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Libano, alla prova l’autorità di Hariri

di Cecile Hennion - 11/11/2009



Beirut - Ci sono voluti cinque mesi al primo ministro libanese, Saad Hariri, per venire a capo dei tanti ostacoli e divergenze politiche che hanno intralciato la formazione del suo governo. Mentre molti in Libano non osavano più sperarlo, le interminabili consultazioni sulla ripartizione, tra maggioranza e opposizione, degli incarichi ministeriali hanno finalmente ottenuto un esito.
 
È con sollievo che il Paese ha accolto, martedì 10 novembre, l’annuncio del primo ministro. "Finalmente il governo di unità nazionale è nato. Apriamo una nuova pagina - ha dichiarato in maniera solenne Saad Hariri - Questo governo rispecchia il Libano attuale. Agli occhi di qualcuno, può sembrare riflettere le differenze confessionali e politiche, ma noi dobbiamo provare al mondo interno che esso è, per i libanesi, l’immagine veritiera dell’intesa nazionale".

Riavvicinamento tra Siria e Arabia saudita

Il principale ostacolo era stato eliminato il 6 novembre scorso, quando i leader dell’opposizione avevano dichiarato di avere accettato l’ultima proposta di Hariri. Riuniti in un luogo tenuto segreto a causa della presenza di Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah su cui Israele ha messo una taglia, avevano detto di essersi messi "d'accordo sulla formazione di un governo di unità nazionale".

Questo accordo ha beneficiato anche del recente riavvicinamento tra Siria e Arabia saudita, due Paesi considerati influenti nel Paese dei cedri e che sostengono rispettivamente l’opposizione e la maggioranza libanese. Secondo il quotidiano panarabo Al-Safir, i contatti tra le due potenze regionali rivali si sono moltiplicati di recente, ciascuna chiedendo all’altra di utilizzare la propria influenza per mettere termine alle querelle politiche libanesi e tentare di fermare una crisi arrivata a minacciare la stabilità del Paese.

L'annuncio della formazione del governo ha anche fatto seguito alla visita, il 4 novembre, del ministro degli Esteri siriano Walid Moallem in Iran, altro "sponsor" regionale del Libano in virtù della sua stretta relazione con Hezbollah. In tale occasione, l’Iran e la Siria hanno sottolineato la necessità per il Libano di di arrivare a una soluzione "il più rapidamente possibile".

Nel 2008, gli ostacoli politici e la paralisi istituzionale libanese erano degenerate in dei combattimenti armati a Beirut e in diverse altre città, causando un centinaio di morti.

Ancora oggi, il timore di una riedizione di questo scenario catastrofico è vivo nell’animo delle persone. In seguito agli accordi firmati a Doha, in Qatar, dopo quei sanguinosi scontri, le elezioni politiche del giugno 2009 dovevano aprire la strada alla riconciliazione palestinese. Ma le trattative senza fine per la costituzione del governo, inframmezzate da insulti e minacce, hanno messo in luce quello che in molti sospettavano, vale a dire che le profonde divisioni non potevano cicatrizzarsi solo in virtù di un passaggio alle urne.

Formidabile mezzo di pressione

Questo lungo periodo di ritardo ha inoltre indebolito l’autorità e ha arrecato un duro colpo all’immagine di Saad Hariri, proprio mentre il giovane politico ha l’oneroso compito di riprendere la strada tracciata dal padre, l’ex primo ministro Rafiq Hariri, assassinato a Beirut il 14 febbraio 2005. La statura del presidente della Repubblica, Michel Suleiman, che era stato investito dalla comunità internazionale come arbitro delle dispute libanesi, ha patito allo stesso modo di questi cinque mesi di polemiche.
La fiducia dei libanesi in un futuro sereno ne è stata significativamente consumata.
Perché, se anche è stato formato il governo, resta ancora da governare il Paese. I rischi di vedere riaffiorare le divergenze restano. "Guidare questo governo sarà un’altra tappa della via crucis di Saad Hariri", prevede Marwan Hamade, deputato della maggioranza, lui stesso vittima di un tentativo di omicidio nel dicembre 2004.

Secondo una caratteristica tutta libanese, la composizione del governo non riflette il risultato delle elezioni. In un Paese in cui il sentimento di appartenenza confessionale continua a prevalere sulla dimensione di identità nazionale, la maggioranza elettorale non pesa molto se non è affiancata dalla maggioranza delle comunità.

Malgrado la sua vittoria alle elezioni politiche, il Movimento del “14 marzo” guidato da Saad Hariri è stato costretto a lasciare dieci dei trenta ministeri all’opposizione, che rappresenta insieme la comunità sciita e la maggioranza dei cristiani maroniti. Comunità che era impossibile ignorare, e che dispongono di un mezzo di pressione formidabile: l'arsenale militare di Hezbollah, più potente e più efficace dell’esercito regolare libanese.

(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)
Le Monde, 11 novembre 2009