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Un controverso bestseller critica la fondazione dello Stato di Israele

di Joshua Holland - 04/02/2009

Cosa succederebbe se si dimostrasse che gli Arabi Palestinesi, i quali stanno vivendo da decenni schiacciati dal tallone del moderno Stato di Israele, discendono anch’essi dai “figli di Israele”, descritti nel Vecchio Testamento?
E cosa succederebbe se si scoprisse che gli attuali Israeliani non discendono tutti dagli Israeliti, ma molti sono un misto tra europei, nord-africani, e persone provenienti da tutti quei popoli che non sono “tornati” nelle loro terre di origine, ma che, dopo essere scappati dalle persecuzioni durante la II Guerra Mondiale, hanno dato vita al nuovo Stato di Israele, scacciando dalle loro terre popolazioni che vivevano lì da millenni?
Cosa si penserebbe se la storia della Diaspora Ebraica, l’esodo degli Ebrei dalla Giudea, i quali avrebbero attraversato il deserto per sfuggire alla crudeltà del Faraone, tramandata di generazione in generazione da decenni, fosse completamente inventata?

Queste sono le esplosive tesi esposte in  “Quando e come è stato inventato il Popolo Ebraico”, un libro dello studente dell’Università di Tel Aviv, Shlomo Zand (o Sand), che ha scosso la società israeliana alle radici, quando venne pubblicato, l’anno scorso. Dopo essere stato per 19 settimane in testa alle classifiche di vendita israeliane, il libro è stato tradotto in dozzine di lingue e pubblicato questo anno negli Stati Uniti dalla Verso.
Le conseguenze di queste tesi vanno ben oltre i dibattiti accademici che durano da epoche antidiluviane. Pochi conflitti moderni hanno alle spalle una storia tanto lunga come quella che vede da decenni spargimenti di sangue tra gli israeliani e i palestinesi. Ognuno dei due popoli si contende lo stesso pezzo di terra, considerata sacra da tutte e tre le più grandi religioni abramitiche del mondo (Cristianesimo, Islam ed Ebraismo), in base a rivendicazioni incentrate sui legami di sangue con quella terra, e su identità nazionali formatesi nel corso degli anni. Probabilmente, non c’è nessun altro posto del mondo, dove il presente si intreccia tanto fittamente col passato.

L’aspetto centrale del Sionismo è il racconto, comune a tutte le famiglie ebree, di anni di esilio, di oppressione, di redenzione, e infine, del ritorno a casa. Scacciati dal proprio impero, il “popolo ebraico”, figli e figlie dell’antica Giudea, ha vagato per il mondo, sradicato dalla propria terra, affrontando terribili persecuzioni ovunque si fosse trovato- ridotti in schiavitù nell’Antico Egitto, massacrati dagli Spagnoli nel XIV Secolo, sottoposti ai pogrom russi del XIX Secolo, fino ad arrivare alle atrocità del III Reich Nazista. Questa visione della storia coinvolge ogni sionista, in particolar modo, la minoranza, presente tanto negli Stati Uniti quanto in Israele, che ritiene che Dio abbia “donato” al suo popolo il “Grande Israele”, che comprenderebbe tanto il territorio dell’attuale Stato di Israele, quanto i territori da lui occupati, e che si oppone, quindi, per motivi biblici, alla costruzione di uno Stato palestinese.

Inventare un Popolo?

