Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dilaga la filosofia del rancore e della rivalsa

Dilaga la filosofia del rancore e della rivalsa

di Francesco Lamendola - 10/04/2019

Dilaga la filosofia del rancore e della rivalsa

Fonte: Accademia nuova Italia

Se la nostra società, nel volgere di una manciata di anni, è giunta al punto di farsi dettare la legge morale e il codice penale dalla signora Cirinnà, allora vuol dire che c’è davvero qualcosa che non funziona, in essa, a livello profondo; molto più profondo di quel che non si potesse immaginare. Non si tratta solo di superficialità, volgarità e ignoranza: perché dare credito a una parlamentare che se ne va in giro ostentando un cartello con la scritta; Dio, patria. famiglia = che vita de merda, è indicativo sul piano sociologico e, forse, su quello psicoanalitico; non spiega, però, la resa delle intelligenze, l’abdicazione del senso comune di fronte alle aberrazioni di chi vuole imporre per decreto che l’intera società si dimentichi, una volta per sempre, i concetti di padre e madre, soprattutto di madre, per adottare la filosofa del “genitore” indifferenziato, bisessuale, omosessuale, transessuale e via dicendo. Se un popolo di sessanta milioni di persone, un popolo che ha dato alla civiltà del mondo san Francesco, san Tommaso d’Aquino, Dante, Giotto, santa Caterina da Siena, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Beato Angelico, Raffaello, Ariosto, Leonardo da Vinci, Michelangelo, e si potrebbe continuare per pagine e pagine, è giunto a tollerare l’imposizione per decreto della filosofia gender, e la distribuzione del farmaco blocca-ormoni a spese della sanità pubblica, e accetta che chi osa parlare della famiglia naturale, formata da uomo e donna, sia coperto d’immondizia, insultato, deriso, minacciato, boicottato, e si faccia completo silenzio sui sei milioni di aborti ufficiali eseguiti da quando è passata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, e ora ci si accinga a varare la legge sull’eutanasia; se un tale popolo è giunto ad accettare che siano trattati da estremisti e da sovversivi gli ultimi, strenui difensori dei valori tradizionali, e che siano isoalti e rifiutati persino dal clero cattolico e dai teologi di grido, e che salga sul pulpito gente come la signora Cirinnà, a fare la lezione a milioni di genitori e ad insegnare loro cosa vuol dire prendersi cura dei loro figli: ebbene, in tal caso vuol dire che quel popolo è caduto tanto in basso, quanto mai, prima, nella sua storia gloriosa e plurimillenaria. Significa che non ha più nulla da dire né agli altri popoli, né a se stesso; che non sa più vedere la realtà, né sa immaginare un futuro per i suoi figli: e infatti i giovani, specialmente laureati, se ne vanno, a decine di migliaia, ogni anno, da questa madre matrigna che è l’Italia, e si portano via la loro intelligenza, il loro entusiasmo, la loro competenza, che andranno a beneficio di qualcun altro: mentre da noi resteranno, un po’ alla volta, solo i vecchi, i cinici, gli egoisti, i culi di piombo inchiodati alle loro poltrone, ai loro meschini privilegi, alle loro rendite, alle loro baronie universitarie, alle loro direzioni sanitarie e delle aziende pubbliche, alle loro direzioni di giornali, televisioni e case editrici, ai loro banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, e soprattutto alle loro preziose poltrone negli istituti di credito e assicurativi, dai quali si domina agevolmente tutto il resto.

E questo pone un primo problema: che fine hanno fatto l’intelligenza, il senso della dignità, il rispetto di sé, specialmente fra quelli che, a torto o a ragione, dovrebbero rappresentare la crema intellettuale del Paese. Il discorso ci porterebbe a ripetere cose già dette molte altre volte: la verità è che, oggi, viviamo in un momento storico di vacanza pressoché totale della classe dirigente; non c’è una vera classe dirigente: ci sono solo tanti personaggi preoccupati prevalentemente di se stessi, delle proprie carriere, del proprio stipendio, della propria popolarità: personaggi modesti, privi di spessore, carenti di coraggio, e, soprattutto, fondamentalmente asserviti al capitale finanziario internazionale, che li ha quasi tutti sul suo libro paga e rispetto al quale essi non oserebbero neanche starnutire, non diciamo avanzare una riserva. E ciò vale per la finanza e l’economia, così come per i trasporti, l’edilizia, la ricerca scientifica, il commercio, l’agricoltura, la scuola, l’università, il cinema, la cultura, l’informazione, la santità: insomma, praticamente tutto. A ciò si aggiunga il difetto congenito della nostra sedicente classe dirigente: il distacco abissale, storico, originario, con la gente comune; l’indifferenza e il disprezzo per la condizione di vita dei cittadini.

