Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La Porta eburnea e la Porta cornea, vie d'accesso ai sogni fallaci ed ai sogni veridici

La Porta eburnea e la Porta cornea, vie d'accesso ai sogni fallaci ed ai sogni veridici

di Francesco Lamendola - 04/12/2009


Nel loro ultimo, commovente colloquio prima del riconoscimento finale e della strage dei Proci, Penelope racconta ad Ulisse, presentatosi alla reggia di Itaca in veste di mendicante straniero, un sogno da lei fatto riguardante gli eventi futuri; ma aggiunge che non a tutti i sogni bisogna prestare fede, poiché ve ne sono di veridici e di ingannevoli.
Inoltre, aggiunge una informazione che, da sempre, ha lasciato perplessi i lettori di Omero, anche se ha trovato fortuna presso alcuni importanti autori dell'antichità: sostiene che le porte di accesso dei sogni all'animo umano sono due, l'una d'avorio, l'altra di corno; la prima riservata ai sogni ingannevoli, la seconda ai sogni veraci («Odissea», XI, 560-568; traduzione di Mario Giammarco, Roma, Newton & Compton Editori, 1997):

«Ospite, sono vani i sogni e alcun fondamento
non hanno; così non tutto si avvera agli uomini poi.
Due sono le porte dei sogni inconsistenti:
una è di corno, l'altra d'avorio; i sogni che passano
attraverso l'avorio segato sono fallaci, portando
vane parole; invece quelli che vengono fuori
attraverso la porta di lucido corno presentano
cose vere, ogni volta che uno li abbia sognati.
Ma credo che non a questa a me venne il terribile sogno.»

I sogni veritieri sono tali perché vengono mandati agli uomini direttamente dagli dei, che conoscono ogni cosa, compreso il loro futuro; quelli falsi non si sa esattamente donde provengano, se da vana immaginazione o da demoni maligni e ingannatori. Secondo Virgilio, essi provengono dai Mani, ossia dalle anime dei defunti.
Né risulta chiaro perché la porta d'avorio sia riservata a questi ultimi, mentre quella di corno consenta il passaggio di quelli veritieri; è una questione che si presta a molte congetture, più o meno fondate, ed è complicata ulteriormente dal fatto che quella precisazione, nel contesto del colloquio fra Penelope e Ulisse, suona a dir poco superflua. Ritorneremo sulla questione; per intanto, gettiamo uno sguardo sulla tradizione letteraria fiorita dai versi omerici.
Sono almeno tre gli autori classici che hanno ripreso questa tradizione relativa alla duplice porta del mondo sei sogni: un grandissimo filosofo greco, Platone, e i due sommi poeti della latinità, Orazio e Virgilio; vediamo i passi relativi.
Platone, nel «Carmide» (173 a; traduzione di Umberto Bultrighini, in: Platone, «Tutte le opere», Roma, Newton & Compton, 1997, vol. 3):

«"Ascolta dunque - continuai - il mio sogno, sia esso venuto attraverso la porta di corno o attraverso quella di avorio.»

Altrettanto fugace l'accenno di Orazio, nelle «Odi» (III, 27, 41; traduzione di Mario Ramous, Milano, Garzanti, 1986), che fa dire ad Europa:

«…Piango insonne
la mia vergogna o di me, pura d'ogni macchia,
si prende gioco un'ombra
vana che, fuggendo dalla porta d'avorio,
mi crea un sogno?…»

Infine Virgilio, nell'«Eneide», narrando la discesa agli Inferi di Enea e della Sibilla Cumana, racconta come, per ritornare nel mondo dei vivi, l'eroe troiano e la sua guida si trovino davanti alle due Porte dei Sogni; e, particolare che ha dato parecchio da pensare agli studiosi, escono passando per la Porta eburnea, vale a dire per quella dei sogni fallaci.
Così il sommo poeta latino descrive la scena (VI, 803 sgg.):

«Sunt geminae Somni portae; quarum altera fertur
cornea, qua veris facilis datur exitus umbris,
altera candenti perfecta nitens elephanto,
sed falsa ad caelum mittunt insomnia manes.
His ibi tum natum Anchises unaque Sibyllam
prosequitur dictis portaque emittit eburna.»;

ed ecco la traduzione italiana di Enzio Cetrangolo in: Virgilio, «Tutte le opere», Firenze, Sansoni, 1993. Pp. 521-23).