La tesi centrale di Zand è che i Romani non hanno mai espulso intere popolazioni dai loro territori. L’autore calcola che al massimo 10.000 antichi Giudei siano scomparsi durante le guerre con Roma, i restanti sarebbero rimasti nell’antica Giudea, convertendosi all’Islam, e successivamente si siano assimilati ai nuovi conquistatori, quando gli Arabi invasero quelle terre. Quel popolo divenne il progenitore degli attuali Arabi Palestinesi, molti dei quali attualmente vivono come rifugiati, visto che sono stati scacciati dalle loro case durante il XX Secolo.
Come ha riassunto il giornalista israeliano Tom Segev, in una recensione per il giornale Ha'aretz:
“Non è mai esistito il popolo ebraico, solo la religione ebraica, e anche il suo esilio non è mai esistito- di conseguenza, neppure il suo ritorno a casa”. Zand respinge ogni fondamento di identità nazionale basato sulla Bibbia, compreso quello legato all’esodo dall’Egitto, e, cosa ancora più interessante, quello che fa riferimento agli orrori subiti durante il periodo delle battaglie di Giosuè.
Questo è il punto: se l’antica popolazione della Giudea non è mai stata espulsa in massa, come è stato possibile che il popolo ebraico abbia dovuto disperdersi per il mondo? Secondo Zand, che riporta diversi racconti di gruppi coinvolti in quella che è conosciuta comunemente come la Diaspora degli Ebrei, alcuni di loro hanno lasciato quella terra spontaneamente, altri si sono convertiti al giudaismo solo successivamente. Contrariamente a quello che si pensa comunemente, il giudaismo è una religione evangelica che ha fatto proselitismo, vedendo convertirsi molte persone, nel periodo della sua formazione.
Questa teoria ha un peso significativo sull’identità nazionale di Israele. Se il Giudaismo è solamente  una religione, non si può più parlare di un popolo che discende da una nazione dispersa, quindi crolla la motivazione principale per la quale Israele debba rimanere uno “Stato giudaico”.
Questo ci porta alla seconda teoria di Zand, il quale sostiene che la storia del popolo ebraico, della sua trasformazione da una popolazione con un’identità culturale e una religione mista, a un popolo “perseguitato”, sia una invenzione recente, sorta nel XIX Secolo, ad opera del movimento Sionista, e portata avanti dal mondo accademico israeliano; in pratica, afferma che si tratta di una sorta di cospirazione intellettuale. Segev afferma che si tratta di “una storia, un mito, che è servito come pretesto per dar vita allo Stato d’Israele”.

Zand è stato attaccato, ma le sue tesi sono ancora valide?

Le conseguenze delle tesi di Zand si spingono oltre: “le possibilità che i Palestinesi siano i discendenti dell’antico popolo della Giudea, sono molto maggiori delle vostre o delle mie”, ha dichiarato allo Ha'aretz.  Secondo Zand, quindi, Israele dovrebbe essere un paese in cui tutti gli abitanti della “Palestina britannica” dovrebbero godere di uguali diritti e doveri, invece che essere uno stato “Giudaico e democratico”, come è definito oggi.
Come era prevedibile, le solite accuse non hanno tardato a colpire Zand. Ami Isseroff, scrivendo su ZioNation, il blog del movimento sionista israeliano, ha rievocato la solita immagine dell’Olocausto, accusandolo di offrire una “soluzione finale al problema israeliano”, nella quale “non c’è più bisogno di Inquisizioni, delle cariche dei cosacchi, di alcun forno crematorio o delle camere a gas”. Un altro ideologo militante ha definito il lavoro di Zand “l’ennesima manifestazione della confusione mentale che regna nel mondo accademico di estrema Sinistra in Israele”.
Questo genere di critiche imbottite di retorica vengono rivolte a ogni lavoro che coinvolge la vicenda Israelo-Palestinese, ma sono un fuoco di paglia facile da domare. In realtà, critiche più serie sono state mosse al lavoro di Zand.
In un’ampia recensione critica, Israel Bartal, Preside della Facoltà di Scienze Umanistiche presos la Hebrew University, ha attaccato la seconda tesi del lavoro di Zand, cioè che il mondo accademico sionista avrebbe riscritto la storia del Giudaismo, puntando sull’esilio e sulle conversioni forzate, per dare legittimità alla pretesa di istituire uno stato ebraico. La critica di Bartal si concentra sull’aspetto metodologico della ricerca di Zand, attaccandolo su alcuni punti, segno di un lavoro scrupoloso. Ma, curiosamente, nel difendere il mondo accademico israeliano, Bartal finisce col  sostenere la tesi più radicale del lavoro di Zand; infatti scrive: “Anche se il mito dell’esilio dalla patria del popolo ebraico (la Palestina) è diffuso nella cultura popolare israeliana, è irrilevante all’interno delle serie discussioni storiche del mondo accademico ebraico”. Poi aggiunge: “Nessun storico del movimento nazionale ebraico ha mai seriamente creduto che le origini del popolo ebraico siano etnicamente, o biologicamente, “pure””. Finisce sottolineando che “importanti gruppi all’interno del movimento sionista hanno più volte espresso riserve, o hanno negato del tutto, l’importanza di tale mito”.
Ancora scrive: “Per quello che ho potuto notare, il lavoro di Zand non presenta alcuna tesi innovativa, che non sia già stata avanzata” in studi precedenti. Segev ha aggiunto che “Zand non ha scoperto nulla con la (sua) tesi di laurea; 30 anni prima della Dichiarazione di Indipendenza , questi argomenti erano già stati sostenuti da David Ben-Gurion, Yitzhak Ben-Zvi e da altri”.
A questo punto si potrebbe affermare che questo antico mito della nazione israeliana in esilio, che è durato fino al suo ritorno a casa nel XX Secolo, sia poco importante; oppure, che stabilire se gli appartenenti al popolo ebraico condividano una comune ascendenza genetica, o siano solamente un insieme di persone che condividono la stessa religione, sia una cosa di poca importanza, visto che comunque una identità nazionale si è ormai formata, nel corso dei decenni. In realtà, il lavoro di Zand ricopre un ruolo centrale nel dibattito sul tema, e ha alcune importanti conseguenze all’interno dell’attuale conflitto tra Israele e Palestinesi.

