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Aria di casa, finalmente

di Francesco Lamendola - 09/06/2018

Aria di casa, finalmente

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

 

 

Era una vita intera che aspettavamo e sognavamo un momento come questo; quasi non ci speravamo più. Molti nostri amici erano preda allo scoraggiamento, e parecchi lo sono ancora, perché il loro, come quello di tanti italiani,  è uno scoraggiamento cronico, dovuto anche a ragioni generazionali. Quando si raggiunge una certa età, qualunque ripresa appare particolarmente difficile: arriva il tempo in cui ci si fa da parte e si vuol passare il testimone ai giovani, nella speranza che qualcuno venga avanti e accetti di prenderlo. Stiamo parlando di valori, di concezione della vita, e soprattutto di radici, di tradizione. Negli ultimi cinquant’anni è come se fossero passati i barbari: anzi, forse nemmeno Attila o Gengis Khan avrebbero provocato danni spirituali e morali così gravi, come quelli che ha fatto la generazione del ’68. Ha devastato la scuola, ammorbato l’università, invaso le redazioni dei giornali; in breve, si è impadronita delle tre leve della scuola, della cultura e dell’informazione, e, attraverso di questa, dei mass-media: e così ha potuto condurre sistematicamente la politica della terra bruciata, o, se si preferisce, dei cervelli bruciati. Per cinquant’anni, ha distrutto le intelligenze, minato le certezze, incrinato deliberatamente tutto ciò che di sano e di vero esisteva nella nostra tradizione. Ha sparso a piene mani il veleno del sospetto, della diffidenza, del disprezzo verso tutto ciò che è tradizione, a cominciare dalla famiglia, dalla patria e dalla religione; ha preteso di rifare i cervelli, per dirla con Galilei, riscrivendo un nuovo codice culturale ed etico nella coscienza di decine di milioni di persone. Chi non era d’accordo, veniva isolato, sbeffeggiato, ridotto al silenzio, cacciato dai giornali, perseguitato nei licei e nelle università, additato al pubblico ludibrio. Grazie al totalitarismo culturale basato sul politicamente corretto, il bene è diventato male e il male è diventato bene; il vero è diventato falso e il falso, vero; il brutto è diventato bello e il bello, brutto; il giusto è diventato ingiusto e l’ingiusto, giusto. È stata operata una trasvalutazione di tutti i valori, tale che avrebbe lasciato stupefatto perfino Nietzsche; il quale, però, ne non se ne sarebbe rallegrato per niente, perché avrebbe visto subito il lato debole di questa operazione: mirata non già a creare un uomo superiore, ma un sotto-uomo, un uomo più gracile, più volgare, più stupido e più vigliacco; esattamente il contrario del progetto di rifondazione antropologica che aveva in mente lui.

Abbiamo assistito alla selezione e alla promozione dei peggiori, per cinquant’anni. Ci siano sentiti ripetere che nessuno era più bravo di Alberto Moravia, come romanziere, o di Pier Paolo Pasolini, come regista; di Dario Fo, come attore, o di Renato Guttuso, come pittore, o di Franco Fortini come poeta, o di Umberto Eco come semiologo, o di Umberto Galimberti come filosofo, o di Tullio Kezich come critico cinematografico, o di Francesco Guccini come cantautore, o di Vauro come vignettista. E ci hanno detto che il migliore pedagogista in assolito era don Lorenzo Milani, il cardinale più aperto era Carlo Maria Martini, il teologo più “conciliare” era Enzo Bianchi: perché anche i cattolici di sinistra si son fatti sotto, e hanno preteso la loro ampia fetta di bottino. Il martellamento è stato così incessante, sistematico e capillare, che abbiamo finito per arrenderci, e per crederci: per credere a tutto. Non c’erano voci alternative, se non qualche pazzo isolato, sommerso dagli insulti. La cultura dominante vantava anche una pretesa di superiorità morale: chi non era con lei, era moralmente dubbio, o marcio; il bene era tutto dalla sua parte, fuori di essa c’erano solo il vizio e quella cosa orribile, inqualificabile, chiamata ”fascismo”. Non c’era contraddittorio: i signori del politicamente corretto hanno campato in regime di monopolio. Però, curiosamente, hanno seguitato a denunciare complotti, trame, cospirazioni, a fare la parte della minoranza illuminata e assediata, a descriversi come inermi e disarmati, stretti da ogni parte da forze oscure e sempre pronte a ripristinare la barbarie e l’oscurantismo.

