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Il corpo sempre più esibito, perché?

di Francesco Lamendola - 24/04/2012



 

Il corpo viene oggi esibito in una misura che non ha precedenti nella cultura occidentale, tranne alcune eccezioni dovute a particolari circostanze di tipo politico-sociale, come presso la corte francese del Re Sole, o climatiche e sociali, come presso la società creola nelle colonie tropicali del Portogallo, soprattutto l’India.

Per trovare una tale esposizione di nudità, bisogna uscire dall’ambito della civiltà occidentale ed entrare in quello dell’antica civiltà minoica, nella quale pare che le ragazze girassero a seno nudo con perfetta indifferenza; o, in misura minore, in quella egizia, greca e romana, ma limitatamente ad alcuni periodi e a certi ambienti sociali.

I Greci, in particolare, avevano il culto della palestra, i Romani quello delle terme: in tal caso l’esibizione del corpo era un fatto specificamente maschile, come è attestato da vari autori, specie Aristofane; tanto è vero che Platone, nella «Repubblica», sembra cosciente della difficoltà di convincere i suoi compatrioti ad accettare l’idea che anche le donne possano fare dello sport, esibendosi con il corpo nudo e unto d’olio, come i maschi.

Si è detto e ripetuto che il cattolicesimo ha portato una ventata sessuofobica, imponendo la copertura del corpo umano per secoli e secoli; eppure è difficile sottrarsi all’impressione che, con il Rinascimento e con il fenomeno dei papi umanisti, le coste avrebbero potuto prendere un’altra piega, se non fosse sopravvento il lugubre moralismo calvinista a bloccare una tale evoluzione ed a respingere la Chiesa su posizioni diverse, per non lasciarsi scavalcare dal protestantesimo sul terreno della “moralità” sessuale.

In ogni caso, è chiaro che, nell’ambito delle civiltà mediterranee (comprese la greca e la romana), è sempre esistito uno stretto binomio fra corpo e sessualità; binomio che non era così automatico nelle culture native, ad esempio in quelle africane o in quelle dell’America precolombiana, né fra quelle celtiche e germaniche; la civiltà occidentale moderna lo ha ereditato da quella romana e, attraverso di essa, da quella greca.

Nella commedia di Aristofane «Gli uccelli», un personaggio, Pistetero, a un certo punto dice: «(Mi piacerebbe) un posto dove incontro il padre di un bel ragazzo e mi rinfaccia il torto che gli ho fatto: “Ma bravo Stilbonide! Trovi mio figlio che esce dalla palestra dopo il bagno, e non gli rivolgi la parola, non lo baci, non lo abbracci, non gli accarezzi i testicoli… Eppure sei bene un amico di famiglia! »; dove è chiaro che si tratta di una fantasia sfrenata, di un sogno a occhi aperti, ma è altrettanto chiaro, per il modo e la naturalezza con cui è espresso, che non doveva discostarsi troppo dall’ambito delle cose possibili e consentite.

In maniera leggermente diversa la pensavano i pur relativamente tolleranti europei del Rinascimento, se è vero che il “conquistador” Vasco Nuñez de Balboa, imbattutosi in alcuni Indios del Dairén (presso l’Istmo di Panama) travestiti da donne, inorridito da tanta perversione non esitò a farli sbranare dai suoi feroci mastini da combattimento, onde impartire una lezione esemplare a quei depravati “selvaggi”.

Come si vede, la pratica della ginnastica e dello sport, presso i Greci, era l’occasione per una generosa esibizione del corpo, che aveva una indubbia valenza sessuale (e specificamente omosessuale): ma anche in quel caso si trattava di un ambito circoscritto e, inoltre, rigorosamente limitato al genere maschile.

La società contemporanea, invece, a partire dagli ultimi decenni del Novecento, si caratterizza per una esibizione del corpo a tutto campo, che investe ogni ambito della vita pubblica e privata: dal calendario sexy, che fa bella mostra di sé tanto nella cabina di guida del rude camionista quanto sulla parete nell’ufficio del serio uomo d’affari, alla stampa, al cinema, alla televisione, alle spiagge, alle strade, alle discoteche, agli stadi, e perfino, in una certa misura, agli uffici pubblici, alle scuole e alle stesse chiese (tanto è vero che fa notizia il fatto che un sacerdote, ogni tanto, ma sempre più raramente, ricusi il sacramento dell’eucarestia a una fedele che gli si presenta davanti con l’ombelico scoperto).

