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Crac 1907, la tempesta perfetta

di Federico Rampini - 18/10/2007

    
Il giornalista Federico Rampini ricostruisce, sulla base del libro The Panic of 1907 degli economisti Robert Bruner e Sean Carr, la prima crisi economica del sistema finaziario mondiale. Nell’ottobre del 1907 una speculazione fallita gettò il panico fra i piccoli risparmiatori che si affrettarono a ritirare i loro risparmi dalle banche americane: in poche settimane il sistema finanziario e di conseguenza anche quello della produzione industriale vennero paralizzati, portando l’economia statunitense sull’orlo del collasso.
La crisi venne bloccata grazie al tempestivo intervento del banchiere J.P. Morgan, che raccolse i capitali necessari al funzionamento del sistema degli scambi nazionali e internazionali. Tuttavia, fu solo con la creazione della Federal Reserve Bank e leggi varate nel 1933 che si riuscì a porre delle salde basi al sistema finanziario globale.


La Knickerbocker Trust Company era un’istituzione celebre nell’America della Gilded Age, l’età dell’oro del primo Novecento. In quegli anni ruggenti, dallo sviluppo economico accelerato, molte famiglie del ceto medio newyorchese avevano affidato i propri risparmi alla prestigiosa società finanziaria con sede all’angolo fra la Quinta Avenue e la 34esima strada, dirimpetto all’hotel Waldorf Astoria. E come non fidarsi? Al vertice della Knickerbocker c’era Charles Tracy Barney, sposato con una Whitney (quelli del museo), membro di trentatré consigli d’amministrazione di colossi industriali, finanziatore in proprio della costruzione del metrò di Manhattan: un Grande Gatsby dell’establishment capitalistico americano. Con un’economia che cresceva a ritmi del sette per cento annuo, tra il 1896 e il 1906 il Pil degli Stati Uniti si era raddoppiato, i rendimenti offerti ai risparmiatori erano generosi. Si apriva sotto i migliori auspici il “secolo americano”. Ma l’irresistibile ascesa della nuova potenza mondiale non sarebbe avvenuta senza scossoni.
Cent’anni fa il grande panico del 1907 fu la prima crisi “globale” del Novecento. Nel solo mese di ottobre l’indice azionario di Wall Street perse il trentasette per cento del suo valore, in tutta l’America folle di risparmiatori diedero l’assalto agli sportelli delle banche fra scene di violenza e di disperazione, il sistema del credito rimase paralizzato per settimane. Il 14 novembre 1907, quando la moglie Lily trovò il cadavere di Charles Barney ai piedi del letto, con la mano che ancora stringeva il revolver fumante puntato alla tempia, sul loro appartamento di Park Avenue calava il sipario dopo l’ultimo atto della tragedia. Ormai la Knickerbocker non esisteva già più. La crisi aveva travolto un sistema di potere, e avrebbe imposto riforme profonde nei mercati finanziari. La “tempesta perfetta” di quell’anno ebbe per protagonisti dei giganti della storia, dal presidente Theodore Roosevelt al banchiere J. Pierpont Morgan. L’eco di quegli avvenimenti non si è mai spenta. [...] Due economisti americani, Robert Bruner e Sean Carr, hanno appena pubblicato un saggio sul crac di cent’anni fa (The Panic of 1907: lessons learned from the market’s Perfect Storm) per studiare le analogie con la situazione odierna. Già nel 1908 il finanziere Henry Clews nelle sue memorie indicava tre cause principali del disastro dell’anno precedente che suonano familiari: «L’eccesso di investimenti nel mercato immobiliare; il credito facile; le manipolazioni dell’alta finanza».
Le voci che nel sistema bancario americano si nasconde qualcosa di marcio iniziano a diffondersi ai primi di ottobre del 1907. Due speculatori senza scrupoli, Augustus Heinze e Charles Morse, hanno tentato una scalata a una società di estrazione del rame e sono finiti in bancarotta. Presto si scopre che dietro di loro si nasconde la Knickerbocker di Barney. Per non smentire la superstizione, è il venerdì 17 ottobre 1907 che le indiscrezioni diventano un boato, i sospetti si trasformano in terrore. Diciottomila clienti della società finanziaria assaltano la sua sede principale sulla Fifth Avenue e le tre filiali sulla Broadway, ad Harlem e nel Bronx. In poche ore svuotano le casseforti della Knickerbocker di otto milioni di dollari in contanti, una somma considerevole per quell’epoca. Il 21 ottobre Barney è costretto a dimettersi ma è già troppo tardi per arrestare «la spirale isterica», come la definiscono Bruner e Carr. La gente sa che il credito è un sistema di vasi comunicanti, nell’intreccio di rapporti fra le banche il crac di un finanziere può trascinare altri nel precipizio. Si formano code di risparmiatori su tutti i marciapiedi di Wall Street, ogni istituto di credito è assediato dai depositanti che vogliono ritirare i loro soldi. Anche la Borsa è al collasso. [...]
Da New York il panico dilaga in tutta l’America. In pochi giorni i ritiri di contante dalle banche raggiungono i trecentocinquanta milioni di dollari di allora. I costi delle cassette di sicurezza schizzano alle stelle perché la gente le usa per mettere al sicuro le banconote. In alcuni Stati il denaro liquido sparisce completamente: i governatori della California, del Nevada e dell’Oregon impongono d’autorità una settimana di vacanza perché le banche possano stare chiuse… in attesa di un miracolo. South Dakota, Indiana, Iowa e Oklahoma varano leggi locali che consentono di ritirare dalle banche solo dieci dollari al giorno per ogni cliente. «A metà novembre - raccontano Bruner e Carr - lo stesso ministero del Tesoro degli Stati Uniti ha virtualmente esaurito le sue riserve di dollari, nel vano tentativo di combattere la crisi».