Cambiano i termini della discussione?

La ragione principale della difficoltà nel discutere del conflitto tra Israeliani e Palestinesi è data dal lavoro svolto dai sostenitori del controllo di Israele dei Territori Occupati, compresa la Striscia di Gaza, che si trovano ancora sotto un’occupazione de facto, i quali fanno apparire il sostegno all’autodeterminazione del popolo palestinesi, come un desiderio di assistere alla distruzione di Israele, opponendosi così alla difesa dei diritti dei palestinesi, agitando lo spettro dello sterminio degli ebrei. Tipiche di questo atteggiamento, sono le reazioni alle proposte che vedono la creazione di uno stato singolo, come la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Fino a pochi anni fa, l’idea di uno “stato solo per due popoli”, in cui chiunque abiti in Israele e negli attuali Territori Occupati, abbia gli stessi diritti e doveri di fronte alla legge, era considerata sicuramente la soluzione più giusta da sostenere, anche perché  era una delle ipotesi prese in considerazione dalle Nazioni Unite, quando venne creato lo stato di Israele, negli anni ’40.
Ultimamente, però, l’idea di uno “stato per due popoli” è stata marginalizzata, e quasi abbandonata, con l’accusa che tale soluzione finirebbe col distruggere, teoricamente e fisicamente, Israele; senza dire, però, che così come è oggi, questo paese è un’entità politica basata su discriminazioni etniche e religiose, che hanno generato una classe di cittadini arabi di seconda classe, e che è responsabile di aver creato la più numerosa popolazione di rifugiati permanenti del mondo.
La logica conclusione del lavoro di Zand, il quale espone il mito fondante di Israele, è il far tornare l’idea di uno “stato per due popoli”  al centro del dibattito sulle sorti di questa controversa regione del mondo. Dopotutto, da un lato discute l’antica questione biblica su chi siano i “veri figli di Israele”; dall’altro, sottolinea gli aspetti comuni tra ebrei israeliani e musulmani palestinesi. Entrambi i gruppi, infatti, hanno diritto di vivere sulla stessa porzione di terra; entrambi hanno dovuto affrontare persecuzioni e l’esilio forzato, durante la loro storia; ed entrambi sostengono il loro diritto a “tornare a casa”.
A questo punto, se entrambi i popoli hanno comuni origini bibliche, viene da chiedersi perché mai i territori che componevano la Palestina sotto il controllo britannico, debbano restare il rifugio per le sole persone che credono a una stessa religione, invece che rappresentare uno stato in cui a ebrei e arabi sia garantita uguale protezione- gli stessi diritti di fronte alla legge di uno stato di cui non si metterebbe più in discussione, da parte di alcuno, la legittimità a esistere.
 
fonte: www.alternet. org/story/ 122810/

Traduzione: Manuel Zanarini