Il secondo problema che si pone è come sia stata possibile una vittoria così rapida, così totale, delle filosofie nichiliste e delle pratiche aberranti e innaturali, sul piano strettamente culturale e intellettuale, anche in quegli ambiti, come il mondo cattolico, nei quali avrebbero dovuto esistere gli anticorpi, avendo una ricca e gloriosa tradizione alle spalle, due volte millenaria: una tradizione culturale, intellettuale e spirituale più che sufficiente per resistere a un assalto che è, in realtà, così inconsistente sul piano teorico e così palesemente privo di fondamenti logici. In altre parole, come è possibile che l’evidenza delle cose non si sia imposta, che la logica e il buon senso non abbiano prevalso? Come è possibile che perfino le massime autorità della Chiesa, ad esempio, abbiano preso le distanze del 13° Congresso mondiale della Famiglia, che si è tenuto a Verona a fine marzo del 2019, rimarcando differenze di metodo e di prospettiva e dissociandosi da quanto i partecipanti intendevamo riaffermare, cioè la priorità della famiglia naturale e il suo insostituibile ruolo affettivo ed educativo? La risposa che ci sembra di poter dare è questa: per timidezza, per pusillanimità, per conformismo, ma soprattutto per interesse, la nostra intellighenzia ha deciso di non resistere, anche se avrebbe potuto benissimo farlo. Lo schema è sempre quello dell’8 settembre 1943; perché rischiare combattendo, quando ci si può salvare alzando per tempo bandiera bianca? Ora, i nostri intellettuali, i nostri responsabili dell’informazione e della cultura, hanno deciso di arrendersi in massa: di arrendersi all’agenda del Partito radicale, che, pur col suo minuscolo consenso elettorale, detiene, in questa fase storica, il controllo quasi totale del panorama culturale e degli spazi pubblici. Si prenda un qualsiasi salotto televisivo nel quale si parla di questioni etiche e diritti civili: si vedrà che a difendere le gloriose conquiste di civiltà dell’ideologia nichilista ci sono almeno tre, quattro, cinque ospiti, contro uno chiamato, tanto per salvare le apparenze, a difendere la testi contraria. Inevitabilmente costui fa la figura del retrogrado, dell’oscurantista, del razzista; logico: quando il paradigma culturale passa in mano alle minoranze aggressive, chi rimane fedele al vecchio paradigma viene automaticamente screditato, perfino a livello di linguaggio, anzi, cominciando proprio da quello, più o meno come restarono screditati e spiazzati i difensori del modello cosmologico tolemaico quando si affermò quello copernicano. Con la notevole differenza che qui non si tratta di passare da un paradigma scientifico meno preciso ad uno più preciso, ma di capovolgere i fondamenti intellettuali, etici e spirituali della nostra civiltà, compiendo un salto nel vuoto che ci porterà verso il nulla; si tratta di una distruzione volontaria del nostro passato e della nostra identità, di un rifiuto rabbioso, sistematico, intollerante, di tutto il nostro patrimonio morale e sociale. Una volta padroni del linguaggio e padroni del paradigma culturale dominante, i signori del nichilismo hanno buon gioco a imporre la loro prospettiva, in qualche misura, perfino a quei pochi che vedono il pericolo e vorrebbero organizzarsi per resistere. Ed ecco che perfino i relatori del Congresso di Verona, al termine dei lavori, redigono un documento conclusivo nel quale si afferma, sì, la bellezza e la santità della famiglia naturale, formata da un uomo e una donna e benedetta da Dio, ma si raccomanda anche “rispetto” per quanti fanno delle scelte diverse, e si chiede che la loro dignità sia tutelata ad ogni costo. E cosa significa, questo, in pratica, se non che ci si rimangia con la sinistra quel che si è affermato con la destra? Qui c’è una voluta confusione fra il rispetto dovuto alle persone e la fermezza riguardo ai principi. Si possono e si devono rispettare le persone, ma non si può affatto “rispettare” chi odia e vorrebbe vedere distrutta la famiglia naturale. Il fatto è che il ricatto, morale e intellettuale, esercitato dalle minoranze aggressive, è talmente forte che tutti quanti si sentono in colpa all’idea che possa esserci una qualche discriminazione verso di esse: e si scordano che ad essere discriminata, ormai, è la maggioranza silenziosa, la stragrande maggioranza del popolo italiano che si fonda, ancora e sempre, sulla vera famiglia, formata da un uomo e una donna: sono loro che andrebbero difesi, di questi tempi! E questo discorso vale anche in altri ambiti della vita sociale, ad esempio per quel che attiene ai cosiddetti migranti, che sono in realtà, a tutti gli effetti, degli invasori (si veda quel che dice in proposito il cardinale Sarah, il quale essendo africano, non può certo esser sospettato di pregiudizi razziali). Possibile che non si sia capito ancora che ad essere discriminati, sia legislativamente, sia praticamente, sono i cittadini italiani, e che a godere d’ingiusti privilegi sono gl’immigrati, meglio se clandestini d’ignota provenienza e identità, e con pochissima voglia di lavorare e guadagnarsi la vita onestamente?

