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La dissoluzione della UE e le incognite del sovranismo

di Luigi Tedeschi - 07/11/2018

La dissoluzione della UE e le incognite del sovranismo

Fonte: Italicum

La gabbia eurocrate della austerità ha condannato l’Europa alla marginalità nella geopolitica mondiale

Le elezioni europee incombono, con uno scontro frontale tra europeismo e sovranismo che sembra decisivo per il futuro dell’Europa. Negli stati europei si è ormai evidenziata la fine della stagione politica dominata dai partiti tradizionali europeisti. Il successo dei partiti populisti inaugura negli stati europei un periodo di transizione epocale con crisi politico – istituzionali dagli esiti non prevedibili. L’ondata populista rivendica la sovranità statuale e il primato della politica rispetto al sistema tecnocratico – finanziario imposto dalla UE. Lo schieramento europeista è sostenuto dall’asse franco – tedesco e dalle elites economiche e culturali neoliberiste che hanno presieduto alla fondazione della UE e alla creazione della moneta unica. Il fronte europeista sostiene la necessità storica irreversibile della unione europea, che oggi è minacciata dalla ondata popolare sovranista. L’oligarchia al potere teme che un successo dei populisti condurrebbe alla dissoluzione della UE.

Per lo schieramento europeista la UE è una struttura irrinunciabile, onde preservare l’indipendenza, la stabilità monetaria, la solidarietà, lo sviluppo e il progresso dell’Europa. Ma gli argomenti addotti a difesa dell’unità europea, si identificano invece con le cause che hanno generato non l’unità, ma la disgregazione della unione e l’esplosione del populismo. Infatti la UE è venuta meno ai suoi principi fondativi, realizzando una costruzione europea non indipendente, conflittuale, instabile, retta da parametri finanziari che si sono tramutati in strumenti di dominio economico e politico per l’asse franco – tedesco sul continente europeo.

 Indipendenza europea: un’occasione storica mancata

La UE non fu creata per indipendenza dell’Europa. Con l’unione europea infatti si è accentuata la subalternità dell’Europa agli USA e alla Nato. La sua estensione all’est europeo ha coinciso con l’espansione della Nato, che ha istallato le sue basi ai confini della Russia. L’Europa ha condiviso l’espansionismo armato americano in finzione antirussa (vedi guerra civile in Ucraina), ha inoltre condotto guerre di aggressione in Nordafrica (vedi primavere arabe), su mandato americano, contribuendo a destabilizzare il Mediterraneo e il medio oriente.
Lo status di sovranità limitata assunto dall’Europa della Nato ha comportato il venir meno delle illusioni riguardo alla possibilità di una soggettività politica unitaria ed autonoma europea nella geopolitica mondiale. Nell’era trumpiana, venendo meno l’identificazione dell’Europa con l’Occidente atlantico, dinanzi alla strategia destabilizzatrice della UE messa in atto dagli USA, l’Europa rivela tutta la sua impotenza a reagire in economia contro il protezionismo americano e anche in tema di difesa e sicurezza, dato che gli USA non intendono sostenere come in passato le spese militari per la Nato.

L’attuale Europa si dimostra incapace a comporre le proprie conflittualità interne e si trova ad essere estromessa dalla geopolitica mondiale, non essendo in grado di assumere un ruolo autonomo, dinanzi alle sfide di un mondo multipolare dominato da estrema competitività e conflittualità tra gli USA e le potenze emergenti, quali la Russia, la Cina, l’India ecc… L’Europa, realizzatasi solo come unione economica, ha mancato una occasione storica.

 Stabilità economica o instabilità permanente?

 La stabilità economica ha costituto uno dei presupposti fondativi della UE e della unità monetaria. In realtà la crisi del 2008 ha rivelato invece la estrema fragilità dell’istituzione europea dinanzi alla crisi finanziaria generata dai subprime americani, in quanto il sistema bancario europeo ( in primis la Germania), risultò coinvolto nel crack finanziario dei derivati statunitensi.

Nella crisi, la fragilità del sistema europeo emerse in tutta la sua drammaticità: la BCE non ha il ruolo istituzionale di prestatore in ultima istanza, in quanto non è una banca centrale di uno stato, perché la UE non è una unione politica di stati.

