonov, sciamano del culturalmente scorretto

Fonte: L'intellettuale dissidente

Eduard Limonov. Un nome che divide l’opinione pubblica italiana da quando il suo recente viaggio nel Belpaese, possibile grazie alla lungimiranza dell’editore Sandro Teti, suo amico dall’inizio degli anni ’90, gli ha permesso di presentare la sua ultima fatica letteraria, Zona industriale, e di rivelare riflessioni tanto acute quanto provocatorie. Di quest’uomo affascinante, carismatico nello sguardo e fiero nel portamento, in Italia si è molto parlato negli ultimi giorni. La sua prima esperienza al di fuori dai confini russi dopo oltre vent’anni ha scatenato fitte reazioni. Forse anche troppe, dato che la chiacchiera – Heidegger docet – ha amplificato tutte le dissonanze degli interlocutori, mostrando quanto difficile sia comprendere la Russia e i suoi figli più anticonformisti.

Da Roma – con il “cafonal” Roberto D’Agostino – a Pistoia, da Torino, con la trionfale e attesissima presentazione al Salone del Libro, fino a Ferrara, in dialogo con Vittorio Sgarbi, e a Firenze, passando per Varese e Milano, l’uomo dalle molte vite – narratore, poeta, giornalista, politico, ma anche operaio, cameriere, star patinata e volontario di guerra in Serbia – ha rivelato tante sfaccettature della sua opera, così come della sua persona. È d’altra parte possibile distinguere fra le due? Il poliedrico patriota russo, cui molti tratti rimandano al fascino di figure à la Gabriele D’Annunzio e Lawrence d’Arabia, ha sempre mostrato di voler fare della sua vita un’opera d’arte. Lo stile prima di tutto, parrebbe suggerire. Così ci è sembrato, almeno, nel confronto che abbiamo avuto con questo elegante punk, classe 1943, durante la presentazione milanese del suo romanzo, avvenuta lo scorso martedì 15 maggio alla libreria “Libraccio” di Viale Romolo. 

Un’occasione particolarmente feconda per cogliere le profonde ancorché rizomatiche osservazioni di questo sciamano del politicamente scorretto. A partire dalla sua provocazione geopolitica: perché non spostare la capitale russa da Mosca alla zona settentrionale del Lago Bajkal, nella Siberia meridionale?

Se ci pensate bene – ha chiarito Limonov – Mosca è stata capitale dell’omonimo Gran Principato durante il Medioevo; da quei tempi la Russia si è espansa notevolmente, e Mosca risulta oggi collocata nell’estrema parte occidentale del Paese, tra l’altro a sole otto ore di distanza dai vostri carri armati della NATO. Quindi, la nuova capitale dovrebbe essere individuata in una zona più centrale. Io credo che prima o poi questa decisione verrà presa e la capitale verrà spostata. Ogni tanto ci sono delle proposte di singoli parlamentari in questo senso, ma fino ad ora non hanno avuto successo.

La prospettiva di Limonov interseca realismo politico a scenari apocalittici, tipicamente russi:

Prima o poi ci priveranno dei territori marittimi che si affacciano sul Pacifico: se non saranno i cinesi, saranno i giapponesi o gli americani a farlo.

Da qui la necessità geopolitica sopra indicata:

Nella parte europea del Paese vivono 118 milioni di Russi, molti più dei tedeschi della Germania unificata. Noi siamo il popolo più numeroso d’Europa. Siamo vostri parenti. Dovete farvene una ragione.

Un discorso che rientra coerentemente nella prospettiva di Limonov, che vede la Russia come parte integrante dell’Europa, su un piano storico e di civiltà.

Patriota russo – in senso imperiale e non nazionalista –, profeta inascoltato della crisi ucraina già negli anni ’90, Limonov si è duramente opposto a Vladimir Putin – scontando con due anni e mezzo di carcere la sua indipendenza intellettuale – per ragioni antitetiche rispetto a quelle dei libertari soloni della dissidenza made in Occidente («il filo-occidentale Navalny ha passato una sola notte in carcere», non ha mancato di rimarcare ironicamente):

Putin è troppo liberale, un front-man sottomesso agli interessi di gruppi di potere oligarchici e finanziari.

