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Kerry Kross è parte di una strategia per “normalizzare” il relativismo etico?

di Francesco Lamendola - 25/08/2012

 


 

Kerry Kross è un controverso personaggio dei fumetti, creato nel 1994 dallo sceneggiatore Max Bunker, alias Luciano Secchi (nato a Milano nel 1939) e illustrato dal disegnatore Dario Perucca (nato a Vercelli nel 1964).

Edito dallo stesso Max Bunker, il fumetto in questione ha avuto una storia travagliata; costretto a una sospensione forzata dopo soli undici numeri, è stato testardamente ripreso dal suo ideatore e portato avanti, pur fra molte difficoltà e conservando una periodicità variabile.

Max Bunker non è uno qualunque; nel campo dei fumetti è più che una autorità, è quasi una leggenda, avendo firmato tutta una serie di personaggi di notevole successo, da Kriminal a Satanik (in concorrenza con il mitico Diabolik delle sorelle Giussani), da Alan Ford a Maxmagnus; e già agli esordi della sua carriera, nell’ormai lontano 1962, troviamo niente meno che l’invenzione di Maschera Nera, un eroe western che ricorda Zorro, anche se le sue storie erano caratterizzate da dosi più massicce di ironia e, soprattutto, di violenza.

Kerry Kross è una investigatrice privata, ex agente dell’F.B.I., che convive con una scheggia di metallo nella testa, la quale potrebbe ucciderla in qualsiasi istante; è giovane, alta, bionda, bella e prestante; quando sfreccia per le strade di Los Angeles a bordo della sua potente motocicletta, indossando una tuta aderentissima, sembra una apparizione dell’altro mondo. Audace, spericolata, diciamo pure temeraria, sfida la morte in continuazione, probabilmente perché consapevole che la sua è, comunque, una partita a scacchi con la Grande Avversaria. I suoi metodi investigativi sono sbrigativi e poco ortodossi; ma, avendo dato le dimissioni dalla polizia, può permettersi di adoperarli, tanto più che le consentono di arrivare sempre allo scopo.

La sua specificità è il fatto di essere omosessuale; e di esserlo in maniera palese, se non proprio ostentata, visto che fin dal primo numero si porta a letto una procace poliziotta di colore; mentre un personaggio a lei simile per professione, caratteristiche fisiche e psicologiche, come Legs Weaver (ideato nel 1991 da Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna), si mostra molto più reticente in proposito e i suoi lettori hanno dovuto aspettare fino al cinquantesimo albo perché il suo lesbismo apparisse finalmente in maniera esplicita.

La cosa, di per sé, non sarebbe rivoluzionaria, se non che il fumetto di Max Bunker non si rivolge a un pubblico omosessuale e non mette l’omosessualità al centro delle storie, anche se non c’è un numero in cui essa non compaia in maniera più o meno esplicita. Se a ciò si aggiunge che nessuno degli altri, numerosi personaggi creati da questo autore è omosessuale o sente il bisogno di mostrarlo in continuazione (con l’eccezione del suo successore, Beverly Kerr, che, pur sposata, forse finisce per ricambiare le simpatie di Kerry, di cui è diventata grande amica), ce n’è abbastanza per domandarsi quale sia la funzione che questo aspetto della sua nuova eroina dovrebbe svolgere nel contesto delle storie che la vedono protagonista.

Benché vada a letto con innumerevoli donne, per natura Kerry Kross non sarebbe una amante promiscua: il suo grande e unico amore è Melania Reynolds, una ex compagna di università con cui ha avuto una relazione breve, ma intensa, la quale poi si è sposata, è rimasta vedova ed è tornata da lei, fino a quando, opportunista senza scrupoli, ha visto passare un secondo possibile marito e non ha esitato a mollare l’amica per afferrarlo al volo e sistemarsi con la figlioletta Janine. Il che non le ha impedito di mantenere saltuari rapporti sessuali con l’ex amante, sempre di lei perdutamente innamorata e mai del tutto rassegnata alla sua perdita.

C’è poi la giovane segretaria, Nancy, romantica, timida e adorante, che vede la sua principale come una dea incarnata e che farebbe qualsiasi cosa per lei (un po’ come la segretaria del capo di James Bond nei confronti di quest’ultimo), ma con la quale l’investigatrice preferisce mantenere un rapporto protettivo, di tipo quasi materno e non privo di tratti di paternalismo - se ci si passa l’espressione orribilmente maschilista.

