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Sparare sulla Croce rossa? A Gaza si può

di Vittorio Arrigoni - 11/01/2009

 
 
Un plotone di esecuzione ha messo al muro Ippocrate, ha puntato e fatto fuoco. Le allucinanti dichiarazioni di un portavoce dei servizi segreti israeliani, secondo cui l'esercito ha ottenuto via libera a sparare sulle ambulanze perché a bordo c'erano presunti membri della resistenza palestinese, danno il quadro di quale valore in questi giorni dia alla vita Israele, le vite dei nemici s'intende. Vale la pena di ripassare cosa dichiara il giuramento di Ippocrate, cui è tenuto ogni medico prima di iniziare a esercitare la professione: «Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica».
Sono sette fra dottori e infermieri volontari i camici bianchi uccisi dall'inizio della campagna di bombardamenti, una decina le ambulanze colpite dall'artiglieria israeliana. I sopravvissuti tremano di paura, ma non si tirano indietro. I lampeggianti cremisi delle ambulanze sono gli unici squarci di luce lungo le strade nelle notti oscure di Gaza, esclusi i lampi che precedono le esplosioni. Riguardo a questi crimini, l'ultima denuncia è partita da Pierre Wettach, capo della Croce Rossa a Gaza; le sue ambulanze sono potute accorrere sul luogo del massacro di Zeitoun, est di Gaza city, solo dopo 24 ore dall'attacco israeliano. I soccorritori dichiarano di essersi trovati davanti uno scenario raccapricciante: «Quattro bambini piccoli vicini ai corpi senza vita delle loro madri in una delle case. Erano troppo deboli per tenersi in piedi. E' stato trovato vivo anche un uomo, anche lui troppo debole per tenersi in piedi. In tutto sui materassi giacevano 12 corpi».

I testimoni di questa ennesima carneficina raccontano come i soldati israeliani, penetrati nel quartiere, abbiano radunato le decine di membri della famiglia Al Samouni in un solo edificio e poi lo abbiano ripetutamente bombardato. Con i miei compagni dell'Ism sono giorni che giriamo sulle ambulanze della mezzaluna rossa, abbiamo subito molteplici attacchi e perso un caro amico, Arafa, colpito in pieno da un colpo di obice sparato da un carro armato. Altri tre paramedici nostri amici rimangono ricoverati negli ospedali dove fino a ieri lavoravano. Sulle ambulanze il nostro dovere è raccogliere feriti, non accogliere guerriglieri. E quando troviamo riverso per strada un uomo ridotto a una poltiglia di sangue, non si ha il tempo di controllare i suoi documenti, di chiedergli se parteggia per Hamas o Fatah. Anche perché quasi sempre i feriti non rispondono, come i morti. Alcuni giorni fa, mentre caricavamo un ferito grave, ha cercato contemporaneamente di salire sull'ambulanza anche un altro uomo, ferito in maniera lieve. Lo abbiamo spintonato fuori, proprio perché sia chiaro a chi ci spia dal cielo che non fungiamo da taxi per il trasporto di membri della resistenza, ma accogliamo solo feriti gravi, il cui rifornimento da parte di Israele non cessa peraltro un istante.
La notte scorsa è arrivata all'ospedale Al Quds di Gaza City Miriam, 17 anni, in preda alle doglie. Al mattino erano passati nello stesso ospedale suo padre e sua cognata, entrambi cadaveri, vittime di uno dei tanti bombardamenti indiscriminati. Durante la notte Miriam ha partorito un bel bimbo, inconsapevole del fatto che mentre lei si trovava in salo parto, un piano più in basso, all'obitorio era giunto anche il giovane marito.

Alla fine persino le Nazioni unite si sono accorte che qui a Gaza siamo come tutti immersi nello stesso catino, bersagli mobili per ogni cecchino. Siamo arrivati a quota 789 vittime, 3300 i feriti, 410 vertono in situazione critica, 230 i bambini uccisi, decine e decine i dispersi. Il computo delle vittime civili israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Per bocca di John Ging capo dell'Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi), le Nazioni unite hanno annunciato di sospendere le loro attività umanitarie lungo la Striscia. Ho incrociato Ging negli uffici dell'agenzia di stampa Ramattan, e l'ho visto agitare il suo indice accusatorio contro Israele dinnanzi alle telecamere.
L'Onu cessa le sua attività a Gaza dopo che due dei suoi operatori sono stati uccisi ieri, beffa vuole durante le tre ore di una tregua che Israele ha annunciato e al suo solito non rispetta. «I civili di Gaza hanno a disposizione 3 ore al giorno per cercare di sopravvivere, i soldati israeliani le restanti 21 per cercare di sterminarli» ho sentito Ging dichiarare a due passi da me. Da Gerusalemme mi scrive Yasmine, moglie di uno dei numerosi giornalisti in fila al valico di Erez, giornalisti ai quali per chissà perché Israele non concede il lasciapassare per venire qui a filmare e a raccontare l'immane catastrofe innaturale che da tredici giorni imperversa. Queste le sue parole: «L'altro ieri sono andata a vedere Gaza dal di fuori. I giornalisti del mondo sono tutti ammucchiati su una collinetta di sabbia a un paio di km dal confine. Decine di telecamere che puntano verso di voi. Aeri che ci sorvolano, si sentono ma non si vedono, sembrano solo illusioni mentali finché non si vede il fumo nero salire all' orizzonte. La collina è diventata anche meta turistica per gli Israeliani di zona. Con grandi binocoli e macchine fotografiche vengono a vedere i bombardamenti dal vivo».

Mentre sto trascrivendo in fretta e furia questa mia corrispondenza una bomba cade nel palazzo a fianco a quello in cui mi trovo. I vetri tremano, le orecchie dolgono, mi affaccio dalla finestre e vedo che hanno colpito l'edificio dove sono raccolti i principali media arabi. E' uno dei palazzi più alti di tutta Gaza city, l'Al Jaawhara building. Sul tetto tengono fissi una troupe con una telecamera, li vedo ora contorcersi tutti a terra, agitare le braccia invocando aiuto, avvolti da una cappa nera di fumo. Paramedici e giornalisti, le professioni più eroiche in questo spicchio di mondo. All'ospedale Al Shifa ieri sono andato a trovare Tamim, reporter sopravvissuto ad un bombardamento aereo. Mi ha spiegato come secondo lui Israele stia adottando le stesse identiche tecniche terroristiche di Al-Qaeda, bombarda un edificio, attende l'arrivo dei giornalisti e dei soccorsi, quindi fa cadere un'altra bomba che fa strage di questi ultimi. Per questo motivo a suo avviso si sono registrate molte vittime fra i paramedici e i reporter. Gli infermieri attorno al suo letto facevano cenni di consenso. Tamim mi ha mostrando sorridendo i suoi moncherini. Ha perso le gambe, ma è felice d' essersela cavata, il suo collega Mohammed è morto con in mano la macchina fotografica, la seconda esplosione lo ha ucciso.
Nel frattempo mi sono informato sulla bomba appena caduta nel palazzo qui vicino, sono rimasti feriti due giornalisti, entrambi palestinesi, uno di Libyan tv l'altro di Dubai tv. Giusto un altro sonoro avvertimento da chi esige che questo massacro di vittime civili non venga in alcun modo raccontato. Non mi resta che augurarmi che nel quartier generale dei vertici militari israeliani non si legga il manifesto, né vi siano affezionati visitatori del mio blog. Restiamo umani.