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Pechino a tutto gas

di Michele Paris - 27/12/2009

 

La recente inaugurazione di un gasdotto che collegherà la Cina occidentale con il Turkmenistan è solo uno degli ultimi sviluppi dell’accesa disputa in corso tra le varie potenze mondiali per il controllo delle risorse naturali in Asia centrale. Il nuovo impianto, lungo oltre 1.800 km, entrerà a regime tra il 2012 e il 2013 e trasporterà annualmente 40 milioni di metri cubi di gas naturale - vale a dire circa la metà dell’attuale consumo totale cinese - attraverso il Kazakistan e l’Uzbekistan fino alla provincia dello Xinjiang, da dove verrà poi distribuito in altre 14 province dello sconfinato paese.

L’importanza strategica dell’accordo di fornitura è stata sottolineata dalla presenza alla cerimonia inaugurale presso il sito di Samandepe del presidente cinese, Hu Jintao. Secondo uno schema consolidato in altri paesi ricchi di risorse naturali, Pechino contraccambierà la possibilità di accedere alle riserve energetiche turkmene con la costruzione d’infrastrutture e la concessione di prestiti a tasso agevolato alle repubbliche centro-asiatiche. Con tutta l’intenzione, da parte della Cina, di estendere la propria influenza in un’area cruciale del pianeta, caratterizzata dalla presenza d’ingenti quantità di petrolio e gas naturale.

Fino al suo crollo nel 1991, era stata l’Unione Sovietica ad aver mantenuto in Asia centrale un dominio assoluto tramite una fitta rete di “pipeline”. Negli ultimi anni, tuttavia, Mosca ha visto crescere una seria minaccia al proprio monopolio sia da parte dell’Europa e degli Stati Uniti che dalla Cina. La costruzione pianificata da tempo del gasdotto “Nabucco” dovrebbe infatti rifornire i paesi europei passando attraverso l’Azerbaijan, la Georgia e la Turchia, riducendo la dipendenza proprio dalle forniture russe. La Cina, da parte sua, sta invece puntando sempre più sulle riserve di quest’area, nel tentativo di diversificare le forniture dall’Africa e dal Medio Oriente, costantemente esposte alla minaccia navale americana nell’Oceano Indiano.

Nonostante l’aggressiva mossa di Pechino in Turkmenistan s’inserisca precisamente in una disputa energetica tra quest’ultimo paese e la Russia, Mosca in realtà non sembra preoccuparsi più di tanto della Cina. La realizzazione del nuovo gasdotto sino-turkmeno, oltre a non avere effetti diretti sul principale mercato del gas russo - quello occidentale - produce d’altra parte un effetto gradito alla Russia: impedire l’accesso dell’Europa alle riserve del Turkmenistan. Infatti, secondo i piani dell’UE, i giacimenti di questo paese avrebbero dovuto contribuire in maniera decisiva ad alimentare il progetto “Nabucco”. Una prospettiva con ogni probabilità naufragata in seguito all’accordo appena stipulato con Pechino.

A mettere in difficoltà il progetto “Nabucco” d’altronde vi è anche, com’è noto, il cosiddetto South Stream, il gasdotto annunciato nel 2007 che consentirebbe a Mosca di mantenere il monopolio delle forniture di gas all’Europa, passando attraverso il Mar Nero e la Bulgaria. Allo stesso modo, gli altri paesi dell’Asia centrale che dovrebbero mettere a disposizione le proprie riserve di gas naturale per il piano alternativo europeo - in primo luogo l’Azerbaijan - continuano a mostrare perplessità e a stare molto attenti a non guastare i rapporti con la Russia.

Per Russia e Cina, in ogni caso, la minaccia maggiore in Asia centrale rimane quella statunitense, soprattutto dopo la recente decisione di inviare nuove truppe in Afghanistan in vista di una presenza che si protrarrà ancora per molti anni. Proprio per contrastare l’influenza di Washington, nel 2001 fu fondata l’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO), della quale fanno parte, oltre a Russia e Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, mentre India, Iran, Mongolia e Pakistan per ora vi partecipano come “osservatori”.

Tramite l’SCO, negli ultimi anni i due membri più potenti hanno spinto più di una repubblica centro-asiatica a chiudere basi militari americane presenti sui loro territori. Le esercitazioni militari congiunte russo-cinesi sono servite inoltre a mandare un messaggio molto chiaro, cioè che nell’area non verranno permesse nuove “rivoluzioni colorate”, sul modello di quella georgiana del 2003 o in Kirghizistan nel 2005, sponsorizzate dagli Stati Uniti per promuovere i propri interessi nelle ex repubbliche sovietiche.

Per comprendere la centralità del petrolio e del gas naturale nei rapporti di forza tra le potenze del pianeta in Asia centrale e, soprattutto, la crescita costante dell’influenza di Pechino in quest’area, sarebbe stato sufficiente ascoltare le parole dei leader presenti alla cerimonia d’inaugurazione del nuovo gasdotto che collegherà Cina e Turkmenistan.

Il presidente di quest’ultimo paese, Gurbanguly Berdimuhamedow, ha infatti esplicitamente assegnato un grande valore “non solo commerciale al gasdotto, ma anche politico”; mentre il presidente uzbeko Islam Karimov ha elogiato la Cina per la sua politica improntata alla “saggezza e alla lungimiranza” e per il ruolo ormai assunto di “garante della sicurezza globale”.

Una evidente prova di forza, dunque, quella cinese in Asia centrale nella battaglia per il controllo delle forniture energetiche che però, assieme alle altre questioni che contrassegnano questa porzione di continente, promette di intensificare le tensioni già esistenti. Con il rischio concreto di generare ulteriore instabilità e nuovi conflitti negli anni a venire.