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La crociata Santanché

di Alessandra Colla - 10/11/2009

Ma non sarà che porto sfiga?!?
Cioè, non faccio in tempo a scrivere quello che ho scritto su Garnero in Santanché,
giovedì scorso, che la medesima appena ieri trac!… mi vien fuori a Canale 5 che Maometto era pedofilo. Chissà se la signora le pensa tutte da sola, certe cose, o se può contare su un suggeritore occulto come ai tempi in cui recitava da ducia della Destra, Evita de noantri acclamata da tanti fieri anticomunisti e bravi ragazzi un po’ (troppo) idealisti — ciò che andò e ancora va a disdoro della destra in senso lato, o forse a conferma della triste deriva di quella parte… altro discorso.
Adesso mi auguro che tutti, ma proprio tutti gli islamici d’Italia si dimostrino superiori e non raccolgano tanta pochezza — la quale però non va dimenticata. Come non va dimenticato chi è la signora in questione, altrimenti si finisce per ripetere qualche errore del passato: e per aiutare certe labili memorie, riporto qualche brano illuminante da un libro di Gianantonio Stella, Chic. Viaggio tra gli italiani che hanno fatto i soldi (Mondadori, Milano 2000). A quanto so, l’autore non è stato querelato per quello che ha scritto. Divertitevi, come a suo tempo mi son divertita io.




Ferrari mignon per Lorenzino il Magnifichino

 

Bacini, bacini, bacini: «Cariiiino! Guarda cosa ti ha regalato la mamma…». E dal pacco, enorme, tra gridolini di meraviglia degli astanti, tutti rigorosamente imberrettati con un cappellino timbrato «Lorenzo» (c’è una collezione: Lorenzo 97, Lorenzo 98, Lorenzo 99…), viene fuori, rossa, lussuosa, sfolgorante, una Ferrari fatta fare su misura precisa identica a quella dei grandi. E tutti in coro: «Bruum! Bruum!». L’automobilina giusta perché Lorenzo Santanché, vestito come un piccolo lord, prenda gusto già da infante al destino che mammina ha ritagliato per lui: Protagonista del jet set.

