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Il passo delle oche

di Carlo Corsale - 25/10/2007

   
  

Titolo: Il passo delle oche
Autore: Alessandro Giuli
Edizioni: Einaudi, Torino 2007
Pagine: 176

In periodi di magra come questi, divisi tra una cavalcata sul testone riccioluto di Grillo e una spallata al governo Prodi, i quadri di AN devono aver pensato le peggio cose davanti a “ Il passo delle oche”, recente fatica letteraria di Alessandro Giuli (giornalista de “Il Foglio”), edita da Einaudi.
Per alcuni una disanima senza sbavature, per altri un inutile sforzo di ingenerosità verso la destra ufficiale, per qualcun altro invece un pretesto per riabilitare il Barone Nero; il libro di Giuli ha comunque suscitato delle reazioni sensibili, tanto all’interno della destra di partito che di quella culturale, senza trascurare la ribalta ottenuta sulle pagine culturali del Corriere della sera.
Non che il giornalista de Il Foglio abbia scoperto chissà cosa, di certo però la sua ricerca attraverso i personaggi del partito appare come il modo più efficace per entrare all’interno di un mondo che  - a giudicare dall’analisi sul passato missino – ha cambiato molto poco e sorprendentemente traendo da ciò un saldo elettorale straordinariamente positivo.
E’ opportuna e giusta l’impostazione che Giuli dà alla sua analisi: partire dal particolare, cioè dalla testa pensante del partito permette, oltre che di conoscere più da vicino il mondo di AN, anche di entrare nei meandri della partitocrazia italiana; svelare le modalità di accesso e di distribuzione del potere nei nuclei che governano il paese consente di inquadrare il libro anche sotto altre vesti.
La devastante personalizzazione della politica – piacerebbe a tutti che il Cavaliere fosse il solo a servirsene, peraltro con risultati brillanti – è un fattore da tenere in considerazione se si intende spulciare i cromosomi identitari di un partito, e AN così come il resto dei partiti italiani, se ne serve a piene mani.
Il caso aennino è peraltro più complicato di altri, ma la storia di Fiuggi e i cambi di rotta del timoniere Fini sono ormai storia recente e ben nota ai più, così come la questione eternamente irrisolta dei valori (Giuli pesca la calzante definizione di pollaio) è talmente conosciuta dal mondo esterno da indurre a pensare che “Il passo delle oche” sia un efficace elogio funebre nei confronti della politica italiana intera e non solo di AN; fanno male – e operano ancora peggio nelle loro strenue memorie difensive – gli epigoni della fiammella di AN se credono di avere a che fare con un boia in attesa del condannato. Giuli non ha seppellito AN, semplicemente perché AN si è già seppellita da sola e già da un bel pezzo.
Certo, fa specie assistere ad una requisitoria così ben argomentata nei confronti di uno dei pochi  pianeti politici rimasti interi dopo il big bang di mani pulite; ma, come giustamente sottolineato dall’autore, la conservazione del potere è un requisito fondamentale per la cristallizzazione del consenso e l’ambiguità nelle scelte di indirizzo ideologico è finalizzata ad una incessante rincorsa nei confronti di una società che cambia e alla quale l’immobilismo della struttura partito non riesce (geneticamente) a dare risposte. A corollario di ciò si presenta, come occasione unica, la possibilità di entrare nelle stanze che contano dopo mezzo secolo di isolamento, per cui la tenuta politica di AN e del suo leader Fini sono solo un passo naturale all’interno di un quadro più ampio in cui i concorrenti al gioco non si comportano certo meglio.
Leggere “Il passo delle oche” svela anche storie di personalità lontane dagli assetti di palazzo, parla di sogni infranti e di prospettive bruciate innanzi alla stasi di un sistema che riesce a rimanere in piedi pur in mancanza di solide fondamenta. Quel sistema che impone la lottizzazione politica dei mezzi di informazione e ne maschera la vergogna con la verità spendibile di una più coerente pluralità; come se avere un TG di destra e uno di sinistra significhi appunto essere liberi.
Non si offendano quindi i vari Gasparri e Storace, gli Alemanno e i La Russa; Giuli non gli starà certo simpatico, ma in fondo loro sono solo gli ultimi arrivati. Giunti alla fiera della politica italiana per buona volontà di qualche “attacchino di partito” che per dovere di fascisteria (per dirla con Buttafuoco), non nega il suo impegno verso un camerata che domani già non c’è più. Ma che a pensarci bene, non c’è mai stato.