Un po’ alla volta, tuttavia, la cultura dominante ha subito una mutazione antropologica. Ha incominciato a parlare sempre meno dei lavoratori, degli operai, dei pensionati, e a occuparsi sempre più spesso, e sempre più convintamene, dei diritti degli omosessuali, dei negri, degli zingari. Non ha più fatto battaglie sulle banche che rapinano i risparmi della povera gente, ma sul diritto di un omosessuale benestante di comprare un bambino con la pratica dell’utero in affitto. Ha smesso di citare Marx, Engels e Gramsci, e ha cominciato a citare sempre più spesso Scalfari, Bonino e Pannella. Al posto di Togliatti, Capezzone; e al posto del Capitale, Sodomie in corpo di Aldo Busi. I cattolici hanno seguito la corrente, anzi si son messi a correre più in fretta di tutti gli altri: per vincere il complesso di essere in ritardo, han voluto giocare all’avanguardia: e adesso hanno un papa fatto su misura per loro, amico dei radicali, degli abortisti e degli omosessualisti, e nemico, nemicissimo, dei cattolici fedeli alla tradizione. Un papa che è talmente avanti da essersi lasciato indietro quasi tutti i cattolici; in compenso, è arrivato alla pari con George Soros, con i Rotschild e i Rockefeller, con il Gruppo Bilderberg e la Trilaterale, almeno per quel che riguarda il mondialismo, le migrazioni e il multiculturalismo. Non c’è nessuno più avverso di lui alle radici, alle tradizioni, alle identità e alla sovranità; e non c’è nessuno più relativista, nemmeno nel panorama del mondo laico. Può dare i punti a tutti, ai filosofi del pensiero debole, ai Vattimo e ai Cacciari: li ha spiazzati tutti quanti, complimenti. Peccato che del cattolicesimo non sia  rimasto molto, e del Vangelo di Gesù, ancora meno. Ha fondato una religione tutta sua, gnostico-massonica: ha coronato la marcia della massoneria ecclesiastica alla scalata della Chiesa, incominciata col conclave del 1958, quello che portò a San Pietro il cardinale Roncalli. Ha lodato la Bonino e si appresta a beatificare don Milani, il pederasta, il padre ideale del Forteto, così come ha lodato l’altro grande invertito e pessimo profeta degli anni ’60 e ’70, Pasolini, per il suo film su Gesù Cristo che è un oltraggio a Dio e ai credenti; mentre il suo braccio destro, monsignor Paglia, leva le lodi più sperticate del defunto Pannella e fa affrescare la sua chiesa con un grande dipinto sacrilego, che arruola Gesù Cristo quale patrono di tutti gl’invertiti impenitenti, e, non ancora soddisfatto, si fa pure ritrarre in mezzo ad essi, soddisfatto e sorridente.

Nello stesso tempo, per cinquant’anni, abbiamo dovuto assistere allo spettacolo mortificante di una classe politica inesistente, serva d’interessi stranieri, prona a tutti i voleri degli Stati Uniti e, poi, anche dell’Unione europea, o meglio, della Banca centrale europea; una classe politica che si è girata dall’altra parte mentre il Paese veniva divorato a grandi bocconi dal capitale straniero, mentre l’economia veniva massacrata dalla perdita di sovranità monetaria, e mentre le Nazioni Unite ci chiedevano di mandare i nostri soldati come ascari in ogni angolo del globo, a farsi ammazzare per difendere gl’interessi americani. Per mezzo secolo abbiamo visto una processione di politici dalla schiena curva, capaci di prendersi i più sonori ceffoni senza fare una piega: come quando il capo del governo D’Alema (un governo di sinistra, ben s’intende) non ebbe neanche la fierezza di annullare il viaggio negli Stati Uniti, all’indomani della strage del Cermis. Per cinquant’anni ci siamo vergognati di essere italiani, a causa dei nostri politici. Non c’è stata una sola occasione in cui abbiano saputo mostrare un po’ di autonomia, un po’ di dignità; si sono accontentati di gestore il potere per conto terzi, di tener buono il popolo italiano con generiche promesse e vaghe esortazioni, e, intanto, hanno fatto mandar giù al popolo italiano anni e anni di politiche suicide, dall’industria al commercio, dalla politica estera all’immigrazione/invasione africana ed islamista. Hanno riempito l’Italia di delinquenti, di clandestini, di spacciatori e criminali d’ogni sorta, al punto che la gente non è più sicura nemmeno in  casa propria, e, la sera, interi quartieri sono tenuti in  ostaggio da ogni sorta di criminali, dalla mafia nigeriana a quella albanese. Ma guai a dirlo; si passava per razzisti. Bisognava tacere e chinare la testa. I signori del politicamente corretto avevamo il controllo di tutto, vegliavano a intervenivano al minimo accenno di protesta. La signora Boldrini, la signora Kyenge, la signora Cirinnà hanno tenuto l’Italia in ostaggio contro i sentimenti della stragrande maggioranza del popolo italiano: hanno imposto la loro filosofia: femminista, immigrazionista e omosessualista, e se qualcuno fiatava, si beccava una querela che lo riduceva al silenzio.