Non vi è più distinzione tra i vari ambiti, non vi è differenza di genere (se la moda impone i pantaloni a vita bassissima, anche i maschi se ne vanno in giro con le chiappe al vento), né vi è differenza fra mondo virtuale e mondo reale: le stesse nudità vengono esibite tanto nella pubblicità televisiva o nei programmi di quiz per famiglie, quanto nell’abbigliamento di ogni giorno, ma specialmente del sabato sera, da parte di persone giovani o meno giovani, anzi, da queste ultime con accanimento forse anche maggiore dei ragazzi.

La domanda, ovviamente, è da cosa nasca e a cosa miri questa nuova filosofia del corpo.

La prima impressione, che essa corrisponda ad una crescente e deliberata erotizzazione della società, potrebbe anche rivelarsi superficiale, se si riflette che non sempre l’esibizione del corpo corrisponde a una effettiva, maggior disinvoltura della pratica sessuale: a volte l’apparenza inganna, e questa potrebbe essere una di quelle.

La specificità della riflessione filosofica è proprio quella di non fermarsi a ciò che sembra ma di penetrare, per quanto possibile, nella reale natura delle cose: in questo caso, una serie di attente osservazioni e di conseguenti deduzioni permettono, a nostro credere, di arrivare ad una conclusione un po’ diversa, e cioè che non vi sia un rapporto così diretto ed evidente fra l’esibizione del corpo e la disinvoltura della pratica sessuale,.

Intendiamoci: la nostra è senza dubbio una società sessualmente permissiva, o, perlomeno, la si può considerare la più permissiva che l’Occidente abbia conosciuto dopo la fine della civiltà romana; possiamo anche convenire che essa sia letteralmente ossessionata dal sesso, anche se bisognerebbe comunque distinguere fra quanto è frutto di un autentico atteggiamento culturale e quanto, invece, indotto artificialmente dalle strategie pubblicitarie: perché non bisogna mai dimenticare che la società moderna è una società ad una dimensione, e tale dimensione è quella economica; tutto il resto è ad essa subordinato e funzionale.

E, come tutte le società sessualmente permissive, la nostra è una società abortista: tutte le società sessualmente permissive lo sono, per il rapporto necessario che esiste fra licenza sessuale e gravidanza indesiderata. Potremmo aggiungere che è una società necrofila, perché una società che sopprime in silenzio, ogni anno, milioni di nascituri (vi sono città e regioni in cui il numero degli aborti sfiora quello dei bambini nati), senza che ciò dia luogo ad un dibattito continuo, intenso e sofferto, ma venga invece tacitamente accettato come cosa perfettamente naturale, non si può dire che ami davvero la vita; ma questo sarebbe un altro discorso.

Dicevamo che non esiste una relazione diretta fra l’esibizione del corpo e la disinvoltura della pratica sessuale, anche se quest’ultima certamente è presente; ma, a nostro credere, non in maniera così massiccia e così sistematica come il primo fenomeno, più vistoso e superficiale, indurrebbe a credere; e, infatti, l’esibizione è, spesso, stranamente non erotica o perfino anti-erotica.

Il fatto è che moltissime persone, oggi, di ambo i sessi e di tutte le età e condizioni sociali, sono portate ad esibire il proprio corpo in maniera quasi compulsiva - un corpo sempre più denudato, ma anche sempre più artificiale: depilato, abbronzato, palestrato, esteticamente trattato e perfino chirurgicamente modificato - ma non sempre o non solo, né principalmente in vista di un comportamento sessuale libero e spregiudicato, bensì allo scopo di gratificare il proprio ego suscitando nell’altro, qualunque altro, il massimo del desiderio.

Questa è, indubbiamente, una caratteristica originale della società odierna, che non trova riscontro in alcuna situazione del passato, almeno nell’ambito della civiltà occidentale: si esibisce il corpo per il puro piacere di esibirlo: “puro”, va da sé, non nel senso di privo di malizia, al contrario; “puro” nel senso che esso non è finalizzato al coito, ma alla seduzione in se stessa.

Parafrasando il cogito cartesiano, potremmo dire che la società odierna viva all’insegna del motto: «Seduco, dunque esisto»: dove la capacità di esercitare una seduzione sessuale sull’altro, chiunque egli sia (non è un atteggiamento mirato e si rivolge indiscriminatamente a tutti) diventa lo strumento per misurare il proprio valore e, quindi, il proprio esistere.

La nostra cultura è basata sull’apparire: non ha importanza quel che si è, ma quel che si sembra; di conseguenza, tutta l’autostima delle persone dipende dal grado di consenso e di apprezzamento che ricevono dagli altri; e quale apprezzamento più facilmente misurabile di quello che si manifesta nel desiderio sessuale?

