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Sport d’acqua made in USA

di byebyeunclesam - 16/12/2008

La Casa Bianca, per ben due volte, nel 2003 e nel 2004, appoggiò esplicitamente, con documenti segreti, i metodi duri di interrogatorio da parte della CIA nei confronti di presunti terroristi, compreso il famigerato waterboarding, ossia l’annegamento simulato. L’ha affermato recentemente il Washington Post citando quattro fonti ben informate della CIA e dell’amministrazione Bush che hanno però chiesto l’anonimato.
I documenti, finora riservati, furono richiesti all’Amministrazione dall’allora direttore della CIA, George J. Tenet, oltre un anno dopo che gli interrogatori segreti erano cominciati. L’agenzia investigativa l’avrebbe fatto perché preoccupata delle conseguenze sull’opinione pubblica di eventuali rivelazioni sui metodi di interrogatorio, sentendo perciò il bisogno dell’imprimatur scritto della Casa Bianca, anche se nel 2002 già il Dipartimento di Giustizia aveva approvato i metodi.
Secondo le fonti citate, la CIA temeva che la Casa Bianca potesse in un secondo momento, se messa alle strette da uno scandalo, prendere le distanze dai metodi usati dall’agenzia investigativa per interrogare i sospetti terroristi. Tenet avrebbe richiesto (e di lì a pochi giorni, effettivamente ottenuto) un documento di approvazione scritto già nel giugno 2003, durante una riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Poi nel giugno 2004, egli chiese alla Casa Bianca un nuovo documento scritto sulla scia dello scandalo per le torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib ed anche questa volta fu soddisfatto.
D’altra parte, la Casa Bianca ha continuato a ricorrere al waterboarding sino ad oggi, decidendo caso per caso in base alle valutazioni dell’intelligence e ribadendo che non si tratta di una forma di tortura, ma di un mezzo legale che “ha salvato vite di americani”. Il 5 febbraio scorso, il direttore della CIA Michael Hayden, durante un’audizione davanti al Congresso, aveva per la prima volta ufficialmente riferito sull’uso del waterboarding tra il 2002 e il 2003 su tre presunti alti esponenti di Al Qaeda.
Notizia degli ultimissimi giorni è che gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sugli “alleati” europei affinché li aiutino a trovare una sistemazione per i detenuti di Guantanamo. Chiudere la prigione per “nemici combattenti” nella base americana a Cuba è una delle priorità di Barack Obama, ma il problema rimane dove sistemare i detenuti che non possono essere rimpatriati. Secondo il Times, più di un quinto dei 250 prigionieri di Guantanamo provengono da Paesi che, in caso di rimpatrio, non garantirebbero il rispetto dei diritti fondamentali, il che fa a dir poco sorridere pensando alle loro attuali e ben note condizioni di detenzione. John Bellinger, consigliere legale di Condoleezza Rice, ha confermato che Washington sta cercando l’aiuto dei Paesi europei per sistemare quei detenuti non pericolosi che non possono essere rimpatriati. Finora l’Albania ha accolto un gruppo di uiguri (separatisti islamici originari della Cina occidentale) ed il Portogallo ha annunciato di essere pronto ad accoglierne altri. “Un funzionario di alto livello del dipartimento di Stato - si legge nell’articolo del Times - ha spiegato che finora la Gran Bretagna e la maggior parte dei membri dell’Unione Europea si sono rifiutati”. Ma Washington sembra determinata, almeno ad ascoltare le parole di Bellinger: “Non ci aiutano quei Paesi che continuano a chiedere la chiusura di Guantanamo e non fanno nulla per metterci in grado di farlo”.
Ed allora ecco che spunta fuori un rapporto bipartisan del Senato statunitense, il quale afferma che le decisioni dell’ex capo del Pentagono Donald Rumsfeld furono “la causa diretta” degli abusi sui detenuti a Guantanamo e nel carcere di Abu Ghraib. Il documento (che trovate qui) accusa l’amministrazione Bush di aver creato il clima morale e legale che ha contribuito al trattamento inumano dei prigionieri. Diventati ormai così ingombranti che l’unico desiderio sembra quello di sbolognarli al primo disponibile.