Quel che trova nel personaggio di Kerry Kross il lettore di fumetti polizieschi - solitamente adulto o adolescente, maschile, non del tutto sprovveduto sul piano culturale - è, dunque, una investigatrice sessualmente attraente, che indossa disinvolta tailleur raffinatissimi e scarpe con i tacchi a spillo, ma che maneggia altrettanto bene la pistola e non teme le più spericolate acrobazie, la quale, dopo averlo eccitato con la sua avvenenza, si concede continue avventure sessuali con donne, passando da un letto all’altro con la rocciosa, indistruttibile costanza di un James Bond al femminile, e sdegna completamente le attenzioni degli uomini.

La domanda, inevitabile, è che scopo abbia un fumetto del genere, a quali logiche risponda un tale personaggio, a meno che si tratti puramente e semplicemente di un elemento aggiuntivo per vellicare certe curiosità morbose del pubblico, come fanno i film di terz’ordine per rendere la storia più appetibile al gusto dei palati grossi. Delle due, infatti, l’una: o l’omosessualità della protagonista è un elemento accessorio e secondario, e allora non si comprende perché debba essere esibita in continuazione; oppure è un elemento centrale, e allora ci si chiede perché il suo creatore si rivolge a un pubblico non omosessuale, a differenza di altri autori che confezionano storie e personaggi per una cerchia di lettori esplicitamente omosessuali, mediante albi che appartengono alla galassia omosessuale, così come vi appartengono certi locali pubblici (ci rifiutiamo di adoperare la parola “gay”, anche se ormai praticamente d’obbligo, sia per non sottostare all’imposizione dei neologismi anglosassoni, sia, soprattutto, per quella dubbia connotazione di “allegria” e ostentata depravazione che possedeva, nella lingua inglese, fin dal XVIII secolo, anche se non ancora riferita alla sfera della omosessualità).

La risposta più banale sarebbe che si tratta di un elemento piccante e che fa vendere, dato che i rapporti saffici suscitano, notoriamente, la curiosità e l’eccitazione del pubblico maschile (mentre non si può dire la stessa cosa del contrario: ossia non risulta affatto che i rapporti omosessuali tra maschi provochino una reazione analoga nelle donne); e gli albi di Kerry Kross si rivolgono a un pubblico chiaramente maschile. Sarebbe una risposta banale perché Max Bunker ha ideato molti altri personaggi che non hanno niente a che fare con l’omofilia e perché, appunto, si rivolgono a un pubblico largamente eterosessuale, per il quale le preferenze sessuali della protagonista sono un elemento aggiuntivo e non  sostanziale rispetto alla trama delle singole storie.

E poi, c’è quella insistenza nel ripresentare al pubblico una serie che, fin quasi dall’inizio, ha mostrato di non riscuotere un gradimento particolarmente alto; una cosa che si può spiegare con il normale affetto che si crea fra un autore e il personaggio da lui creato (ammesso che l’abbia creato davvero: Pirandello insegna), ma che potrebbe anche tradire una ostinazione originata da cause d’altro genere, come dire?, di tipo ideologico.

Del resto, il personaggio di Kerry Kross, sia per la qualità delle sceneggiature, sia, e più ancora, per quella del disegno, lascia molto a desiderare sul piano artistico; per esempio, dovrebbe essere bellissima, ma, nel tratto di Dario Perucca, è tutt’altro che tale, mostra anzi una sgradevole espressione mascolina; e i dialoghi, infine, non brillano certo per originalità. Insomma, se non ha incontrato un gran successo di pubblico, le ragioni ci sono; eppure è un personaggio che non si rassegna alla scomparsa, che torna ostinatamente alla carica. Perché?

A noi sembra che le ragioni abbiano a che fare con una dinamica molto più vasta, e, forse, con una precisa strategia dei mezzi d’informazione di massa e del mondo dello spettacolo, la televisione e il cinema primi fra tutti, ma anche la musica leggera, la letteratura, la fumettistica; una dinamica e una strategia tendenti a “normalizzare” una serie di trasformazioni psicologiche e sociali in atto, delle quali l’omosessualità è una fra le tante. Di normalizzarle, nel senso di renderle ordinarie, quotidiane, scontate e di far sì che il pubblico le percepisca come tali, ossia che smetta di considerarle anomale e che le veda come assolutamente naturali e legittime.