Quel che del Presidente russo Limonov può apprezzare è, invece, il tono patriottico degli ultimi anni, con cui lo zar del nuovo millennio intercetta una tendenza insita nel popolo russo. Per il resto, Limonov rimane un rivoluzionario:

Ho cercato di assorbire molte cose in Francia, mi sono confrontato con Alain De Benoist – ha dichiarato l’autore, che è stato collaboratore de «L’Idiot International»; credo che questi esperimenti e ricerche non siano ancora conclusi. Io sono convinto che non sia poi così importante che noi russi entriamo politicamente a fare parte di una qualsivoglia unità statuale europea, non è questo il punto. Io penso che, come ai tempi di Lenin, noi dobbiamo individuare un modo di uscire da questo tremendo vicolo cieco in cui ci troviamo attualmente. Vedere la televisione italiana, americana, russa, francese è ributtante. Loro ci prendono per il culo!

Con De Benoist Limonov non condivide tutto – ha dichiarato ad esempio a «La Verità»:

Lui mi vuole sempre convincere che l’alleanza tra Russia e Germania è naturale. E io gli rispondo sempre che in entrambe le guerre mondiali ci siamo scontrati. Ma lui mi risponde che in entrambi i casi è stata colpa della Gran Bretagna,

ma certamente a unirli sono l’attitudine anticonformista e la tensione utopica ma non utopistica verso una modernità altra rispetto a quella contemporanea, oltre lo sterile dualismo destra/sinistra. Gli stessi orientamenti su cui si è fondato il complesso e contraddittorio legame con Aleksandr Dugin, filosofo e politologo russo, autore della celeberrima Quarta Teoria Politica, al quale recentemente sembra essersi cautamente riavvicinato. In proposito, nel suo libro La mia biografia politica, Eduard Limonov scrive:

Rappresentavo probabilmente la metà rossa del Partito Nazional-Bolscevico, e Aleksandr Dugin, la metà nera.

Un legame che Carrère ha tipizzato, nel suo Limonov, come la relazione fra due equazioni personaliantagoniste: l’uomo d’azione – Eduard – che si trova a collaborare con lo studioso – Aleksandr.

Ma di Carrère, stando a Limonov, non ci si può fidare troppo. Scrittore valido, cui va il merito di aver ampliato la fama dell’autore russo, Carrère rimane troppo «borghese», un «nemico di classe», rappresentante, in piccolo, di quegli interessi liberali che Limonov stigmatizzava in un articolo del novembre 1997, apparso su «The eXile», riconducendoli simbolicamente alla figura del detestato George Soros. Del Limonov di Carrère il Limonov reale afferma, teatralmente, di aver letto solo poche pagine, senza provarne interesse.

Il Partito Nazional-Bolscevico fondato dallo scrittore, dichiarato in Russia illegale nel 2007, risponde proprio, in termini politici, al richiamo a un immaginario radicalmente alternativo, sintetico e non analitico, fatto di stile, irrazionalità, antimodernismo e slancio eroico più che di coerenza programmatica e attuabilità parlamentare. Posizioni classicamente tradizionaliste si fondono, in un’estetica underground, ai riferimenti alla dimensione imperiale dell’URSS, senza disdegnare modelli rivoluzionari quali Robespierre, di cui Limonov è espressamente cultore. Nel programma del Partito viene celebrato lo Stato, uno Stato totalitario, in cui i diritti dell’uomo dovranno far posto ai diritti della nazione. Si stabilisce che all’interno del Paese verrà istituito un ordine di ferro, un clima di disciplina, verranno instaurate bellicosità e diligenza. Una prefigurazione programmatica di quel nuovo Ordine cui Limonov allude con toni apocalittici nel suo testo, inedito in Italia, Un’altra Russia. I contorni di una nuova civiltà vengono qui immaginati a partire dal primario soddisfacimento degli interessi degli eroi, della minoranza aggressiva, di quei marginali, che sono il sale della terra.

