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Le mille vie della speculazione

di Mario Braconi - 10/11/2010



Quando si tratta di fare quattrini la fantasia umana sembra non conoscere limiti. Da questo punto di vista l’ultima frontiera è rappresentata dai sistemi di trading automatizzati conosciuti come “arbitraggi meccanici”: in parole povere, si tratta di un software che compra e vende sfruttando in modo automatico ogni minimo disallineamento dei corsi dei titoli sulle varie Borse.

Il concetto è sempre lo stesso: si tratta di scandagliare il mercato alla ricerca di qualche cosa (azioni, obbligazioni, derivati) che costi un po’ meno di quello che dovrebbe, per poi venderlo un secondo dopo tenendo un piccolo margine per sé. E’ una cosa che una macchina, molto più veloce a scovare possibili arbitraggi e immune alle defaillances emotive degli esseri umani, è in grado di fare molto meglio di una persona, che dovrebbe restare inchiodata davanti ad una serie di schermi a scrutare ogni minima variazione di prezzo per poi cliccare abbassare l’indice sul mouse per validare un “buy” o un “sell”.

Spesso i disallineamenti di prezzo sono irrisori, ma con questa metodologia, lavorando sulle numeriche (ovvero moltiplicando all’infinito il numero delle transazioni vantaggiose) si riescono a portare a casa milioni di Euro praticamente senza alzare un dito (o meglio senza collegare due sinapsi) e per di più facendo “del bene” al mercato, poiché - sostengono i fan dei mercati perfetti - grazie agli speculatori seriali i valori vengono riportati in equilibrio.

La variabile critica, qui, è il tempo: quando si comprano azioni o commodities per tenerle qualche secondo per poi rivenderle, un vantaggio anche solo di pochi decimi di secondo sui “competitor” fa davvero la differenza. A tutti coloro che hanno vissuto o subito il salto quantico tra il sano (e lento) mondo analogico e l’orgia di “digitalismo” nel quale viviamo immersi volenti o nolenti, viene naturale pensare, oggi, che grazie ai nostri giocattoli elettronici tutto avvenga in tempo reale. Ma, come sanno benissimo i fisici, la velocità alla quale viaggiano l’informazione e le transazioni che di essa si nutrono è limitata dalla velocità della luce. Insomma, esistono limiti fisici alla velocità di reazione di un sistema di trading automatizzato.

Una delle conseguenze di questo vincolo è che il concetto d’inevitabile contiguità fisica tra interlocutori (imprescindibile solo fino a qualche decennio fa, apparentemente obsoleto oggi) si impone di nuovo, e prepotentemente, alla nostra attenzione. Molti intermediari finanziari, infatti, proprio per ridurre i tempi di trasmissione degli ordini, spesso sistemano i propri server molto vicini a quelli della Borsa Valori sulla quale vogliono scambiare titoli - in alcuni casi, direttamente negli stessi locali (co-locazione delle macchine). Si noti, per inciso, come il libero mercato consenta ad alcuni operatori di essere “più uguali degli altri”, pagando qualche cosa per il disturbo, s’intende...

Quando però si parla di titoli trattati da più di un mercato regolamentato, è necessario trovare una collocazione fisica delle macchine che minimizzi la dispersione di tempo causata dalla trasmissione dei dati. E’ questo il senso della ricerca effettuata dal fisico Alex Wissener-Gross e dal matematico Cameron Freer (entrambi del MIT di Boston) e pubblicata sulla Physical Review E. I due scienziati hanno analizzato una cinquantina di borse valori mondiali, tracciando una mappa delle “zone” ideali dai quali si potrebbe operare in modo ottimale: si va da un punto nel bel mezzo dell’Oceano Indiano alle foreste remote del Canada o della Russia.

“Anche solo fatto di avere la sovranità su un particolare punto della terra, per quanto apparentemente sterile o inutilizzabile, insomma, potrebbe rivelarsi un asso nella manica” argomenta Wissener-Gross, “benché, riconosce, la gran parte dei punti ottimali siano in luoghi remoti e dunque non dotati delle infrastrutture necessarie a connettersi. Vi sono certo anche eccezioni, come ad esempio Los Angeles, in posizione strategica per ottimizzare le operazioni che transitano tanto su Tokio che su New York (sarebbe questo un modo per dare un senso a quella specie di città...).
 
Benché Wissener-Gross e Freer si dicano sicuri del fatto loro, al punto da affermare di essere già in contatto con numerosi intermediari finanziari per vendere loro la metodologia quantitativa alla base della pubblicazione del loro lavoro, non mancano voci critiche: come quella di Michael Kearns, esperto di finanza computazionale presso l’università della Pennsylvania di Philadelphia. Kearns ricorda che i punti ottimali costituiscono un eccellente esercizio teorico, che però ha il limite notevole di basarsi sull’ipotesi, invero molto irreale, che le informazioni circolino alla velocità della luce.

In verità, a meno che si disponga di un collegamento punto-punto in fibra ottica dalla postazione al trading floor della banca, i dati normalmente rimbalzano da un router all’altro viaggiando a velocità molto più basse anche nei casi più fortunati. Senza contare che la ricerca parla di un mondo perfetto (per la finanza) privo anche delle più elementari forme di regolamentazione - cosa che non accade nemmeno negli Stati Uniti, che dopo le batoste degli anni scorsi hanno per lo meno cercato di darsi qualche regola un po’ più seria. Insomma, sembra proprio che Wissener-Gross e Freer non abbiano (ancora?) trovato la pietra filosofale del trader.