L’America si ammala di quella che gli economisti definiscono con un termine evocativo «l’anoressia del credito». Per la diffidenza generalizzata nessuno fa più prestiti né li chiede, il mercato interbancario si prosciuga. Il “perfect storm”, la madre di tutti gli uragani, si estende all’economia reale [...]. Il panico finanziario del 1907 si ripercuote sulla produzione industriale che arretra dell’undici per cento. I fallimenti di imprese nel solo mese di novembre aumentano del quarantasette per cento. Si moltiplicano i licenziamenti di massa e l’indice di disoccupazione balza dal 2,8 per cento all’8 per cento. Il quotidiano Financial Chronicle scrive in quei giorni: «Non è esagerato affermare che la paralisi industriale e la prostrazione dell’attività è la peggiore mai sperimentata da quando esiste questa nazione». Decenni dopo il premio Nobel dell’economia Milton Friedman analizzerà il 1907 come una prova generale del 1929, il crac che innescò la Grande depressione mondiale.
In mezzo al caos e allo smarrimento di cent’anni fa una persona mantiene i nervi saldi. È l’uomo a cui tutti si rivolgono in cerca di una risposta. J.P. Morgan, fondatore e capo assoluto dell’omonima banca, è un gigante della finanza internazionale capace di combinare “sulla parola” alleanze industriali e contratti intercontinentali. [...] Gli Stati Uniti d’America, superpotenza giovane, nel 1907 ancora non hanno istituito una banca centrale. Gli strumenti di regolazione dei mercati finanziari sono rudimentali. Il governo federale ha scarse competenze sull’economia, è impotente per arginare il panico.
Il 24 ottobre, mentre Wall Street è ferma per mancanza di contrattazioni e l’onda di paura traversa gli oceani coinvolgendo Europa ed Asia, tutti i broker della Borsa newyorchese affluiscono in pellegrinaggio al quartier generale della J.P. Morgan per chiedere consiglio al grande banchiere. «Mr. Morgan - gli sussurra il decano dei broker - dovremo chiudere lo Stock Exchange». Intende dire: a tempo indeterminato. Morgan risponde secco: «Lo chiuderete come tutti i giorni all’orario canonico. Le tre del pomeriggio, non un secondo prima». E si mette a riempire assegni, lui di persona, per ciascuno dei broker. Perché abbiano liquidità sufficiente e il denaro torni a scorrere nello Stock Exchange. A quel punto si fa vivo il magnate John Rockefeller con un messaggio lapidario. Se è Morgan a guidare le operazioni di salvataggio del sistema, Rockefeller gli farà avere cinquanta milioni di dollari dal suo patrimonio personale in poche ore. Morgan telegrafa istruzioni anche ai partner nella City di Londra, spiega che è la finanza mondiale in pericolo. Ai suoi ordini salpa dall’Inghilterra il bastimento Lusitania con un carico unico nella storia: il più grande quantitativo di lingotti d’oro mai trasportato attraverso l’Atlantico. La psicosi di massa si dilegua. L’America è salva.
Ma l’uragano perfetto del 1907 lascia dietro di sé un panorama di macerie. La credibilità di Wall Street, la stabilità del giovane capitalismo americano sono a pezzi. A trarre la lezione del disastro è Ted Roosevelt: uomo di stirpe aristocratica, è stato eletto però sull’onda di un forte movimento progressista. Prima ancora del crac del 1907, la società civile ribolliva di insofferenze verso un capitalismo senza regole, i Baroni Ladri, i trust delle ferrovie e del petrolio. Roosevelt afferra l’opportunità offerta dallo shock economico. Ne fa le spese lo stesso Morgan: dopotutto, il salvatore della patria è anche il regista supremo delle intese oligopolistiche, il campione dei conflitti d’interessi. Il banchiere viene convocato dalle commissioni d’indagine del Congresso, sottoposto a interrogatori lunghi e aggressivi. Morirà a Roma il 31 marzo 1913, all’età di settantacinque anni, avvilito e fiaccato dalla battaglia politica.
La diagnosi di Ted Roosevelt e del Congresso è chiara. Bisogna fare pulizia di un sistema finanziario opaco e senza regole, dove i potentati bancari possono trascinare alla rovina milioni di risparmiatori. Il 22 dicembre 1913, nell’anno della morte di Morgan, il Congresso istituisce la Federal Reserve, banca centrale degli Stati Uniti. Un quarto di secolo dopo, quando allo shock del 1907 si sarà aggiunto quello del 1929, il Congresso approva la legge Glass-Steagall nel 1933. È una pietra miliare nella storia della finanza mondiale. Quella legge crea una Grande Muraglia fra il mestiere della banca commerciale (che raccoglie depositi e fa prestiti) e quello della banca d’affari che acquista partecipazioni azionarie nell’industria, opera in Borsa assumendo rischi in proprio. Quella divisione fu voluta per tutelare il risparmiatore, per impedire i conflitti d’interessi in cui la banca non è solo un intermediario del credito, ma è impegnata attivamente nella speculazione, e coinvolge ignari depositanti in investimenti ad alto rischio.
Il ricordo del 1907 e del 1929 non è durato in eterno. Nel 1999 sotto l’influsso del neoliberismo la legge Glass-Steagall è stata abrogata, la Grande Muraglia è caduta, i banchieri sono tornati a fare cento mestieri talvolta contraddittori. [...]