I princìpi fondamentali della nuova civiltà – scrive Limonov – dovranno essere quelli di una vita integrale, eroica, perigliosa, all’interno di comunità nomadi armate, della comunanza degli uomini e delle donne basata sulla fratellanza, sul libero amore e sull’educazione sociale dei bambini.

I richiami ideologici della Weltanschauung di Limonov sono a tal proposito illuminanti:

Sono un socialista senza essere un marxista – ebbe a dichiarare in una intervista a Causeur, nell’ottobre 2013 –. Il mio regime ideale è piuttosto un’applicazione dell’anarchismo di Bakunin e di Proudhon, in effetti di tutti i pensatori socialisti pre-marxisti.

Ma sul sito del Partito Nazional-Bolscevico, ormai fuorilegge, così riporta Yurii Colombo nel suo introvabile Nazbol. Eduard Limonov, la sinistra e la Russia in cui viviamo (Erranze, Gorgonzola 2005), la biblioteca digitale offerta ai militanti era ben più ampia: da La società dello spettacolo di Guy Debord al Libro Verde di Gheddafi, dagli scritti politici di Mussolini a un’antologia del “guerrigliero urbano” brasiliano Carlos Marighella. Un sincretismo a tratti inquietante ma indubbiamente seducente.

Così, la spiegazione della contemporaneità deve passare, stando a Limonov, dal riferimento ad alcuni grandi del Canone Occidentale, ma ancor più dal loro superamento demiurgico:

I grandi filosofi come Marx, Nietzsche, Freud ed Evola sono portatori di un pensiero ormai esaurito. Invece, andando più indietro, apprezzo molto il lavoro di Malthus. Le persone che ho precedentemente citato si sono occupate dei rapporti fra individui e fra gruppi di persone, mentre Malthus, nel lontano 1798, aveva già scritto un importante trattato, il Saggio sul principio di popolazione, occupandosi per primo, in modo originale, dei rapporti tra la natura e l’uomo, tra le risorse del pianeta che potevano essere messe a repentaglio, e le conseguenze sull’umanità.

Aggiunge Limonov:

Per una serie di motivi, l’umanità diventa sempre meno tollerante e addirittura razzista. Io credo che le ideologie del passato siano divenute obsolete, perché anche le ideologie, come gli uomini, invecchiano. Questo l’ho detto anche in un recente convegno per i 200 anni dalla nascita di Marx.

Eppure, tornando sulla figura del tradizionalista italiano Julius Evola, ci ha precisato quanto l’idealista magico sia stato importante nella sua formazione:

Io ho appreso il pensiero di Evola nel mio periodo francese. Ho studiato molto attentamente quelle che ritengo le sue opere principali: Cavalcare la tigre e Rivolta contro il mondo moderno. D’altra parte alcune sue posizioni sono oggi totalmente irrealizzabili. Noi dobbiamo piuttosto creare delle regole molto severe nei confronti di tutti noi, e fare rispettare queste regole, anche perché la maggior parte delle persone ama essere comandata. Da questo si avrebbe un beneficio. Diciamo che noi abbiamo avuto sicuramente tanti pensatori e quello che manca adesso è una sorta di guida per orientarci nel mondo contemporaneo.

Dalla teoria alla prassi. Come colmare l’abisso?

La spiritualità potrebbe essere una via ancora percorribile, un’oasi nel deserto nichilistico della modernità – per usare un’immagine cara a Ernst Jünger. Sul tema, Limonov ci ha dato indicazioni quanto mai stimolanti, precisando il suo rapporto con la sfera dell’Invisibile:

Io in rapporto alla religione ho scritto tre libri, che definisco “eretici”, uno dei quali si chiama Eresie, l’altro Plus ultra, e infine Illuminazioni; in queste mie opere mi occupo proprio di religione. In particolare, io credo nell’esistenza di un Creatore. Il Creatore esiste ma è più negativo che positivo, poiché “succhia” le energie delle persone. Se voi ci pensate, in tutte le religioni si parla sempre dell’anima e mai della carne. Io ho un approccio più “pro-umano”. Credo comunque che alla fine dovremo incontrare e scoprire il Creatore, questo autentico Mistero, e poi dobbiamo farlo fuori e ce lo dobbiamo mangiare! Io mi sono occupato molto di queste cose, ad esempio ho pubblicato un libro che si chiama Il profeta M., dove io congiungo la figura di Mosè a quella di Maometto.

