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Sovranità nazionale, globalizzazione, Europa

di Paolo Becchi - 12/01/2019

Sovranità nazionale, globalizzazione, Europa

Fonte: Paolo Becchi

Idee come quelle di nazione, sovranità, Stato sembrano scomparse dal lessico del politicamente corretto. Chi parla di nazione è uno xenofobo nazionalista, chi parla di Stato nazionale lo fa solo per infangare il buon nome dell’Unione europea. Chi parla di sovranità non si rende conto che sta parlando dei dinosauri. Nazione, Stato, sovranità sono solo degli oggetti privi di vita di cui si occupano gli storici del pensiero politico. È la “globalizzazione”, bellezza! … la fine della storia. Punto e a capo. Eppure, qualcosa in questa narrazione non torna. Siamo proprio sicuri che gli Stati nazionali appartengano alla storia, al passato insomma, e il futuro sia comunque segnato dal processo di unificazione politica europea? Continuano in Europa, e per fortuna, ad esistere lingue diverse, popoli che hanno il senso della loro appartenenza, e che anzi la sentono oggi maggiormente a causa dei flussi migratori incontrollati. Popoli che si identificano con gli Stati esistenti, oppure popoli che addirittura – penso alla Catalogna – reclamano la loro indipendenza. Chi si riconosce nel proprio Stato lo fa per il senso di appartenenza nazionale che sente, senza negare la propria origine particolare. Ci si sente oggi italiani come piemontesi, liguri, siciliani, ecc., ma non ci si sente membri di una Unione più vasta, come è l’Unione europea. Non esiste una lingua comune europea, non esiste una opinione pubblica europea, non esiste una classe dirigente europea, ma solo, burocrati ben pagati, non esiste un solo grande corpo elettorale europeo, e magari come italiani apprezziamo la cultura francese o quella tedesca o quella inglese (anche se il Regno Unito non è più nella Ue, e sta trattando le condizioni di uscita) mentre in molti disprezziamo il mostro “sanft” Bruxelles, per nulla buono ma placido, tranquillo, come lo ha definito Hans Magnus Enzensberger nel suo noto pamphlet.
Il rapporto tra sovranità nazionale e Unione europea è fondamentale, perché è qui che si gioca l’opposizione politica del futuro, che non sarà più quella ormai obsoleta tra destra e sinistra ma quella tra sovranisti e globalisti, tra “identitari” e “cosmopoliti”. Si potrebbe filosoficamente dire tra Hegel – che per primo, nella storia del pensiero occidentale, ha posto il problema della questione “nazionale” – e Kant, quale erede di un certo illuminismo giuridico. Contrastare oggi la globalizzazione in Europa significa ritornare all’idea di nazione e di Stato nazionale. Del resto, contro lo strapotere delle oligarchie di Bruxelles e della finanza globale cosa resta, se non quel residuo di democrazia che ancora troviamo proprio all’interno degli Stati nazionali? La globalizzazione dei mercati ha bisogno di Stati privi di sovranità per conservarsi e riprodursi e da questo punto di vista l’Unione europea è lo strumento migliore e più efficace per realizzarla: una Unione che si appropria della sovranità degli Stati, senza peraltro diventare essa medesima sovrana, e in cambio non restituisce ai cittadini che povertà e miseria.
Il compito è allora anzitutto quello di recuperare margini di sovranità, di recuperarli in favore dei popoli. E qui il primo punto riguarda la sovranità monetaria. L’euro è il classico esempio di “mondializzazione” (sia pure riferito ad una particolare area geografica) e il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: una crisi economica permanente. La stessa cosa si può dire per l’Unione europea, che in fondo nasce in stretta connessione con l’idea della moneta unica. E comunque questa Unione non ha unito un bel niente, mai come oggi dal secondo dopoguerra i popoli europei sono divisi e gli Stati privi di sovranità politica ormai si dividono in due categorie economiche: Stati “debitori” e Stati “creditori”. L’Italia e la Grecia sono un problema per l’eurozona, l’Ungheria un problema per l’Unione europea che la sanziona per le sue posizioni sui migranti. Sembra quasi che i popoli europei siano diventati un problema per l’Europa e per questo vadano puniti. Nell’Unione non esiste la democrazia, ma l’eurocrazia e la politica moralista dell’accoglienza. Quello che ancora resta della democrazia in Europa lo si trova all’interno degli Stati nazionali. Beninteso, non si tratta di essere contro l’Europa ma contro questa