Pertanto la UE è condannata alla perenne instabilità finanziaria, quale organismo cui sono stati attribuiti poteri sovrani conferitigli dagli stati, senza costituire di per sé stessa uno stato autonomo. Le recenti dichiarazioni di Draghi secondo il quale la BCE non può finanziare in ogni caso i debiti degli stati, oltre ad evidenziare i limiti delle funzioni della BCE, rivelano la intrinseca instabilità finanziaria esterna ed interna della UE, che resta soggetta alle turbolenze finanziarie mondiali, senza adeguati strumenti di protezione. L’euro peraltro non si è affermato nel contesto internazionale come valuta di riserva alternativa al dollaro. L’Europa è e resta subalterna alle politiche monetarie americane e alle fluttuazioni della divisa statunitense.

 Solidarietà europea? No, solo conflittualità selvaggia

 L’esigenza di una unità europea si manifestò all’inizio del secondo dopoguerra, in base alla necessità storica di una pacificazione di un continente europeo devastato da due guerre mondiali scatenate dalla conflittualità tra le potenze europee.

Dalla fine della guerra fredda e dall’estensione ad est della UE, non scaturirono certo solidarietà e pacificazione tra gli stati. Sanguinose guerre civili sconvolsero la ex Jugoslavia, con relative pulizie etniche e intervento armato degli USA, nel contesto della strategia espansionista americana in Eurasia. L’adesione alla UE dei paesi dell’est europeo, già membri del patto di Varsavia, ha rappresentato per le potenze europee egemoni dell’occidente (Francia e Germania), una storica occasione per l’annessione nell’area capitalista dei paesi dell’est. L’Europa dell’est, oltre ad essere spogliata delle proprie risorse economiche, divenne presto, oltre che un allettante serbatoio di manodopera a basso costo, anche un immenso territorio idoneo alla delocalizzazione industriale per l’occidente europeo e alla espansione commerciale, quale nuova area di colonizzazione economica.

Oggi la UE appare minacciata dal sovranismo disgregatore dei paesi aderenti al patto di Vysegrad. Ma l’Europa dovrebbe ricercare in sé stessa la causa di questa ondata sovranista che ha travolto l’est europeo, che costituisce un blocco unitario di stati omologati agli interessi della Nato in funzione antirussa, ma oggi anche antieuropea.

La UE non solo non ha creato una solidarietà unitaria europea, ma anzi ha generato nuove conflittualità interne. La creazione dell’euro ha imposto un regime di cambi fissi e quindi, abolendo la fluttuazione dei cambi quale meccanismo di riequilibrio degli scambi commerciali tra i pesi membri, ha privilegiato la crescita dell’export dei paesi più avanzati a danno di quelli economicamente più deboli. Questi ultimi sono stati costretti ad implementare politiche di rigore finanziario con tagli vorticosi alla spesa sociale, compressione salariale e innalzamento della pressione fiscale, oltre a destinare quote sempre più ingenti di risorse alla sostenibilità del debito pubblico a causa del deficit di crescita delle proprie economie. Privatizzazioni, acquisizione di settori trainanti dell’economia da parte di multinazionali estere, hanno depauperato la struttura produttiva dei paesi del sud europeo.

Le politiche di austerità imposte dalla UE hanno generato recessione, diseguaglianze sociali crescenti, disoccupazione e degrado sociale, oltre ad una esponenziale crescita dell’indebitamento che ormai coinvolge tutti gli stati. Ma le politiche di austerità non ebbero come finalità il risanamento dei paesi afflitti dalla crisi del debito. Così si esprime Alberto Bagnai, commentando una intervista rilasciata da Mario Monti riguardo ai risultati conseguiti dal governo tecnico imposto dalla UE all’Italia nella crisi del 2011, nel suo libro “L’Italia può farcela, Il Saggiatore 2014”:“Se tagli di un euro la spesa, il Pil diminuisce all’incirca di un euro e mezzo, com’era scritto nei vecchi libri di testo e come si legge nei nuovi studi del Fmi” …. “«Ma … ma perché l’ha fatto, se diceva che il problema era il debito pubblico? Perché fare politiche che ne avrebbero aumentato l’incidenza sul Pil?». Ma lo ha detto lui [Monti], anima candida! Certo non alla televisione italiana: alla Cnn. È stato lui ad affermare: «Abbiamo guadagnato competitività distruggendo domanda con le riforme strutturali». Che cosa vuol dire? Vuol dire che se tagli i redditi disponibili (tagliando le retribuzioni o aumentando le tasse) è sì vero che il gettito fiscale diminuisce, quindi il debito pubblico aumenta, soprattutto in rapporto al Pil; ma è anche vero che siccome circolano meno soldi, si consuma di meno e si importa di meno. L’austerità di Monti non ha portato in pareggio i conti pubblici e non ha migliorato la situazione del debito pubblico perché non serviva a quello: ha riportato in pareggio i conti esteri, rassicurando i creditori esteri, perché a questo serviva. Del resto, Monti lì come c’è arrivato? Certo, l’Unità (quotidiano fondato da Antonio Gramsci) al suo insediamento titolò: «La liberazione». Ma credo che alcuni italiani abbiano capito che quella liberazione era in realtà un’occupazione, almeno a giudicare dalle smodate manifestazioni di giubilo che la chiusura del quotidiano (fondato da Antonio Gramsci) ha suscitato sui social network”.