Che debutto, il debutto in società di Lorenzino il Magnifichino! Tutte le estati, da quando è nato offre, la notte di san Lorenzo, onomastico che gentilmente si presta a cadere il 10 agosto nel pieno della stagione vip in Costa Smeralda, un ricevimento mondano organizzato dalla mamma press agent: la sfavillante Daniela Garnero (fu) Santanché. Che fasciata in sobri pantaloni piumati o «impanata nei glitters dalla testa ai piedi», come ha scritto la velenosissima Beatrice Moss (sotto il cui nome si cela Marella Giovannelli), dopo essere via via diventata l’astro rampante della mondanità cuneese, gianduia, padana, italica, europea e mondiale, ha ora qualche modesta ambizione galattica.
Il trionfo, costruito tramezzino su tramezzino, montblanc su montblanc, bavarois su bavarois fino ai faraonici gala per 500 persone col catering fatto venire apposta da Milano, è arrivato l’ultima notte di san Lorenzo del secondo millennio. Quando Daniela, sentendo ormai troppo stretto il mondo di Porto Cervo e Porto Rotondo, stracolmo di portoghesi e di donne che lei non sopporta, cioè le arrampicatrici sociali che si intrufolano dappertutto («Ma per la caritàà! Ma per la caritàà!» sospira sempre aggiungendo un articolo e un accento per sottolineare il suo disgusto), ha deciso di tagliar corto.
E così, scartata l’ipotesi di dare il suo party nella villa sul mare affittata a Cala di Volpe, con sei camere, sette bagni, saloni e giardino, ha invitato gli amici (solo quelli stretti: 280) sulla francese isola di Cavallo. Sperando di raggiungere due obiettivi. Primo: l’eliminazione dei soliti imbucati, vi sto che per arrivare sul posto ci voleva la barca e per di più, quella sera (mare forza sette), uno yacht dei più seri. Secondo: il rimorchio, tra Alberto Tomba e Corinne Cléry, Piero Chiambretti e Paolo Cirino Pomicino («Un politico straordinario» dice, trionfatore al festival canoro organizzato sempre da lei per il Capodanno ‘99), di qualche testa coronata in vacanza da quelle parti al traino di Vittorio Emanuele.
Con i rimorchi, del resto, la signora fu Santanché ha una certa dimestichezza. Prima di sbarcare a Torino per prendere la laurea in Scienze politiche (pare: ma ormai come in tutte le leggende metropolitane c’è chi favoleggia d’una laurea in Legge, chi in Psicologia…), era infatti cresciuta a Cuneo, dove era segretamente innamorata di Flavio Briatore («È bello, intelligente, miliardario: aereo privato, barca di 40 metri, le case più belle del mondo. Non ce ne sono tanti di uomini così») e dove il papà mandava avanti una ditta di trasporti. Fu allora che decise: «Io andrò lontano». E quando dice «io», Daniela lo dice con la serena consapevolezza di sé che potrebbe avere, come sottolinea Giancarlo Perna, l’imperatrice Teodora. Basta ascoltare come si presenta: «Sono Daniela Garnero Santanché, ho un’anima, un cuore e plasmo gli eventi in sintonia con la mia personalità».
Voleva essere come quelle donne di cui parlava Camilla Cederna, «le signore che Irving Penn fa posare su “Harper’s Bazaar” o su “Vogue”, quelle che danno il nome a una rosa, […] che sono forse cleptomani ma possiedono collane così belle che gli agenti le seguono ai balli, che si comperano da Dior perfino le calze, che hanno bambini bilingui a due anni» e che «se sono in lutto si guarniscono soltanto con brillanti e perle nere (perle grigie se la morta è una cugina)». Essere citata «tra le zarine della vita mondana», quelle che «parlano in francese al cane, hanno un fantasma nel castello, un vecchio zio che suona l’arpa, un bassotto tedesco con un albero genealogico ramificato almeno come quello del loro trumeau del Settecento o di Anxiety II, la mucca numero uno della loro fattoria» e vanno «a caccia dell’orso bianco al Polo Nord, oppure in Finlandia a rincorrere il bue muschiato».
Sbocciò dal nulla, una sera di diversi anni fa, al fianco di Paolo Santanché, allora giovane chirurgo plastico che cercava, un lifting qua, una liposuzione là, di farsi strada nel bel mondo della Milano da bere. «Più che un matrimonio era una società» ha scritto Lina Sotis. Daniela tirava la corsa a lui, «dicendo di essere rifatta anche se non si era mai sottoposta a ritocchi», lui tirava la corsa a lei. Due cene con tavolo ristretto la settimana e una con un’ottantina di ospiti al mese, estate in villa a Porto Raphael, grandi partite a carte con Marta Marzotto e Ivana Trump, con le quali condivide la passione per il gin rummy, l’ambizione e il percorso dalle origini modeste alla high society. E feste grandiose, titola «Novella 2000» adottandola tra le sue predilette, con caviale e «champagne come se piovesse».
«Tutto in lei è esagerato» scrive la Sotis facendola caramente a fette. «La gonna troppo stretta o troppo lunga, la matita che ricalca le labbra troppo scura, i suoi amici troppo ricchi.» Tra le febbrili attività che segnano le tappe della sua scalata mondana («Non vado quasi mai a letto prima delle cinque di mattina») c’è Solidarietà 2000. Una società che, presieduta da una battagliera protagonista dei diritti civili extralux quale la sua amica Naomi Campbell, si occupa di carcerati, emarginati, disabili… Un’umanità di poveretti aiutati con sfavillanti gran gala. Come quello messo a punto alla Villa Reale di Monza: 500 mila lire per cenare, 100 mila supplementari per partecipare al ballo. Il tutto grazie a Dani Comunicazione, la società di pubbliche relazioni messa su dalla signora.