Un Dio da assassinare e sbranare. Consapevolezza dionisiaca e nietzscheana? Riferimento sapienziale al rifiuto di ogni idolo esteriore? Immagine esoterica legata alla ritualità del sacrificio? O forse semplice boutade provocatoria? Una domanda destinata a rimanere inevasa. Perché Limonov, anche in questo terreno, è mistero ed enigma.

Il problema – illustra lo scrittore ne Il trionfo della metafisica – non sta nelle prove dell’esistenza del mondo metafisico – esso c’è, esiste e non richiede prove – ma nell’interazione fra il mondo fisico e quello metafisico. L’influenza del là sul qua.

Si può invece star certi – così ha dichiarato durante la presentazione di Varese –, che non crede in Cristo: se vi aspettavate che dicessi che sono cattolico o cristiano ortodosso resterete delusi. Comunque, riferimenti alla spiritualità e al misticismo percorrono tutti i principali romanzi di Limonov. Dall’esperienza mistica del «nirvana privato» narrata ne Il trionfo della metafisica, al breve ma affascinante capitolo di Zona industrialededicato alla formulazione di una “Teoria del superamento della solitudine cosmica”, laddove, con espressioni affini alla prospettiva tratteggiata da Evola in Metafisica del sesso, lo scrittore russo supera ogni mero biologismo riduzionista affermando che il sesso è l’unica possibilità che ha l’uomo per vincere la condizione di tragico abbandono nell’Universo. Il piacere sessuale, più che soddisfazione fisica, è titanica e vitalistica affermazione di un oltreuomo differenziato.

Una forma di superamento che Limonov, oltre a delineare nella sua lirica prosa, non ha mai disdegnato. È la sua biografia, qualora ci si avventuri nel complesso rapporto intrattenuto con il mondo femminile, a dimostrarlo. Nel 1973 Limonov sposò la modella e poetessa Elena Shchapova – presente, con il nuovo cognome nobiliare De Carli, fra il pubblico della presentazione romana di Zona industriale –. A seguire, negli anni ’80, il matrimonio con Natalya Medvedeva, durato fino al 1994. Infine, le nozze con la magnetica attrice Yekaterina Volkova, da cui ha avuto due figli (Bogdan e Aleksandra). È lei la femme fatale al centro delle vicende amorose narrate in Zona industriale. Un turbinio di relazioni matrimoniali intervallato da innumerevoli flirt e rapporti con giovanissime attratte dal carisma del provocatore leader dei nazbol. Che nel 2013, quasi a festeggiare i settant’anni d’età, si sente perfettamente a suo agio a posare sulla copertina di «Rolling Stone» con l’atletica – e giovanissima – fidanzata “Fifi”.

Un desiderio d’infinito, quello che anima Limonov, riconducibile alla figura simbolica del Faust goethiano, quell’arcano richiamo oltreumano al perenne superamento dei propri limiti che troverà perfetta rappresentazione filosofica nella teoresi nietzscheana. L’uomo faustiano – quello che anche Spengler e Jünger hanno variamente delineato lungo la linea di fuoco del Secolo Breve – incarna per Limonov, in Zona industriale,

il cammino che solo gli eletti e pochi audaci possono intraprendere, il cammino di coloro che sono sopravvissuti, che hanno vissuto oltre, e che sono giunti al massimo grado di saggezza cui un uomo possa aspirare. È solo in questi esseri superiori che può sorgere il dilemma: possibile che la vita sia tutta qui? Come riuscire a spingersi più in là, oltre l’umano?

