Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I misteri del Russiagate italiano e le inchieste fatte per incastrare i “nemici”

I misteri del Russiagate italiano e le inchieste fatte per incastrare i “nemici”

di Fulvio Scaglione - 15/07/2019

I misteri del Russiagate italiano e le inchieste fatte per incastrare i “nemici”

Fonte: Insideover

A quanto pare, la lezione del Russiagate non è servita. Due anni di indagini di tutti gli organi di sicurezza americani, migliaia di articoli, decine di libri, le indiscrezioni di impiegati pubblici infedeli elevate a baluardi della democrazia, tonnellate di pettegolezzi. Uno sforzo pazzesco per dimostrare che Donald Trump, se non era un agente al servizio del Cremlino, era comunque arrivato alla Casa Bianca grazie agli onnipotenti hacker russi. L’una e l’altra tesi poi clamorosamente smentite dalle conclusioni dello stesso procuratore speciale Robert Mueller, certo. Ma dopo che, in nome della “democrazia” e della “verità” ma in realtà solo in nome del pregiudizio e della rivalità politica, erano state prese per buone, anzi date per scontate, bufale colossali. Che qualcuno aveva interesse a far circolare e che la stampa, senza un minimo di coraggio e dignità, si prestava docilmente a diffondere.

Il “caso Salvini” ripropone molti degli interrogativi già affrontati con il Russiagate. Il leader della Lega dovrà dare spiegazioni e certo pagherà un prezzo politico al maldestro scaricabarile ai danni dell’onnipresente (almeno per quanto riguarda gli incontri con le delegazioni russe) Savoini. Anche la magistratura farà le debite indagini, e vedremo se salterà fuori qualcosa. Dal Rubligate in salsa lombarda, però, si leva anche un profumo di “barbe finte” che non può essere ignorato. A quel che sappiamo, le rivelazioni sui maneggi veri o presunti di Savoini erano già state proposte nel febbraio scorso dall’Espresso. Non è che allora fosse successo granché, anzi: la cosa era passata via senza tanti clamori. Qualche giorno fa, però, arriva Buzzfeed, un sito americano che a suo tempo si era molto agitato col Russiagate. Che cosa ci rivela Buzzfeed? Le stesse identiche cose dell’Espresso, però con qualche brano audio in più. Non ci sono, negli audio, i passi più compromettenti, quelli in cui si parla di quattrini. Ma ci sono le trascrizioni.


Si prospettano quindi le seguenti ipotesi. La prima: quel giorno, nel salone dell’Hotel Metropol’ di Mosca, c’erano sia i giornalisti dell’Espresso (che infatti dicono di aver scattato di persona le fotografie pubblicate in febbraio) sia quelli di Buzzfeed. Questi ultimi, però, hanno aspettato fino a oggi per sparare lo scoop, chissà perché. La seconda: sono stati i giornalisti dell’Espresso a fornire il materiale a quelli di Buzzfeed. Ma perché? La terza: c’erano solo i giornalisti dell’Espresso e, curiosamente, quelli di Buzzfeed hanno avuto in seguito lo stesso identico materiale. Ma da chi? E perché il fornitore non ha indicato anche i nomi dei tre personaggi russi, che Buzzfeed sostiene essere dei pezzi grossi? Con 200 dollari a un cameriere del Metropol’ quei nomi sarebbero venuti fuori… La quarta: l’Espresso e Buzzfeed hanno lo stesso procacciatore di scoop.

Per carità, Salvini dovrà spiegare tutto e bene. Non piace a nessuno l’idea, anche solo ipotetica, che si possano mettere in piedi maneggi milionari con le aziende di Stato per interessi privati. Ma non è che da questo scoop si levi odore di violetta. Per essere più precisi: si leva odore di servizi segreti e di operazioni mirate, con precisi obiettivi politici.

D’altra parte la tendenza è questa. Nel maggio scorso, il ministro e vice-cancelliere austriaco Heinz-Christian Strache è stato costretto alla dimissioni per un video pubblicato dal quotidiano Suddeutsche Zeitung e dal settimanale Der Spiegel, entrambi tedeschi, in cui lo si vedeva promettere favori illegittimi e prebende illegali, in cambio di tangenti, alla sedicente figlia di un inesistente oligarca russo, durante una serata di bevute in una villa di Ibiza.

Tutto falso, tranne la gonzaggine di Strache, che ora è sotto processo per tradimento. Però qui tutto ha trionfato tranne che la verità. Il video era stato girato nel 2017, mesi prima delle elezioni politiche che avrebbero proiettato Strache ai vertici del Governo austriaco. In altre parole: quando Strache prometteva tutto ciò che voleva ma non aveva alcun potere per mantenere le promesse. Mentre il video è stato pubblicato nel 2019, in una situazione completamente diversa, al chiaro scopo di fregarlo. Chi ha organizzato il tutto? Chi ha tenuto in frigo per due anni il video assassino, e con esso anche lo sdegno per la scarsa moralità di Strache? A quale scopo? E’ ancora giornalismo, questo?

E considerazioni analoghe si potrebbero fare per un altro grande “scoop” degli ultimi anni, i Panama Papers. Ovvero gli 11,5 milioni di documenti illegalmente sottratti nel 2015 allo studio legale panamense Mossack-Fonseca e poi passati alla Suddeutsche Zeitung (di nuovo) e al consorzio internazionale ICIJ, che ha sede negli Usa.

Qui la questione è ancora più chiara. Qualcuno ha rubato i documenti dello studio e li ha passati al giornale e al consorzio. Poiché nessuno ha mai rivelato la fonte di questo leak, è lecito presumere che si sia trattato di un furto puro e semplice, compensato con denaro. In seguito, i file di Mossack-Fonseca sono serviti per sputtanare un bel po’ di personaggi pubblici, dai politici ai calciatori, dagli attori ai finanzieri, in nome del fatto che questi erano titolari di società off-shore, cosa che non è di per sé illegale.

Particolare interessante: i principali finanziatori dell’operazione erano americani e, certo per combinazione, non uno degli oltre 4 mila personaggi coinvolti nelle rivelazioni era americano. Ma si sa, i ricconi a stelle e strisce non amano le società off-shore, mai ne aprirebbero una. In compenso molta stampa occidentale si esercitò intorno a Vladimir Putin. Il nome del Presidente russo non era citato in nessuno degli 11,5 milioni di documenti ma comparvero molti articoli per sostenere che i tre oligarchi clienti dello studio Mossack-Fonseca non avrebbero potuto arricchirsi senza la complicità del Presidente. Compensare un ladro per il suo furto è più etico che essere titolare di una società off-shore? Non poteva non sapere è un criterio per gestire la giustizia o per mettere alla gogna? E’ ancora giornalismo?

Per chiudere il cerchio, rivolgiamo un pensiero a Julian Assange.  I metodi e la personalità dell’attivista australiano possono non piacere. Ma la domanda è: perché Assange deve stare in carcere e i giornalisti dei Panama Papers o del “caso Strache” devono invece essere celebrati come paladini della democrazia? E’ un caso o un progetto? E inoltre: i giornalisti che, quanto Assange fu arrestato, filosofeggiavano sul fatto che non tutti devono sapere tutto, che cosa pensano del fatto che, invece, su Salvini, i ricconi dei Panama Papers e quel pirlone di Strache è proprio tutto ciò che dobbiamo sapere?