La UE non è stata una istituzione portatrice di pace e solidarietà tra i popoli: ha, al contrario, esasperato la concorrenza selvaggia tra gli stati, oltre a generare nuove conflittualità interne agli stati tra regioni più e meno sviluppate, tra elites e popoli a causa delle diseguaglianze sociali sempre più accentuate. L’Europa ha instaurato un sistema economico – finanziario che, in nome della competitività, ha dissolto ogni forma di solidarietà tra stati, regioni, classi sociali. La UE è dunque fondata non sulla unità degli stati, ma sulla dissoluzione degli stati stessi.

 Sviluppo: la gabbia eurocrate ha condannato l’Europa alla marginalità nel mondo

 L’Unione Europea avrebbe dovuto garantire sviluppo, progresso, innovazione. Il libero scambio e la libera circolazione di individui e capitali, avrebbero dovuto produrre una ottimizzazione degli investimenti e dell’impiego delle risorse. Tali prospettive, così come le speranze dei popoli, sono state del tutto disattese.

Alla crescita dei paesi dominanti ha corrisposto il declino dei paesi subalterni. La UE non ha prodotto sviluppo e ricchezza diffusa, ma ha realizzato un trasferimento della ricchezza dagli stati meno sviluppati a quelli più avanzati, così come nei popoli, dalle classi subalterne a quelle dominanti.

Nel campo della tecnologia avanzata non ha effettuato investimenti nell’innovazione necessari al fine di competere e rendersi indipendente dai giganti del web così come nel settore delle comunicazioni e della telefonia mobile. Si è altresì dimostrata incapace di contrastare nell’innovazione la concorrenza asiatica e dei paesi emergenti. Al contrario, l‘Europa si è dimostrata assai compiacente nell’attirare sul suo territorio i giganti del web come anche quelli dell’e-commerce d’oltre oceano, mediante normative fiscali compiacenti, erogazione di contributi, contratti di lavoro che comportassero marcate riduzioni salariali e contributive, in spregio alla legislazione sul lavoro degli stati europei.

Oggi l’Europa, nel contestare ai giganti del web e dell’e-commerce l’evasione e l’elusione fiscale per miliardi di euro, si espone al ricatto delle multinazionali stesse, che minacciano l’esodo dall’Europa (peraltro incoraggiate dagli USA al rimpatrio con la prospettiva di normative fiscali favorevoli), con gravi conseguenze occupazionali.

Ma La UE non fu creata per la crescita. Le politiche di austerità, insieme con lo sviluppo del mercato finanziario, hanno disincentivato la crescita della produzione e gli investimenti nelle infrastrutture, in ossequio agli equilibri di bilancio, relativamente a deficit e debito.

Il nostro paese, che in 20 anni ha perso il 25% della propria capacità produttiva e denuncia un rilevante deficit nella produttività e nell’innovazione, negli investimenti infrastrutturali, costituisce un evidente esempio. La UE pretende dai paesi membri il rispetto delle regole di bilancio, non investimenti e crescita. La manovra del governo giallo – verde è criticabile nella misura in cui, oltre ad incentivare la domanda interna, risulta carente riguardo agli investimenti. Infatti la spesa in deficit per sostenere la domanda non è sufficiente a determinare la crescita se non accompagnata da un programma di investimenti in infrastrutture. Afferma efficacemente Giulio Sapelli, riguardo alle politiche europee per la crescita ne “Il Messaggero” del 24/10/2018: “Bruxelles avrebbe dovuto rimproverare all’Italia di non aver progettato abbastanza per indurla, quella crescita; e non invece di aver superato di qualche virgola il tetto del deficit. Il tutto mentre il nostro Paese vanta un avanzo primario decisamente non modesto e mentre le famiglie italiane sono tra le più risparmiose e meno indebitate al mondo. E inoltre quella crescita avrebbe dovuto realizzarla proprio la Commissione europea: dov’è finito il piano Junker degli investimenti, dov’è finito il progetto di separare dal deficit le spese per gli investimenti medesimi?”

La gabbia eurocrate dell’euro e della austerità ha condannato l’Europa alla marginalità nel contesto mondiale, oltre ad aver distrutto le aspettative per il futuro delle giovani generazioni.

