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Chicco, dove c’è un cretino (che vede “fasci” ovunque)

di Alessio Mannino - 12/07/2018

Chicco, dove c’è un cretino (che vede “fasci” ovunque)

Fonte: Alessio Mannino

Dare del “fascista” allo spot pro-figli dell’azienda di prodotti per l’infanzia dimostra che si è perso il senso del limite. E dell’essere genitori

 

A riprova di quanto la pubblicità sia il vero Intellettuale Collettivo della società dei consumi, lo spot televisivo della Chicco che invita a farlo approfittando dell’assenza degli azzurri ai Mondiali, tornando a figliare di gusto in un’Italia che procrea poco, ha scatenato l’indignazione sul web perennemente mestruato, manco fosse un messaggio istituzionale promosso dal nuovo governo populista e sovranista. “All’armi, son fascisti”: pure i copywriter dell’azienda di carrozzine e articoli per neonati? Sì, secondo chi ha sbroccato sui social network, che poi sono i fascio-onnivedenti, quelli che vede la gente fascia ovunque – la prossima volta, che ne sappiamo noi, potrebbe capitare alla Nutella (troppo scura, quasi nera), o alle associazioni di categoria agricole che invitano a comprare italiano (autarchia, autarchia!) o a chi dovesse mai rievocare in termini non diffamatori opere come la bonifica dell’Agro Pontino (ah no, l’ha già fatto Antonio Pennacchi, comunista duro e puro, col suo – bellissimo – “Canale Mussolini”).

Seguiamo la logica (si fa per dire). Una rèclame che, con evidente ironia e chiarissimo fine commerciale, fa un po’ il verso al tono declamatorio della propaganda, rilanciando la biblica parola d’ordine “crescete e moltiplicatevi” con scene di appassionate effusioni, sarebbe una riedizione aggiornata della campagna del Regime per dare figli alla Patria, al motto mussoliniano “il numero è potenza”. Quindi chi risponde all’appello, magari con entusiasmo anzichè rifiutarlo sdegnato, a questo punto sarebbe un fascista anche lui. Chi invece si schifa, offeso dal palese rigurgito di retorica da Ventennio, non si metterà certo di buona lena a fare sesso per mettere al mondo dei figli. Altro che Chicco: si terrà caro e pronto uso sul comodino il suo Durex, e morta lì. Dunque, l’antifascista purosangue, coerente fino all’ultimo preservativo, scopa solo per piacere. Anche perchè, sensibile all’impronta ecologica che un essere umano in più provoca in un pianeta già oberato di specie umana, e solidale con la causa dei gay (impossibilitati allo scopo), diventare padre o madre diventerebbe, oltre che un falso dovere, pure un disservizio all’umanità.

Provochiamo, è chiaro. Ma non tanto. Dato per scontato (si spera) che l’intento di una impresa che vende prodotti per bambini piccoli è aumentare i suoi clienti, il fatto che la denatalità sia un problema, un male, e non un bene, dovrebbe essere una convinzione comune. Oseremmo dire, se non fosse in agguato la Gestapo del modernamente corretto, che pensarlo dovrebbe essere naturale. Invece no. Fare un figlio è una bestemmia, perchè non ci sono i mezzi economici e materiali per un progetto di vita com’è una famiglia: così si dice. E non ci sono perchè scarseggia penosamente il bene supremo: un lavoro stabile, che dia la sicurezza necessaria ai genitori per mantenere lo standard di vita dei genitori loro, cioè il proprio, quello di cui hanno goduto finora loro stessi e che cercano disperatamente di replicare. E’ paura da declassamento, alimentato dalla frustrazione tipica della precarizzata e insoddisfatta “classe disagiata” degli attuali trenta-quarantenni.

Ma dico, per tutti gli déi, quando mai metter su famiglia è stato un progetto? Cos’è, bisogna prima fare l’analisi costi-benefici, il masterplan e la previsione dei ricavi e degli utili? Perchè si decide di far nascere una nuova vita: per calcolo, per dovere, per abitudine, e non forse per l’oscuro, misterioso ma naturalissimo impulso a riprodurre la Vita, obbedendo all’istinto paterno e materno, seguendo la speranza, innata e profonda, di lasciare qualcosa di sè dopo – e contro – la propria morte fisica? Niente da fare: tutto ciò non solo è sorpassato (grazie alla scienza e al suo braccio armato, la tecnica, si possono avere figli anche senza unione sessuale), non solo è considerato nemmeno più tanto naturale (maternità e paternità? costruzioni puramente culturali, tranquillamente aggirabili, mezze illusorie e in pratica false), ma soprattutto, ovviamente, è roba da fascisti, cattolici integralisti, tradizionalisti nostalgici e altra brutta gente che non capisce che il rifiuto della famiglia è dovuto al solo fatto che latitano i contratti a tempo indeterminato.

I migranti che cercano di sistemarsi in Occidente, un contratto, in molti casi, non l’hanno mai neanche visto, eppure arrivano con prole numerosa. Sono poveri, ma fiduciosi nel futuro. E’ questo che manca a noi: la fiducia. Abbondano invece risentimento, rancore, insofferenza, inappagamento. Un punto di congiunzione fra gli scontenti economici e i difensori della famiglia, in realtà, c’è: entrambi sanno che per formarne una c’è bisogno distabilità esistenziale, cioè della certezza di un reddito. Entrambi sono nemici, magari inconsapevoli, di questo modello economico fondato invece sul reddito precario – sottolineato: reddito, non lavoro: nota per schiavisti di destra e ultra-lavoristi di sinistra. A dividerli è la visione del figlio: è un atto di egoismo il farlo, o il non farlo? Dovrebbe rivelarsi, semplicemente, la decisione più sana del mondo. Come fare sesso (che fra consenzienti non è mai contronatura: inciso per omofobi), nonostante il sesso sia sempre meno praticato in una realtà iper-sessualizzata che spegne il desiderio, e tramite Instagram e Facebook, uccide il segreto e l’intimità. Come poter vivere dignitosamente, senza l’ansia di non avere di che pagare la bolletta a fine mese. Come essere vitali. E come – udite udite – amare.