costruzione, intendo contro l’Unione europea. Bisognerebbe riuscire a farla collassare sotto controllo prima che collassi da sola, per poter poi iniziare un nuovo cammino, ripartendo da “Maastricht”. Non dobbiamo continuare a “morire per Maastricht” ma ritornare indietro, a prima di Maastricht. Al di là di tutta la retorica europeista il Trattato di Maastricht, costitutivo dell’attuale Ue, nasceva dall’implosione dell’Unione Sovietica, che aveva creato le condizioni per l’annessione della Repubblica Democratica Tedesca a quella Federale. La Francia temeva una marginalizzazione nel contesto geopolitico europeo a tutto vantaggio di una Germania unita. Da qui l’idea di “europeizzare” la Germania con la creazione dell’Unione e della moneta unica. Ma il risultato è stato esattamente opposto: si è finito, proprio grazie all’euro, con il “germanizzare” l’intera Europa. E così l’Europa che oggi abbiamo è l’Europa del marco tedesco travestito da euro. Bisogna ripartire dai popoli e dai loro bisogni per costruire una nuova Europa. Una nuova Europa, sì perché non vorrei essere frainteso. Chi oggi è contro questa Unione e non vuole niente da questa costruzione europea non è affatto “antieuropeista”. Al contrario, è uno che ritiene che questa costruzione stia disintegrando gli Stati nazionali europei e finirà per disintegrare anche i valori su cui l’Europa politica oggi si fonda. E non sono semplicemente i valori di pace, libertà, umanità: questi sono valori universali. Ma non sono questi i valori che specificamente definiscono cosa lega tra loro, e solo tra loro, i popoli del vecchio continente. Ciò che li lega insieme, ciò che ci lega, è quella idea di “statualità” e di “sovranità popolare” di cui troppo presto si sono voluti celebrare i funerali. Non si tratta, dunque, di schierarsi contro l’Europa, quanto piuttosto, di scegliere tra un’Unione europea senza cittadini, senza nazioni, senza patrie e alla fine forse anche senza europei, ed un’Europa di nazioni, di radici identitarie e di identità nella differenza. Si tratta, in fondo, di rendersi conto che senza confini, senza “nazioni”, l’Europa diventa liquida. I valori precedono l’Unione e i popoli precedono gli Stati. L’Unione europea che, rinnegandoli, ha preteso di crearne nuovi – come l’euro e il multiculturalismo – non ha più niente di europeo, è unicamente una “banca d’affari” come un’altra, una “multinazionale” neppure quotata in quanto tale nella Assemblea generale delle Nazioni Unite (la quale non a caso ha ora deciso di occuparsi di un Paese, il nostro, per la violazione dei diritti umani, quando non ha mai speso una parola su altri). È sempre più evidente che questa Unione è completamente funzionale al sistema economico della globalizzazione, al dominio della finanza questa sì veramente globale, anzi è il modo in cui quel sistema opera in Europa, soffocando i popoli che la costituiscono o persino cercando di sostituirsi ad essi, come sta già accadendo in particolare in Italia con i flussi migratori incontrollati e che si stanno accumulando nel tempo. Ma gli intellettuali radical chic “sinistrati”, che parlano di “ponti” stando peraltro ben chiusi nelle loro torri d’avorio, non si rendono conto dei pericoli insiti in questo processo e anzi sognano una Europa in cui gli Stati nazionali finalmente si dissolvano. Non si rendono conto che uno “Stato cosmopolitico” è un ossimoro, una palese contradictio in adiecto. Non si rendono conto di fare in questo modo il gioco del supercapitalismo della finanza globale.
Ecco, il progetto di questa Europa “cosmopolitica” e del suo Stato meticcio: la sostituzione dei popoli che storicamente hanno formato l’Europa, mescolandoli con altri popoli, in modo che il “sistema” possa eliminare definitivamente il vero nemico, vale a dire gli Stati nazionali che ancora oppongono resistenza, che cercano di frenare il processo della globalizzazione in corso. Parlando di questo oggi si rischia di passare per nazionalisti, fascisti, razzisti, quando invece si tratta solo di difendere i propri interessi nazionali e di pensare ad una integrazione europea realistica e senza illusioni. La battaglia politica tra globalisti e sovranisti è aperta e le prossime elezioni politiche europee saranno decisive. L’Europa è al bivio. Possiamo scegliere tra la dittatura dello spread, dei vincoli di bilancio, dei cittadini “del mondo”; e il ritorno all’idea originaria fondata sulle nazioni che la costituiscono. Siamo ancora in tempo per farlo.