Di conseguenza, crediamo che ci si spogli, oggi, soprattutto per leggere nello sguardo dell’altro il desiderio, che viene interpretato come riconoscimento del proprio valore: se non si è capaci di suscitare lo sguardo desiderante, non si vale nulla: è questa la lezione che, specialmente attraverso la televisione, viene recepita e introiettata già dai bambini e dai ragazzini, e che finisci per imporsi come una vera e propria norma di vita.

Naturalmente, e al netto di ogni considerazione di ordine morale, si tratta di una vera e propria illusione, che nasce da un puro e semplice errore concettuale: infatti il desiderio sessuale e l’apprezzamento di una persona, perfino l’apprezzamento sessuale, sono due cose diverse. Specialmente per l’uomo, una donna può suscitare il desiderio pur senza essere giudicata bella o particolarmente desiderabile; può perfino suscitare disprezzo, e tuttavia desiderio. Bisognerebbe fare attenzione alle armi che si adoperano per rendersi sessualmente desiderabili: più le armi sono grossolane, più lo sarà il desiderio suscitato.

Potrebbe sembrare strano e quasi incredibile, invece si vede frequentemente che questa semplice verità viene ignorata, il che dà luogo a curiosi equivoci. Succede abbastanza spesso che una donna susciti il desiderio sessuale dell’uomo con l’esibizione provocante del proprio corpo, ma poi si ritragga infastidita alle sue “avances”: in particolare, ella si sente offesa e contrariata per il fatto che tali “avances” provengono da uomini particolarmente grossolani. Ma come meravigliarsene? Ogni esca è adatta ad un particolare tipo di pesce e non ci si dovrebbe poi stupire se, dopo aver gettato un’esca particolarmente grossolana, ad abboccare sono i pesci più grossolani.

Qui c’è un equivoco con se stessi, prima ancora che con l’altro: non si può rafforzare la propria autostima, suscitando gli istinti più bassi dell’altro; l’autostima si rafforza se si è in grado di destare l’ammirazione delle persone di valore, e facendo leva sulle qualità interiori della propria persona, non sull’esibizione generosa del corpo nudo. Certo, a tutti fa piacere sentirsi belli e desiderati: ma “bello” non è sinonimo di “sexy” e, quanto all’essere desiderati, c’è modo e modo di esserlo; anche le prostitute, che si mostrano sui viali di periferia, fanno di tutto per suscitare il desiderio dei potenziali clienti.

La contraddizione è che la casalinga, la studentessa, l’impiegata, vogliono suscitare il massimo del desiderio, utilizzando più o meno le stesse strategie apparenti della prostituta professionale; ma poi si meravigliano e si arrabbiano, se scoprono che ad avvicinarle sono uomini propensi a trattarle press’a poco come delle prostitute: eppure il codice linguistico dell’abbigliamento, del trucco, della camminata, è praticamente lo stesso.

Quanta ignoranza si cela dietro certi comportamenti, e di quanta inutile frustrazione questi ultimi sono la causa: inutile, perché non serve a indurre una maggiore consapevolezza, ma accresce proprio quel disagio esistenziale, quella mancanza di autostima, cui si voleva sfuggire. Il serpente si morde la coda: l’esibizione del corpo, che voleva esorcizzare la paura di non essere, conferma, attraverso l’accostamento deludente dell’altro, il senso di solitudine e di scarso valore di sé.

Un caso a parte, una specie di effetto collaterale, è quello dell’esibizione del corpo che, pur muovendo da motivazioni sostanzialmente simili a quelle già dette, si caratterizza per una maggiore inconsapevolezza, per una maggiore banalità e per una maggiore sciatteria: si mostra la propria nudità come per una sorta di riflesso condizionato, per conformismo, perché lo fanno tutti; ma senza neanche rendersi conto di tutte le implicazioni che ciò comporta e di tutti gli effetti che produce; in questi casi, lo stupore per le sgradite “attenzioni” dell’altro è autentico, il che non toglie che esso nasca da una colpevole ignoranza circa il proprio agire.

Infine, si torna sempre all’aureo motto di Socrate: «Conosci te stesso».

Chi si sforza di farlo, si rende conto del perché si comporti in un certo modo, del perché si esibisca, di che cosa, inconsciamente o consciamente, si aspetti, tema o desideri; mentre chi è analfabeta di se stesso, tenderà a reiterare sempre gli stessi comportamenti banali, immaturi, improduttivi.