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E Marinetti disse: venite a fondare il Partito Futurista

di Vincenzo Trione - 24/03/2009

      
 
 
 
A partire da una lettera inedita di Filippo Tommaso Marinetti scritta nel 1915, Vincenzo Trione ricostruisce i rapporti, complessi e ambigui, che si stabilirono fra il fondatore del futurismo e il fascismo e, in particolare, con Benito Mussolini. Nel 1915 Marinetti espresse la necessità di fondare un Partito Futurista per passare dall’esperienza artistica all’azione politica. L’adesione di Marinetti al movimento fascista fu da subito ambivalente: in pubblico si diceva entusiasta, ma in privato esprimeva delle riserve su Mussolini, che considerava un trasformista. Marinetti rimase sempre fedele al regime, anche se cercò di ritagliarsi una posizione anarchica, polemizzando per la svolta razzista del ‘38 e per l’entrata in guerra al fianco della Germania nazista.

Effetì, ovvero Filippo Tommaso. Un personaggio contraddittorio, che attende ancora di essere «riconsiderato», al di là di tanti equivoci ideologici. È stato davvero un intellettuale organico, che ha rinnegato lo slancio degli anni giovanili per sposare la causa di una cultura reazionaria? Un cattivo maestro disposto a tradire i suoi ideali per rispondere alle richieste del regime? Forse, converrà muovere da un rilievo di Antonio Gramsci, il quale, in un articolo del 1921, sottolineava la carica «marxista» del pensiero del líder máximo del futurismo.
E se, dietro l’ortodossa adesione al fascismo, si nascondesse un’eresia? La tesi è storiograficamente provocatoria. Eppure, alcune tracce disperse sembrano andare proprio in questa direzione, disegnando i contorni di un ritratto segnato da ambiguità. Una mostra (F. T. Marinetti = Futurismo, curata da Luigi Sansone, al Palazzo delle Stelline di Milano fino al 7 giugno, catalogo Federico Motta) è un’occasione per ripercorrere un itinerario poetico ed esistenziale labirintico. In carrellata, quadri, caricature, versi, esercizi. E Bombardament d’Andrinople del 1913, la più grande tavola parolibera eseguita da Marinetti (finora inedita): una pioggia di sintagmi che simula i ritmi della guerra.
Due anni dopo. È l’inizio di una vicenda complessa, che potrebbe essere trattata come un soggetto cinematografico. I protagonisti di questa sorta di fiction, nella quale confluiscono attese e delusioni, sono le due «M»: Marinetti e Mussolini. Personalità che, per affinità e per calcolo, si trovano a compiere insieme un tratto di strada: leader carismatici, troppo ingombranti per riuscire a convivere. [...]
1915, dunque: primo fotogramma. In una lettera a Francesco Cangiullo, Mussolini — allora direttore del Popolo d’Italia — è tranchant. E, per la prima volta, descrive il futurismo in termini di moderato interesse: «Ne comprendiamo l’intima essenza e la magnifica forza, ma tutti i nostri sforzi tendono oggi all’azione». È il preludio all’avvicinamento, che avverrà nel 1919. Marinetti ribadisce subito la sua autonomia. E, in una lettera dell’11 gennaio (finora mai pubblicata), inviata a Facchi (l’editore di Democrazia futurista), indica una precisa strategia. Allude alla necessità di trasformare un’esperienza artistica in un fatto concreto. Parla del bisogno di dar vita a un partito Futurista, che sia affiancato da un giornale politico. Dichiara la necessità di predisporre una struttura organizzativa, ramificata sul territorio: i Fasci, che verranno guidati da futuri gerarchi come Giuseppe Bottai. Un analogo indirizzo sarà seguito da Mussolini, che il 23 marzo 1919 fonda i Fasci di Combattimento, in piazza San Sepolcro. Presente all’assemblea, Marinetti si dice poco entusiasta per una «tendenza troppo reazionaria».