 Le aspettative e le incognite del sovranismo

 Il dilagante sovranismo populista si contrappone alla Europa delle oligarchie finanziarie. Viviamo in un momento storico che prelude a profonde trasformazioni politiche e sociali dell’Europa. Ma la transizione sarà lunga e contrastata, gli orizzonti sono ancora incerti.

Un successo del sovranismo è assai probabile nelle prossime elezioni europee. Il populismo esprime la protesta contro l’oligarchia europea e rivendica il primato della politica e della volontà popolare rispetto alla tecnocrazia economica europea. Sovranismo e populismo rappresentano l’esigenza di una necessaria rottura nel governo dell’Europa. Il primato della politica implica la rivendicazione della sovranità nazionale e lo stato nazionale si configura come un indispensabile strumento di resistenza contro il globalismo neoliberista di cui l’attuale UE è una evidente espressione.

Il sovranismo, pur contrapponendosi alla Europa oligarchica presenta tuttavia rilevanti incognite. L’Italia non dispone di alleati in Europa e il governo giallo – verde in sede di confronto con la UE ha dovuto riscontrare l’ostilità degli stessi partiti sovranisti austriaci e tedeschi, che invece condividono la rigidità finanziaria europea. In tema di immigrazione, la politica del governo italiano, non ha riscosso alcuna solidarietà. Anzi, Austria e Germania, in base al trattato di Dublino, hanno espresso la volontà di respingere masse di immigrati nel paese di primo ingresso, cioè in Italia.

Il sovranismo, pur basandosi sul primato dello stato nazionale, non esprime una visione sociale dello stato alternativa all’individualismo neoliberista: la democrazia politica non si identifica con la prevalenza dei diritti sociali della comunità rispetto all’individualismo economico. Il fronte sovranista, assai diversificato, postula il primato dell’interesse nazionale che è un elemento solo parziale e non necessariamente coincidente con i valori etici che sono a fondamento di una comunità nazionale sovrana. Anzi, lo stesso interesse nazionale in alcuni paesi è assai compromesso dall’insorgenza degli interessi localistici delle piccole patrie che si contrappongono allo stato unitario. All’erosione dell’Europa fanno riscontro anche le tendenze disgregatorie interne agli stati.

 Il declino dei valori etici degli stati nazionali conduce fatalmente alla proliferazione degli interessi regionalistici. Occorre dunque rilevare che è obiettivamente tramontata l’idea dell’Europa delle Patrie, in quanto sono scomparsi i valori etici unificanti degli stati nazionali protagonisti della storia del ‘900. Così si esprime al riguardo Alain de Benoist in una recente intervista: “L’”Europa dei popoli” probabilmente non è in costruzione per il domani, e di questo mi dispiaccio. Nell’immediato, ciò che è necessario, è soprattutto partire dal basso facendo rivivere la nozione di cittadinanza e creando le condizioni per una democrazia più diretta. Solo la democrazia partecipativa, necessariamente “illiberale”, può rimediare all’attuale crisi delle democrazie liberali. In altre parole, è quello di creare “spazi liberati”, sia a livello di comune, regione e nazione”.

Nel presente momento storico assistiamo alla decadenza dello stesso cosmopolitismo ideologico liberale che si era sostituito ai fondamenti universalistici del mondo ideologico novecentesco. L’insorgenza di un mondo identitario, che si identifica con i popoli delle comunità nazionali, rappresenta una rottura sistemica rispetto globalismo cosmopolita. Indubbiamente si verificheranno nuove conflittualità tra gli stati, ma l’Europa, in una struttura profondamente trasformata, continuerà a sussistere. L’interdipendenza e la ormai inscindibile interconnessione delle politiche e dei fenomeni socio – culturali tra gli stati è ormai incontrovertibile.

Gli elementi unificanti dell’Europa del domani potranno scaturire dalla condivisione di idee, culture, valori etici trasversali ai popoli europei.Idee, valori, culture che, pur avendo radici territoriali identitarie nelle singole comunità nazionali, travalichino i confini degli stati e siano suscettibili di reciproco riconoscimento tra i popoli. Sorgeranno nuovi raggruppamenti politici e culturali, nuove patrie ideali e l’Europa potrà quindi trovare una sua unità nella partecipazione politica attiva dei popoli.

Dalla disgregazione dell’attuale Europa finanziaria, dal rifiuto di questa artificiale unità oligarchica, può nascere una nuova patria europea delle idee, delle comunità, di un nuovo spirito di solidarietà tra i popoli.