Non vogliamo dire che tutti gli sceneggiatori cinematografici e televisivi o che tutti gli scrittori, i cantanti e gli autori di fumetti che trattano il tema della omosessualità, facciamo parte di un disegno complessivo consapevole e studiato a tavolino; siamo anzi certi che la maggior parte di loro non pensa ad altro che a incuriosire il pubblico e, magari, a influenzarlo in senso “progressista” e “democratico”, intendendo la democrazia come la legge della maggioranza, indipendentemente dai contenuti che essa veicola e accredita.

Anche la politica, da alcuni anni, spinge in questa direzione, in Italia e, più ancora, fuori d’Italia; tanto che molte legislazioni, ad esempio, hanno ormai pienamente recepito il principio della piena equivalenza tra la famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna e le libere unioni, eterosessuali e omosessuali, con facoltà di adottare dei bambini anche in quest’ultimo caso.

Non si tratta solo dell’omosessualità, ma di molti altri comportamenti socialmente rilevanti, che vanno dall’aborto, ormai legalizzato quasi ovunque, all’eutanasia, presentata, anch’essa, come una “battaglia di civiltà” per i diritti del malato. Fatto sta che l’insieme di questi principî e di queste pratiche, una volta che abbia ricevuto la sanzione parlamentare e legislativa, entra a far parte del patrimonio culturale della società e sovverte radicalmente i precedenti modi di pensare e di agire, rovesciando la prospettiva etica e presentandosi come la vera e la sola forma di esercizio della libertà consapevole e della democrazia.

Non bisogna sottovalutare il contributo che, a questa trasformazione epocale, danno strumenti quali un semplice giornalino a fumetti o un banale sceneggiato televisivo per famiglie: essi colpiscono l’immaginazione e si insinuano in maniera graduale e capillare in un pubblico ampio e variegato, che comprende ogni fascia di età e ogni ceto sociale, oltrepassando le differenze economiche, culturali, psicologiche.

Ora, il punto non è che questo sovvertimento delle convinzioni etiche sia o non sia legittimo: nelle dinamiche della storia, legittimo finisce sempre per diventare ciò che viene approvato dalla maggioranza. Il punto è se si tratta davvero di dinamiche “naturali”, o se esse non siano pilotate da forze economiche potenti, che stanno nell’ombra e si servono di uno stuolo di ignari e zelanti propagandisti; e, in particolare, se non si tratti di dinamiche riconducibili a un disegno complessivo, mirante a instaurare il più completo relativismo etico dietro le apparenze di una “liberazione” e di un esercizio dei “diritti”, corrompendo anche una sana concezione circa l’origine delle leggi, sì da rendere «licito» tutto ciò che è «libito», come direbbe il padre Dante; e, in ultima analisi, per spianare la strada a una sorta di caos programmato.

È evidente, infatti, per chi sappia ancora pensare, che lo scatenamento degli appetiti individuali e il loro riconoscimento giuridico, oltre a infliggere un colpo mortale ai fondamenti della coesione sociale (perché una società ove imperversano l’aborto, l’omosessualità, l’eutanasia, corre incontro alla propria autodistruzione), facendo tabula rasa dei vecchi valori e ponendo al loro posto il più sfrenato individualismo edonista, crea le condizioni per l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che qualcuno, forse, ha già programmato fin nei particolari.

In altre parole, dietro l’ubriacatura permissiva che sta montando come una marea, si profila all’orizzonte, per chi la sa vedere, una società totalitaria in cui, per reazione, ogni spazio di giusta libertà privata verrà sacrificato in nome del valore “superiore” della sicurezza collettiva: perché l’abuso della libertà genera il caos e il caos genera sempre, prima o poi, attraverso il disorientamento e la paura, una domanda di autorità; una autorità tanto più imperiosa e assoluta, quanto più grandi sono stati il disorientamento e la paura.

Non si dovrebbe scherzare con queste cose, né prendere alla leggera le possibili conseguenze di un relativismo generalizzato e di una anarchia istituzionalizzata; del resto la storia, e specialmente la storia recente, sono lì ad ammonirci, se noi sappiamo leggerle, circa gli esiti di una situazione di caos dovuta ad un fraintendimento della libertà.

La libertà non può mai essere solo libertà da qualcosa, ma, prima di tutto, deve essere libertà per qualcosa; altrimenti diventa un elemento destabilizzante e potenzialmente distruttivo, così per i singoli come per le società. Ed ecco come singoli fatti, quali la comparsa di un nuovo fumetto, si rivelano quali tessere di un mosaico inquietante, disegnato da qualcuno che si tiene nascosto…