A fronte di tali riflessioni, ondeggianti fra l’affermazione volontaristica e la critica antimoderna, risulta comprensibile il perché la figura di Limonov rimanga un enigma per larga parte dei lettori occidentali. Di coloro che vivono il declino di quella civiltà che il centenario della pubblicazione del Tramonto dell’Occidentespengleriano ricorda ripetutamente, nel rintocco cadenzato della crisi della spiritualità, dell’interiorità del singolo, della cultura, dell’arte e, certamente, della politica. Di quella italiana Limonov è stato attento osservatore nelle ultime affannose giornate che stanno trasformando radicalmente – almeno in apparenza – lo scenario politico dell’Italia repubblicana. Pur sapendo che in Italia a persone come me non viene data la parola, dato che qui vengono invitati soprattutto liberisti e liberali, mentre io mi considero un imperialista, Limonov ha registrato sul suo Live Journal digitale numerose impressioni tratte dalla cronaca politica recente. A emergerne, è un quadro tragicomico, ma, nel contempo, ricco di stimoli. Dalle elezioni italianeLimonov ricava il desiderio popolare di lavorare attivamente all’omicidio dell’ordine liberale, portando a termine una tensione che si diffonde in tutta Europa. Nel contempo, è chiaro come i politicanti si riproducano incessantemente, trovando la serietà poca rappresentanza, sconfitta com’è dal pressapochismo e dalla volubilità. Al centro dell’interesse di Limonov è, ovviamente, il tema spinoso delle sanzioni alla Russia, la cui revoca è obiettivo auspicabile, nonché l’uscita dell’Italia dalla NATO. Questioni al centro del dibattito politico, la cui realizzazione condurrebbe il nostro Paese a un radicale mutamento del suo assetto geopolitico. Limonov, anche su questi temi, rivela sempre un tono realista. Così, anche lo scenario politico dell’Italia contemporanea pone interrogativi, più che prospettare soluzioni immediate.

Dall’Italia, d’altra parte, Limonov sembra sinceramente affascinato. Nessuna captatio benevolentiae da parte di un uomo sfacciatamente onesto, ai limiti dell’irruenza. A emergere dal tour italiano è piuttosto un sentito interesse per il Paese che ha dato i natali a suoi importanti riferimenti culturali. Oltre al già citato Evola, è Pasolini ad essere indicato da Limonov come un autore fondamentale nella sua formazione. Un letterato, ma anche un regista di livello: a Milano, Limonov ha ricordato con piacere la visione di Salò o le 120 giornate di Sodoma, precisando che di Pasolini, nel periodo parigino, ha potuto apprezzare l’intera produzione cinematografica, oltre ad averne letto la biografia firmata da Enzo Siciliano. Per stabilire, infine, una continuità ideale fra la sua vita e quella del grande intellettuale italiano. In Italia Limonov era già stato fra il 1974 e il 1975, prima di partire per gli U.S.A. E l’italiano, così ha rivelato al pubblico milanese, sarebbe stato insieme al tedesco la lingua d’elezione per i suoi studi in carcere. Ma per fortuna, così ha beffardamente sottolineato, i quattordici anni previsti per la sua detenzione sono stati ridotti drasticamente, togliendogli il tempo necessario allo studio del nuovo idioma. Una evenienza di cui, forse, nemmeno si è poi tanto pentito. In queste dichiarazioni, a presentarsi al pubblico italiano è stato un Limonov diretto e scanzonato.

La periferia in cui ha trascorso gli anni migliori della sua esperienza, in Russia come in Francia e negli Stati Uniti, è in fondo sempre presente, ancorché occulta, nello sguardo di questo ribelle eternamente giovane («Non può esistere Limonov vecchio!» scrive nel Diario di un fallito). La verità, paiono dirci i suoi occhi penetranti, si trova nel fango, nella durezza concreta dell’esistenza. Negli abissi delle esperienze estreme che spingono l’uomo al limitare della propria coscienza. Sono un cinico, nel senso che il cinismo è il livello estremo del realismo, ha dichiarato. Per questo, il nostro ha scelto di rimanere nell’enigma, di accettare le sfide della contraddizione e di abitare i luoghi del caleidoscopio rifrangente che è la vita. Limonov è stato definito in molti modi: fascista, genio assoluto, perfetto stronzo, dissidente dalla parte dei deboli, esteta armato, comunista di ritorno. Forse perché tutti lo hanno osservato assiso sul palcoscenico della vita. Uno, nessuno e centomila. E adesso, almeno fino alla sua prossima, auspicabile visita, cala il sipario.