Sin dall’inizio, il suo atteggiamento è ambivalente. In pubblico, pronuncia giudizi di apprezzamento. In privato — spesso in annotazioni diaristiche o in conversazioni salottiere — manifesta diffidenza. Dice di stimare il futuro Duce, che dal niente ha conquistato il potere, scardinato i socialisti e i liberali. È la perfetta incarnazione di alcuni miti avanguardisti: coraggio, attivismo, individualismo, modernità, patriottismo. E, tuttavia, questa fascinazione è attraversata da dubbi. Con ironia, nei taccuini, Marinetti vede nell’amico-antagonista un trasformista. Nel 1918 osserva: «Sento il reazionario che nasce in questo violento temperamento agitato da autoritarismi napoleonici e di nascente disprezzo aristocratico per le masse. Non è un gran cervello». Di questo traditore si colgono le debolezze più che l’autorevolezza: è un «autocrate prepotente». Un uomo geloso, «frenatore duro agitato». [...] Dietro queste battute, si nascondono divergenze. Da una parte, il disinvolto cinismo di Mussolini, che non esita a corteggiare i poteri forti (a cominciare dal Vaticano). Dall’altra parte, il radicalismo anti-monarchico e anti-clericale di Marinetti che, quando verrà a sapere della firma del Concordato, manifesterà sdegno e irritazione.
Siamo di fronte a un dialogo controverso. Da un lato, Mussolini: che vuole appropriarsi del futurismo per dare solidità culturale alla sua azione. Con abilità da tribuno, assimila ed esaspera lo stile incendiario dei marinettiani, impoverendo riti e liturgie. Guarda all’autore di Zang Tumb Tuum come a colui che ha offerto una spettacolarizzazione dell’arte e della politica. Dall’altro lato, Marinetti: che vorrebbe «servirsi» del Duce. Si accosta al fascismo perché crede che possa essere uno strumento per scuotere i conformismi. Poeta intento a diffondere nel mondo la missione dell’avanguardia, si impegna per impedire il ripiegamento del regime nell’anti-modernità. Vorrebbe rimanere fedele a se stesso pur nel rispetto delle regole, coniugando fronda e militanza. Resterà sempre un agitatore di coscienze, svincolato [...] dall’abbraccio soffocante delle convenzioni istituzionali. Anche quando accetta la nomina di Accademico d’Italia, è in buona fede: vorrebbe poter cambiare dall’interno le regole, «futuristizzando» l’Accademia.
Sono le illusioni di un sognatore in camicia nera. Che continua a credere in una sperimentazione perenne. Egli ha volontà di potenza: considera il fascismo solo come l’esito reboante della sua ideologia. Ma in alcuni momenti mostra una miopia che, secondo Renzo De Felice, gli impedisce di cogliere alcune incompatibilità. Il regime è l’opposto della democrazia auspicata dai futuristi; il totalitarismo è la negazione dell’antistatalismo; i compiti assegnati dal Duce agli intellettuali non hanno nulla di libertario.
In parte consapevole di queste dissonanze, Marinetti cerca di ritagliare per sé una posizione anarchica. Come rivelano alcuni documenti conservati all’Archivio centrale [...], approfittando della sua frequentazione con Mussolini e con il capo della Polizia Bocchini, interviene in favore di tanti perseguitati comunisti. Salva dal confino oppositori come Parri, che diventerà tra gli animatori della Resistenza, e artisti come Monachesi, Ricci, Sartoris, Peirce e Sassu. La sua indipendenza si può cogliere anche in alcune prese di posizione contro le derive del fascismo. Nel 1938 polemizza con Telesio Interlandi, direttore della Difesa della razza, che lo attaccherà parlando dell’arte contemporanea come di un male da estirpare. [...] L’eccessiva autonomia è vista come un pericolo. Lo testimoniano i rapporti di delatori e poliziotti che spiano l’irriverente Marinetti. Il quale, si legge in una relazione del 1930, in una casa milanese si pronuncia «contro il regime e se tace lo fa per amicizia col Duce».
È, questa, la storia di un eretico, che non si farà mai irreggimentare. Un irregolare che partecipa alla Repubblica di Salò, ma polemizza per l’entrata in guerra al fianco della Germania. Il suo viaggio attraverso la dittatura è stato forse scandaloso, ma sempre improntato a una lealtà incondizionata. Una virtù difficile da riscontrare nei tanti «redenti», che dopo il 1944 non esiteranno a passare dalla parte dei vincitori. Dietro queste oscillazioni, si cela un desiderio. Quello di costruire un partito personale: anti-politico, dinamico, capace di districarsi nei «domini infiniti della pura fantasia». Non ancorato alla realtà, ma proiettato verso l’utopia, lontano da ogni autoritarismo. In un articolo del novembre 1922, Marinetti l’antifascista scrive: «Distruggete, annientate la politica, che opaca ogni corpo. È una lebbra-colera-sifilide tenacissima».