Il terzo problema che si pone è capire su quali forze sociali, psicologiche, morali, facciano leva questi apostoli del nichilismo, questi arconti della distruzione della nostra civiltà; perché deve essere ben chiaro che tali essi sono: chi odia la famiglia naturale, chi predica l’aborto e l’eutanasia come forme di civiltà e di liberazione, odia la nostra vera civiltà e vorrebbe vederla annientata. Si tratta, è chiaro, di sparute minoranze, anzi di frazioni militanti e molto aggressive di tali minoranze, perché non tutti coloro che appartengono a queste ultime condividono quello spirito di crociata, anzi crediamo che la maggior parte di essi se ne guardi bene; e sufficienti, nondimeno, a formare una massa critica capace di sfondare le difese, marce e fatiscenti, della nostra società, e imporre i loro diktat senza quasi incontrare resistenza.

Ora, su quali sentimenti, emozioni, pensieri, fanno leva i predicatori del nichilismo contrabbandato per progresso e per “civiltà”? Fermo restando che la centrale operativa si trova da tutt’altra parte, e cioè, come abbiamo accennato, dalle parti del potere finanziario internazionale, interessato a demolire le società che possiedono una tradizione, per ridurne i popoli al livello di masse abbrutite da un tipo di vita e di lavoro sempre più precari, ma, nello stesso tempo, ipnotizzate più che mai dal miraggio consumista, che le ha spento in loro anche l’ombra d’un pensiero critico, crediamo che la materia prima per l’attacco delle minoranze aggressive ai danni della maggioranza silenziosa e pacifica, psicologicamente e materialmente inerme, anche perché disabituata ai sacrifici e alla lotta, sia fornita da un concentrato, potenzialmente esplosivo, d’infelicità, rancore, invidia e desiderio di rivalsa. Le minoranze che si dicono, o si dicevano fino a pochissimo tempo fa, discriminate, se non addirittura oppresse, sono formate da persone che vivono in condizioni anormali e che, fino a qualche anno fa, percepivano la loro differenza con la maggioranza della società e non ponevano in dubbio i fondamenti su cui essa si basava. Ora, invece, esse prendono di mira proprio i fondamenti e contestano, per esempio, che si possano adoperare concetti come “normale” e ”anormale”, o espressioni come “secondo natura” o “contro natura”. Quelle persone, spesso, sostengono che l’anormalità non esiste, per il semplice fatto che non esiste la norma; e quanto all’essere contrario alla natura, affermano che anche prendere dei farmaci o fare delle terapie contro il tumore è un andare contro natura. La miseria e l’aberrazione di un tale “ragionamento” si commenta da sé: nel caso dell’aborto, ad esempio, un bambino in arrivo è paragonabile a un tumore? Noi pensiamo che l’atteggiamento aggressivo, il disprezzo della “norma”, lo sputare sui valori più sacri del vivere civile (come appunto Dio, la Patria e la Famiglia) nascano da una vera e propria psicopatologia i cui ingredienti essenziali sono l’infelicità e l’invidia. L’infelicità prodotta da uno stile di vita anormale, e l’invidia (inconscia, senza dubbio) nei confronti delle detestate persone “normali”, che non abortiscono, che si sposano fra uomo e donna, che hanno dei bambini per via naturale, che assistono i loro cari malati fino all’ultimo, senza prendere scorciatoie fatte passare per autodeterminazione della propria vita. E la stessa infelicità e la stessa invidia è il fattore che entra in gioco con le altre minoranze. Un immigrato clandestino africano, sradicato dalla propria terra, dalla propria famiglia, da tutti i propri valori e punti di riferimento, non è felice in una società che lo accoglie con freddezza, con diffidenza, anche perché lui non ha alcuna voglia d’integrarsi e di accettare lealmente il suo sistema di vita. Lui vuole conservare tutte le sue abitudini, compreso il disprezzo della donna, la sua sottomissione, la sua brutalizzazione, se ella fa tanto da disobbedire agli ordini del maschio-padrone. Su questo aspetto, però, le femministe di casa nostra tacciono, perché in loro prevale l’altro riflesso condizionato: l’adesione incondizionata all’ideologia immigrazionista. Infelici perché sradicati, ma invidiosi per quel modo di vivere degli europei che essi segretamente invidiano, anche se mostrano di disprezzarlo: infelicità e invidia, più il rancore represso, ed ecco il cocktail micidiale con il quale le  minoranze aggressive vengono all’assalto della nostra società e di tutti i suoi valori. Perché a un omosessuale non dovrebbe essere sufficiente il condurre la sua vita, senza che nessuno lo voglia costringere a cambiarla? Perché deve provocare, perché deve venire con le dita negli occhi del prossimo, ostentando, nelle sfilate dei Gay Pride, ma anche in molte altre occasioni, lo spettacolo dei propri comportamenti volutamente offensivi, sguaiati, disgustosi per il senso comune e anche per il senso estetico altrui? Perché imporre agli altri lo spettacolo dei baccanali dell’inversione? Evidentemente, perché ci sono un mare di rancore e desiderio di rivalsa...