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La crisi Usa non è finita anzi peggiora

di Filippo Ghira - 25/02/2010

Barack Obama e soci, in primo luogo la Federal Reserve, continuano a millantare che il peggio della crisi è passato e che l’avvenire non può essere che roseo e riportare gli Stati Uniti a guidare la ripresa economica mondiale. Alcuni indicatori testimonierebbero della fondatezza di tali affermazioni. Basti pensare ai risultati di bilancio nel 2009 per le banche di investimento tipo la Goldman Sachs che, dopo essere arrivata vicino al fallimento a causa delle proprie speculazioni e degli sballati investimenti, venne salvata dagli aiuti versati ad inizio 2009 dal Tesoro Usa (pari a diversi miliardi di dollari) che la avevano risollevata e le avevano permesso di tornare a macinare utili nello stesso anno. Dimostrazione evidente che la speculazione paga…
Se questa è la situazione delle banche di investimento e di affari che occupano lo scenario della finanza e sono ben visibili agli osservatori e agli operatori del settore, ben diversa è la situazione delle piccole banche commerciali sparse per tutti gli Stati Uniti che si trovano in una tragica situazione di mancanza di liquidità. Almeno il 10% delle banche Usa rischia così il fallimento e il fatto grave è che esse non possono essere aiutate nemmeno da fondo assicurativo di garanzia interbancario che ha esaurito le sue disponibilità. Complessivamente il settore bancario Usa è tornato in attivo nell’ultimo trimestre del 2009 ma di tale fase positiva hanno beneficiato solamente le banche più grandi che hanno potuto compensare i minori introiti provenienti dal finanziamento dell’attività produttiva con gli utili delle attività più propriamente finanziarie e speculative. Le piccole e medie banche legate a realtà produttive locali e alle famiglie dell’enorme provincia americana sono state invece penalizzate dal rallentamento dell’attività economica e dalla crisi delle famiglie, nelle quali alle conseguenze di aver perso il lavoro si sono aggiunte quelle causate dalla perdita della casa sulla quale era stato acceso il mutuo.
E’ insomma tutto quel mondo di piccole imprese ad essere entrato in crisi, insieme a tutta quella classe media Usa che rappresenta la struttura portante dell’economia. Per un Paese che vive soprattutto di domanda interna è un handicap non da poco che rischia di innescare un processo senza ritorno. Proprio ieri, due notizie tra loro collegate hanno evidenziato che la crisi Usa è tutt’altro che finita. La prima riguarda il calo dell’8,5% della richiesta di mutui immobiliari e il calo dell’8,9% nella richiesta di rifinanziare i mutui. Due segnali del fatto che di soldi in giro ce ne sono pochi e che le famiglie non sono in grado di spendere soldi per comprarsi una casa.
La seconda riguarda lo stato di salute di Freddie Mac, una delle due società Usa leader nel mercato della cartolarizzazione dei mutui residenziali. L’altra è Fannie Mae. Entrambe fallite e nazionalizzate e trasformate in agenzie governative. Freddie Mac ha chiuso il 2009 con una perdita di 21,6 miliardi di dollari, un risultato migliore rispetto al rosso di 50,1 miliardi toccato nel 2008, ma pur sempre un buco notevole per sanare il quale ci vorrà ancora qualche anno, salvo che l’imminente bancarotta dell’economia Usa, gravata da un debito pubblico e da un debito commerciale enormi, non faccia saltare tutto il meccanismo.