«Due sono le porte del Sonno: una è di corno
da cui escono facili l'ombre che portano i sogni
veri, l'altra di nitido avorio  da cui mandano i mani
i sogni falsi nel mondo. Anchise va dietro al figliuolo
e alla Sibilla ancora parlando e infine li lascia
su la porta d'avorio.»

Una possibile spiegazione del fatto che Enea esce dai Campi Elisi e ritorna nel mondo dei vivi per la Porta d'avorio è in relazione con il momento della notte in cui la scena si svolge, dato che, per gli antichi, i sogni fallaci erano quelli che si fanno prima della mezzanotte, mentre quelli destinati ad avversarsi si presentano dopo la mezzanotte.
Fra parentesi, vi è qui una curiosa analogia con la credenza relativa alle tecniche di respirazione taoiste, secondo cui l'aria che si inspira dal mezzogiorno alla mezzanotte è impregnata di energie negative, mentre sono positive le energie presenti in essa fra la mezzanotte e il mezzogiorno successivo.
Anche Dante, del resto, si fa tramite di una credenza medievale, secondo la quale i sogni della seconda parte della notte sono veritieri; il che sottintende che quelli delle prime ore notturne non lo siano («Inferno», XXXVI, 7):

«…ma se presso al mattin del ver si sogna…»

Tornando all'uscita di Enea dall'Averno passando attraverso la Porta dei sogni falsi, ossia quella d'avorio, così si esprimono L. Bianchi e V. Mistruzzi (Virgilio, «Eneide», Bologna, Zanichelli, 1975, p. 319):

«È un passo variamente interpretato e sempre dubbio. Forse una qualche probabilità ha l'ipotesi che qui Virgilio voglia precisare l'ora in cui Enea uscì dagli Inferi. E poiché è detto che uscì per la porta dei sogni fallaci, i quali, nella credenza degli antichi, si hanno prima della mezzanotte, può darsi che prima di tale ora abbia voluto farne uscire l'eroe. Senonché non si comprende per quale ragione il poeta, così avaro di precisazioni, abbia sentito il bisogno di farne una propria qui.»

Una spiegazione più convincente, a nostro avviso, è quella avanzata da Adriano Bacchielli (Torino, Paravia, 1976, pp. 248, 283-84):

«…Poi, essendo due le porte del sogno, una di corno (donde escono le ombre vere), l'altra d'avorio (quella dei sogni falsi) fa uscire Enea da quest'ultima, affinché il ricordo di ciò che ha visto rimanga in un vago e incerto e, nel fondo del suo cuore, restino solo il desiderio di una grande gloria e la fede negli immancabili destini della sua gente. […]
Lo scopo del viaggio nell'oltretomba è appunto questo: la rassegna dei futuri condottieri romani che infiammerà Enea all'idea della futura gloria e lo renderà spiritualmente più forte ad affrontare ogni pericolo. Del viaggio tuttavia, come si spiegherà alla fine del presente libro [cioè il sesto del poema], Enea non conserverà alcun ricordo: resteranno solo vaghe impressioni e, per esprimerci con un concetto tutto moderno, vive e operanti solo nel suo subcosciente. Se così non fosse stato, Enea non avrebbe avuto alcun merito de rischi e delle battaglie che affrontò e vinse contro i nemici del Lazio.»

