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Urgenza dell'increato

di Giampiero Marano - 08/07/2018

Urgenza dell'increato

Fonte: Giampiero Marano

Se al pensiero debole post-modernista egemone in Occidente nel tardo Novecento va imputata, tralignamento non meno grave della trahison denunciata da Benda negli anni Venti, la totale genuflessione davanti al nichilismo dell’economia e della tecnica, il necessario movimento di riequilibrio non si esprime tanto tornando al realismo (quello di Gomorra, per intenderci) in risposta al culto tipicamente postmoderno del simulacro quanto attraverso la scoperta, o il recupero, di un’esperienza amplificata e inaudita della realtà stessa.
Poiché in questo senso l’opera di Antonio Moresco segna davvero uno spartiacque nella letteratura italiana a cavallo fra XX e XXI secolo, si può soltanto plaudire all’iniziativa di Transeuropa, che ha da poco reso disponibile gratuitamente l’ottima monografia di Luca Cristiano, Crema di vetro. Misura e dismisura nei romanzi di Antonio Moresco, già pubblicata in cartaceo nel 2016 presso lo stesso editore.
A causa della novità dirompente della sua ricerca Antonio Moresco è stato lo scrittore che più di altri negli ultimi venticinque anni ha diviso la critica, a volte senza mezze misure, fra adoratori entusiasti e detrattori violenti, come sottolinea Cristiano. Leggendo Crema di vetro si comprende il motivo di questa contrapposizione a volte feroce: l’opera di Moresco è, scrive il critico, “un esperimento di grande portata, che destruttura e ricostruisce il senso stesso dell’atto narrativo”. In che cosa consista questo esperimento, ce lo spiega l’autore nelle 250 pagine del suo libro accompagnandoci in un’accuratissima analisi comparativa dei tre principali testi di Moresco: Gli esordi, Canti del caos e Gli increati.
Cristiano illustra con precisione le linee essenziali della poetica di Moresco, che in modo estremamente sintetico si possono riassumere in tre punti.
Innanzitutto, lo sguardo di Moresco “libera gli oggetti della descrizione e del racconto del loro significato storico-materiale”; ciò avviene mediante la “decreazione”, cioè una “pratica contemplativa” che, osserva Cristiano, consente l’accesso “a un livello superiore della realtà e all’essenza sovratemporale delle determinazioni fisiche”. Ne deriva, inevitabilmente, “l’annullamento del soggetto psicologico”, ben esemplificato dal personaggio-jolly del Matto.
In secondo luogo, Moresco lega indissolubilmente la creazione alla distruzione, nel senso che “la sospensione dell’individualità psicologica è necessaria all’affioramento della voce”: l’Io cede al Canto, il romanzo all’epica, la linea al cerchio, come avviene appunto nei Canti del caos. Qui, afferma giustamente Cristiano, “il tessuto della realtà appa[re] sul punto di incresparsi, mostrando la pressione sottostante di qualcosa di più vero del reale percepito”: l’urgere dell’increato.
La terza peculiarità, infine, è data dalla “forte retorica della profezia”, linguaggio che in fondo non è solo un parente stretto dell’epos ma anche la prima e più diretta emanazione della solitudine, “situazione obbligatoria”, puntualizza Cristiano, “per iniziare a parlare in quasi tutti i libri di Moresco”. La solitudine costituisce la dimensione più temuta nell’epoca dei social, ma rappresenta anche la porta d’accesso all’increato, unica sostanza del mondo al cospetto della quale ogni fenomeno rivela la sua illusorietà. Se la critica si dimostra ancora capace di cogliere l’importanza di questa dimensione, allora vuol dire che non tutto è perduto, e non solo per la letteratura.