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La globalizzazione degli abusi

di Delia Innocenti - 23/09/2005

Fonte: peacereporter.net

Colombia - 23.9.2005
La globalizzazione degli abusi
La guerra al terrorismo autorizza ogni violenza. A qualsiasi latitudine
 
Delia Innocenti
ParamilitareLuis Sifredo ha poco meno di cinquant’anni. E’ un contadino dalle mani grandi e il volto bruciato dal sole. A causa di un incidente sul lavoro, la sua mano destra è rimasta completamente paralizzata, non puó afferrare oggetti nè stringere la nostra mano protesa quando lo visitiamo nella remota regione della Colombia dove vive. Jean Charles è un elettricista ventisettenne, di nazionalità brasiliana. Vive a Londra, dove è emigrato qualche tempo fa in cerca di fortuna. Non l’abbiamo mai incontrato, ma chi lo conosce, lo descrive come un tipo tranquillo, uno dei molti che la mattina, in metropolitana, legge il giornale in distribuzione gratuita.  
Il caso di Jean Charles è sui giornali di tutto il mondo. Il giovane muore nella stazione del metro di Stockwell il 22 di Luglio, ucciso da cinque colpi di pistola sparati dalla squadra speciale So-19 della polizia britannica. I testimoni presenziali ricostruiscono un’immagine insolita per la metropoli inglese: gli agenti in borghese gettano a terra il giovane brasiliano, lo immobilizzano e gli scaricano addosso vari colpi di arma da fuoco. Scotland Yard si affretta a dichiarare che l’uomo sarebbe stato direttamente coinvolto negli attentati in luglio, e le edizioni serali dei quotidiani inglesi non perdono tempo a chiamarlo terrorista, invitando la forza dell’ordine a non avere pietà verso i ‘bombaroli’ al pari di Jean Charles.
 
Cambiamo di continente. Due settimane dopo la morte del ventisettenne brasiliano. E’ l’alba nella regione colombiana di Antioquia, e Luis Sifredo sta iniziando la sua tipica giornata campesina dando da bere al suo cavallo. Nella regione, è in corso un'operazione militare condotta dalla forze della Brigata 17 dell’esercito, e noi osservatori internazionali sorvegliamo la zona affinchè vengano rispettati, nonostante il conflitto, i diritti fondamentali degli abitanti. A sei mesi dall’inizio delle operazioni, c’è molta tensione, a cui si aggiunge l’affanno di mostrare alcuni ‘risultati’ nei bollettini ufficiali che registrano il numero di ‘terroristi’ abbattuti. Perchè la politica di sicurezza democratica propiziata dal presidente Alvaro Uribe Velez non tollera l’assenza di risultato.
Sedici militari e un civile ‘paramilitare’ irrompono nella casa di Luis Sifredo e, a forza di insulti e abusi, lo conducono in un bosco a trecento metri dalla sua fattoria. Si sentono otto colpi di arma da fuoco e una scarica di mitra. Le persone che assistono da lontano alla scena raccontano di aver visto l’esercito trasportare il cadavere di Luis Sifredo, in uniforme, in direzione di un altro luogo conosciuto come ‘El Telefono’. A poche ore dall’accaduto, un maggiore della Brigata 17 si affretta a informarci che in un combattimento sostenuto tra guerriglieri del’Esercito Nazionale di Liberazione (ELN) e l’esercito avrebbe incontrato la morte un ‘terrorista’. Luis Sifredo, appunto. 
 
Diversi ma vicini. Il destino di questi due uomini presenta un evidente tragico punto di contatto: in due punti così diversi del planeta, a pochi giorni di distanza, Luis Sifredo y Jean Charles sono entrambi vittime innocenti della guerra mondiale al terrorismo. In nessun caso siamo di fronte a un semplice o tragico incidente, poichè le paure, le tensioni estreme e  le pressioni create dallo spettro della lotta al terrorismo hanno generato modelli sistematici di attacco ai civili.
Ma è a questo punto che le due storie si allontanano irreparabilmente.
La vicenda di Jean Charles è sulle pagine di tutti i giornali. L’inglese The Guardian rivela che  il capo della polizia britannica Ian Blair avrebbe tentato di bloccare un'inchiesta indipendente sull'omicidio, preoccupato dall'impatto negativo che questa avrebbe avuto sulla sicurezza nazionale. Di fatto, però, già 36 ore dopo l’esecuzione a freddo del giovane brasiliano, un ufficiale della Commissione interna di indagine della polizia parlava di un tragico errore in relazione al caso di Jean Charles, mentre i familiari e l’opinione pubblica internazionale reclamavano la verità sull’accaduto.

Tutto tace. Sarà l’assuefazione a questo tipo di casi, o qualche tipo di (auto?)censura, ma non si trova una riga sui giornali locali o nazionali colombiani sul caso di Luis Sifredo. Eppure non mancano i testimoni oculari e la famiglia ha già presentato la denuncia presso le autorità giudiziarie corrispondenti. A nessuno sembra strano quel particolare di una mano destra paralizzata, inutilizzabile per stringere un machete, figuriamoci un’arma.
Se la Colombia fosse quel paese autenticamente democratico che il presidente Uribe si vanta di rappresentare, dovrebbe almeno  provare imbarazzo di fronte agli atti e alle dichiarazioni dei suoi ufficiali. E la storia di Luis Sifredo troverebbe spazio sulle pagine di qualche giornale.