Ma le elezioni del 4 marzo 2018 hanno spezzato l’incantesimo. È nata una speranza: gli italiani si sono riscossi, si sono guardati negli occhi, si sono contati e hanno scoperto di esser la maggioranza, e di non voler più subire il totalitarismo progressista, cialtrone e parolaio. Hanno deciso di voltar pagina. Il sistema ha provato in ogni modo a mettere il bastone fa le ruote; e il signor Mattarella l’aveva fatta proprio sporca, tentando di silurare il governo nato dalla volontà popolare e di mettere al suo posto il solito governicchio del solito nominato, coi voti dei trombati, per imporre al Paese l’esatto contrario di ciò che il Paese aveva chiesto, e rifilargli altri quattro o cinque anni di commissariamento: come con Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Ma il Paese ha detto no. Di Maio e Salvini sono stati più abili e, al prezzo di un compromesso strategico, hanno sventato la manovra. E adesso, per la prima volta dopo cinquant’anni, abbiamo un governo degno di questo nome. Vedremo quel che farà: la partenza, però, è buona. Per la prima volta dopo tanto tempo, possiamo andarne fieri, e risparmiarci la vergogna. Abbiamo un governo che cercherà di fare gli interessi del popolo italiano e non delle multinazionali e delle grandi banche; che penserà prima agli italiani, poi ai desiderata degli Stati Uniti, di Israele e della signora Merkel. Ohibò, che scandalo, che vergogna. Dobbiamo aspettarci di tutto, da fuori e da dentro. Faranno letteralmente di tutto per farlo cadere; sarà una battaglia quotidiana. Tutti i giornalisti, i professori, i magistrati, i politici e gli amministratori che vivono di rendita, faranno carte false per tornare alla comoda situazione precedente e per spedire a casa i rompiscatole; tanto, quel che pensa e desidera il popolo non è mai stato una loro preoccupazione. Loro sono uomini d’apparato, sono servitori di un sistema che prevede, per l’Italia, un ruolo coloniale. Ripetiamo: bisogna tenersi pronti, sarà un bombardamento quotidiano. Tutti gli sconfitti rancorosi sognano la rivincita. I più laidi, i più brutti, e li abbiamo già visti all’opera, fin da subito, sono i signori del Pd e quelli di Forza Italia. Renzi e Berlusconi non si rassegnano; la sconfitta brucia loro: preferirebbero sprofondare del tutto, ma trascinare nel baratro anche Salvini e Di Maio, piuttosto che assistere al loro trionfo. La loro è la filosofia dei perdenti: muoia Sansone con tutti i filistei. Si passi in rassegna i commenti di quei signori al momento delle votazioni per la nascita del nuovo governo giallo-verde. È un panorama di una terribile desolazione intellettuale. Si ascolti quel che hanno detto i Del Rio, i Martina, i Fiano; e quel che hanno detto le bellone di Forza Italia, quelle messe lì per i loro meriti extra-politici. Quanto livore, quanto schiumar di rabbia e arrotar di denti. I democratici hanno detto che è nato un governo di estrema destra, applaudito dai fascisti. Non hanno capito niente Non hanno capito nemmeno che è finita la (loro) pacchia, che non potranno più nascondersi dietro la foglia di fico dell’ideologia, per la semplice ragione che destra e sinistra sono concetti largamente superati. Oggi la vera divisone è fra chi crede nell’Italia, nella sua gente, nella sua tradizione, e chi crede nel mercato selvaggio, nelle banche d’affari e nell’usura. È la vecchia lotta del sangue contro l’oro, ed essi hanno scelto di stare dalla parte dell’oro. Che vergogna: i loro padri nobili si rivoltano nella tomba. Sono dei morti viventi, puramente e semplicemente. La storia se li è già lasciati indietro, sono dei morti che camminano e neppure lo sanno. Continuano a berciare di genitore 1 e genitore 2, di famiglie arcobaleno, di ius soli, e non hanno capito che il loro tempo è scaduto. Sono andati, come un formaggio che ha fatto i vermi. Non servono più a niente e a nessuno. Non hanno capito che il superpartito radicale, del quale sono diventati, di fatto i gregari – entrambi, sia i signori del Pd, sia quelli di Forza Italia: dov’è la differenza? – non ha più bisogno di loro. Ha i giornali, i telegiornali, e soprattutto i finanziamenti di Soros & C.: può anche fare a meno di foraggiare dei partiti così ingombranti e così inutili. Oggi il globalismo si accontenta di “governare” attraverso il controllo dell’opinione pubblica, dei consumi, degli stili di vita. Non gli serve avere in parlamento un Renzi o un Berlusconi; gli basta avere, nella società civile, qualche milione di consumisti inconsapevoli, che fanno a gomitate per acquistare il telefonino di ultima generazione, quando forse non arrivano a pagarsi l’affitto di casa e la bolletta del gas e della luce. Di questo si servono le banche, per dominare le società del terzo millennio. I vecchi partiti ideologici sono diventati  una zavorra inutile e costosa; a che scopo mantenerli ancora, se si può imporre l’ideologia del consumo assoluto?

Se ne facciano una ragione, i Del Rio e i Brunetta, i Martina e le Carfagna. Nessuno ha più bisogno di loro; non rappresentano nessuno, non hanno mai rappresentato nessuno. L’Italia può privarsi tranquillamente dei loro servigi. Noi guardiamo avanti. Non siamo così ingenui da aspettarci miracoli, ma non saremo così cinici da non sentirci in dovere di sostenere questa cosa nuova che sta nascendo, una nuova società civile, un nuovo patto sociale, un nuovo modo d’intendere la politica e il rapporto fra cittadino e Stato. Forse ce la faranno, forse no. Ma val la pena di tifare per l’Italia…