Tornando alla tradizione omerica, che è la più antica e che raccoglie certamente una credenza ancora più remota, dicevamo della stranezza del modo con cui Penelope introduce l'argomento delle due porte dei sogni.
Ha osservato in proposito il filologo classico Athos Sivieri («Odissea», Firenze, Casa Editrice G. D'Anna, 1959, p. 432):

«Dalla porta di lucido corno escono invece i sogni veraci che annunciano effettivamente il futuro e l'uomo non li osserva mai invano, perché sempre si verifica quello che essi lasciano prevedere. Il passo originale greco è a questo punto ricco di giochi di parole, che difficilmente potrebbero essere resi in una traduzione italiana; si tratta, anche, di un luogo ritenuto interpolato in quanto sarebbe una inutile digressione, sulla cui utilità e praticità a questo punto si potrebbe veramente discutere. Ma gli antichi lo ebbero più volte presente, non solo il greco Platone nel suo "Carmide", ma anche Orazio e Virgilio…»

Sia come sia, la credenza dei Greci del tempo di Omero doveva essere questa; non si comprende, altrimenti, perché il poeta avrebbe dovuto inventarsi un simile particolare, oltretutto mettendolo in bocca a Penelope nel corso di un intenso e struggente colloquio col marito che ritorna, sotto mentite spoglie, dopo vent'anni di assenza dalla sua patria.
Proviamo ora a tirare le somme circa le idee che avevano gli antichi nei confronti dei sogni, sviluppando la concezione espressa da Omero e ripresa da Platone e da altri, anche nell'ambito della cultura romana.
Innanzitutto, l'atteggiamento dell'uomo antico nei confronti dei sogni non era affatto credulo e sprovveduto, come qualche moderno ha ritenuto di poterlo dipingere; al contrario, dalle parole di Penelope traspare una profonda diffidenza nei confronti di quanti si affidano ingenuamente al valore predittivo di essi.
I Greci, come si é visto, distinguevano il sogno veridico, «hypar», ovvero «visione reale», che prefigura gli eventi prossimi a realizzarsi, dal sogno fallace e illusorio, «ónar». Il primo genere, a sua volta, si distingueva in «enypnia», provocati da residui della vita diurna, e «phantasmata», ossia le visioni distorte che si manifestano nello stadio intermedio fra la veglia e il sonno.
Il secondo genere, a sua volta, si distingueva in «óneiroi», che necessitavano di una spiegazione simbolica; «horámata», vere e proprie visioni profetiche; ed infine «chrematísmata», che erano dei consigli inviati da un Dio al dormiente. È noto, poi, che per ricevere sogni rivelatori del proprio futuro, i fedeli di una divinità frequentavano il suo santuario e vi trascorrevano la notte, fiduciosi che il sonno avrebbe portato loro la desiderata rivelazione.
Il sonno medesimo era venerato come un dio, Hypnos; e non era sempre un dio benevolo, così come non sempre lo era presso i Romani. Ancora nell'«Eneide», vediamo il Sonno agire con intenzione maligna verso gli umani, causando la tragica morte del fedele timoniere della flotta troiana, Palinuro, di nulla colpevole verso di lui.
Inoltre, anche quando il sonno portava sogni veridici, non sempre era agevole la loro interpretazione; proprio come per gli oracoli, essi erano caratterizzati da un alto grado di ambiguità, ciò che veniva ritenuto come una caratteristica specifica del linguaggio divino. Proprio come gli dei non possono rivelarsi interamente ai mortali, perché questi ultimi ne resterebbero folgorati; allo stesso modo essi non possono esprimersi in maniera troppo esplicita, e sia pure nell'ambito del sogno, ma velare, in qualche modo, la verità che intendono comunicare.
A volte sono i Penati, le divinità della famiglia e dello Stato, ad apparire agli uomini durante il sonno: così avviene ad Enea durante la stanza della flotta troiana nell'isola di Creta, allorché l'eroe viene informato che l'«antica madre» del popolo frigio, verso la quale occorre dirigere le vele, non è altro che l'Italia e, precisamente, la regione del Lazio, alla foce del Tevere.