Separata dal marito, che secondo i giornali popolari «si è rifatto subito alla grande con la piccante showgirl Terry Schiavo» e che le avrebbe concesso una buonuscita di 1 miliardo e mezzo più la possibilità di continuare a usare il prezioso cognome, Danielina non si è persa d’animo. Adocchiato un industriale farmaceutico che faceva al caso suo, Canio Mazzaro, amministratore della Pierrel, l’ha agganciato ed è ripartita: una cena a Montecarlo, un brunch a Cannes, un ballo a Capri, un party a Portofino, un bagno a Cala Galera… Due cene la settimana ristrette, una festa al mese allargata… E nuova casa in Sardegna, nuovi gioielli, nuova barca (Dany & Co.) con tre persone di servizio per sostituire la vecchia, che portava il nome di Bisturi.
«Mizzica, nata per fare politica sei» le consiglia un giorno Ignazio Benito Maria La Russa, avvocato, già vicepresidente della Camera, che in nome di Gianfranco Fini e della destra missina, di cui papà Antonino è stato anche senatore, è in missione da anni, notte dopo notte, per reclutare giovani simpatizzanti, preferibilmente fimmine, in discoteche, night, piano bar, coffee club, tabarin e cabaret. […] Poteva Daniela non fidarsi di uno così? Uno descritto da Heather Parisi come «un giudice dell’Inquisizione, però gaudente»? Dal fiuto così impareggiabile da dichiarare: «Forse a destra non abbiamo un Bobbio, ma è perché i nostri non hanno potuto crescere. Beppe Nanni, per esempio, assessore alla Cultura a Segrate, ha solo bisogno di tempo»? Uno che per fare le campagne elettorali organizza feste all’«Old Fashion» per 3 mila persone? Detto e fatto, incoraggiata pure da una dedica di Andreotti che su un libro le ha cavallerescamente scritto «A Daniela, il futuro della politica», accetta. Spirito di servizio: «Debutto a modo mio. Farò una campagna glamour: foto dei manifesti di Bob Krieger, feste pazzesche, comunicazione sempre divertente del mio programma. Alleanza nazionale nel mio collegio ha il 16,8, io voglio il 18: corro per stravincere».
E vince davvero. Prima fra gli eletti di An. Alla faccia di chi diceva che era solo una strafottente presuntuosa, tanto gonfia di se stessa da liquidare in un’intervista a «Panorama» l’assessore alla Moda Serena Manzin, della quale era consulente, così: «Quando il Polo e Albertini vinsero a Milano, ci fu la spartizione degli assessorati e per An c’era questa Manzin all’Economato, alla Moda, agli Eventi. La parte politica che prende le decisioni mi ha chiamato per una consulenza all’assessorato. Non conoscevo la Manzin e lei non conosceva nulla della moda: si è affidata totalmente a me, perché è una donna intelligente e ognuno deve essere cosciente dei propri limiti. La Manzin esiste perché c’è la Santanché».
Finalmente capitano anche a lei, scrive ancora Camilla Cederna a proposito della «sua» anonima arrampicatrice sociale, vent’anni prima del trionfo di Daniela, «le cose elegantemente stravaganti che una volta capitavano soltanto agli invidiati personaggi del “mondo”. Il suo cuoco ha la faccia da ambasciatore; la sua cagnolina va soggetta a gravidanze isteriche e pare che pianga ai film gialli; il suo protetto sarà presto un barbuto missionario del Catanga che le è stato presentato da una baronessa; lei non fa più indigestioni, ma se sta poco bene è per disturbi allergici da caviale». Adesso «si sveglia in francese tre volte alla settimana, perché arriva a strizzarle i fianchi il massaggiatore di Vichy, finalmente è riuscita a scambiare qualche parola con l’ambito lion della società miliardaria, ha conosciuto la bellissima pallidona che vive di elettroshock e di grissini, ha stretto la mano al biondo raffinato che risulta l’uomo meglio mantenuto d’Europa».
Più su, più su, più su. «Come mai non fa l’assessore?» le chiedono mentre parcheggia la sua Aston Martin («nascondere la propria ricchezza è un conformismo da Prima Repubblica») davanti al palazzo della Provincia. E lei: «Non mi interessava. Le dirò, il partito voleva candidarmi alle Europee, ma è roba per vecchi. Preferisco questa esperienza perché voglio diventare deputato e poi ministro». Ma va? «Sì, voglio il posto della Melandri. Ma lei l’ha vista? Non è attuale. È antica, per la carità!» Tutte le donne di sinistra, del resto, «non sfilano perché sono brutte. Non si mettono neppure la gonna con gli spacchi per paura di sembrare meno intelligenti».
Ogni cosa a suo tempo, però: adesso c’è da pensare al piccolo Lorenzo. Un cucciolo che, con quel po’ po’ di avvenire che si ritrova, ha bisogno di stare al caldo. Con uno scialle di shahtoosh come quello che mammina gli ha regalato per il compleanno. Certo, essendo le antilopi tibetane ormai in estinzione, visto che per derubarle del pelo occorre ammazzarle, le preziose sciarpine sono proibitissime. Ma cosa non farebbe una mamma «con un’anima e un cuore» per il suo bambino?
[…]