Inoltre, talvolta gli dei inviano ai mortali dei sogni che non sono deliberatamente falsi, ma neppure predittivi, come nel caso di Nausicaa, cui Atena suggerisce, in sogno appunto, di recarsi a lavare i panni sulla spiaggia dell'isola, facendole intravedere la possibilità di prossime nozze felici, ma in realtà al solo scopo di agevolare l'accoglienza di Ulisse, naufrago sull'isola dei Feaci. La fanciulla s'illude e accoglie Ulisse con la massima ospitalità; ma Ulisse, che sempre ha in mente Penelope, non pensa di certo a sposarla, realizzando le sue ingenue aspettative di fanciulla.
Anche nell'Antico e nel Nuovo Testamento i sogni svolgono un ruolo notevole nel fornire agli esseri umani conoscenze che essi non potrebbero attingere con mezzi ordinari, ivi compresa la visione del futuro, come per i sogni del Faraone, spiegati da Giuseppe. Peraltro, mentre nel Nuovo testamento si fa capire chiaramente che certi sogni vengono dal Cielo, come quello che ammonisce i Re Magi a non passare da Erode dopo aver trovato il Divino Fanciullo, per quelli dell'Antico ciò avviene in alcuni casi, come nel sogno della scala celeste di Giacobbe, mentre in altri la questione della loro origine rimane indeterminata.
Accanto ai sogni, poi, vi sono le visioni, le voci, i suoni, i profumi provenienti dall'altra dimensione, che, spesso, scelgono le ore notturne per manifestarsi. Sappiamo, ad esempio, che la presenza di certe persone, di certi santi, è associata all'effondersi di un determinato profumo, che si rende percepibile anche a distanza di anni dalla morte dell'interessato. Sappiamo anche di musiche stupende, celestiali, che si sono rese udibili in circostanze particolari, ad esempio al momento del trapasso di certe persone (e Goethe fu una di esse). Molti casi del genere sono documentati nella letteratura parapsicologica, e una casistica interessante si trova citata nelle opere di Leo Talamonti, specialmente «Universo proibito» e «La mente senza frontiere».
In ogni caso, per gli antichi il sogno non era soltanto il frutto di un'attività soggettiva della mente assopita; ma era anche il veicolo di un messaggio proveniente dall'alto, di una verità superiore inviata dalla divinità.
Resta da vedere se la concezione moderna, e specialmente quella psicanalitica, siano poi davvero di tanto superiori e di tanto più vicine alla realtà - come esse fermamente credono - rispetto a quella degli antichi, ed anche, sia detto fra parentesi, rispetto a tutte le culture tradizionali e soprattutto quelle a base sciamanica ed animista.
Il paradigma culturale della modernità, basato sull'idea che il sapere si accumula di generazione in generazione, dà per scontato che il sapere odierno non può che essere in tutto superiore a quello degli antichi, giudicato, al confronto, primitivo ed ingenuo. Ciò vale per ogni aspetto della realtà, comprese le scienze umane, dalla psicologia alla sociologia, all'antropologia; e l'interpretazione dei sogni rientra in tale prospettiva.
E tuttavia, se noi moderni ci sbagliassimo?
Se la verità fosse che noi, e proprio noi, a dispetto di tutta la nostra scienza razionalista e materialista, o forse proprio a causa di essa, avessimo smarrito la chiave di accesso al mondo dei sogni, la chiave d'argento che, invece, tutti i nostri antichi progenitori possedevano fin dalla nascita, pur non avendo approfondito particolarmente gli aspetti teorici di esso?
Se la verità fosse che noi ci siamo allontanati dalla retta interpretazione del fatto onirico, non per altra ragione che per un pregiudizio scientista, in base al quale non esisterebbe una dimensione invisibile della realtà, una dimensione soprannaturale; e dunque non esisterebbe neppure la possibilità che dal mondo degli spiriti ci giungano, in sogno, quei messaggi e quelle verità che la nostra coscienza desta non sarebbe in grado di capire, né di accettare?
Se così fosse, allora bisognerebbe riconoscere che non di un progresso dell'umanità moderna si deve parlare, bensì di un regresso; che abbiamo imparato molte cose, ma dimenticato l'essenziale; che ci crediamo tanto sapienti ed evoluti, mentre siamo come dei bambini che balbettano e parlano a vanvera di cose che non sono nemmeno in grado di capire.