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Ipermondo

di Mario Grossi - 12/10/2012


La Storia è finita. Con il trionfo del post-moderno si è entrati in una fase in cui il nostro sistema di vita, così come si è sviluppato, subirà, non una battuta d’arresto, seppur lunga e dolorosa, ma il colpo di grazia. Come in un’apocalisse laica, il vecchio mondo s’inabisserà e ne nascerà uno nuovo del quale non conosciamo bene i contorni che, liquefatti, come ci racconta Baumann, non sono più definibili con i modelli che hanno informato il mondo finora conosciuto. Per confutare questa idea, che è circolata nel recente passato e che continua a circolare, Vanni Codeluppi, che da lungo tempo studia il progressivo mutamento della società e dei modelli che l’ispirano, pubblica da Laterza l’ultimo suo saggio, Ipermondo, che in qualche modo è una summa o un compendio alle idee sviluppate singolarmente nei suoi saggi precedenti.

L’autore è conosciuto per il suo concetto di “vetrinizzazione” del mondo, quel deragliamento che nel corso del tempo ha sempre di più costretto, prima le merci e poi, una volta mercificati, i nostri corpi, ad una sovraesposizione che fa affiorare e mette sotto i riflettori anche le loro porzioni più intime, come fa con le zone più private della nostra vita e dei nostri sentimenti.

Ma il problema della vetrinizzazione della società è solo un tassello che compone la più variegata topografia del mondo nella sua versione Iper. Si parte, come dicevo, dalla contestazione di un assunto che per Codeluppi deve essere rivisto integralmente. Non si può parlare, osservando la realtà attuale, di società post-moderna ma di Ipermondo. La società post-moderna implica una cesura, una frattura tra il precedente assetto moderno e quello successivo post, una non continuità che ne caratterizza l’avvento.

Esisteva un mondo moderno immerso nel flusso della Storia cui succede in discontinuità il mondo post-moderno caratterizzato dall’interrompersi del racconto storico. Codeluppi non si adegua, sostenendo che la metamorfosi cui assistiamo non rappresenta una discontinuità col passato ma la sua prosecuzione patologica.

L’ipermondo è in perfetta continuità rispetto al mondo precedente, ne costituisce una sorta di ultima, o penultima corruzione che ancora non si pone al di là della cesura che ne sancirà il crollo, anche se in esso tutti i segnali di implosione affiorano.

L’ipermondo è caratterizzato dalla ulteriore trasformazione delle coordinate spazio temporali a noi note che invertono la loro direzione: da un lato il tempo assume una nuova brusca accelerazione che lo rende sempre più veloce e evanescente, tanto da fagocitare termini come passato e futuro, dilatando, in un presente privo di connessioni, il susseguirsi degli accadimenti. Dall’altro lo spazio tende a comprimersi oltremisura avvicinando luoghi e persone che sembrano ammassarsi come sardine. La risultante di questa accelerazione temporale e compressione spaziale genera una comune perdita di senso.

Conseguenza di questa risultante è la desertificazione dei modi di comunicare che si spostano verso la rappresentazione televisiva che avviene per immagini che tendono a espungere le parole. Comunicazione sincronica che abolisce qualsiasi successione diacronica, se è vero che una spiegazione verbale prevede delle premesse (passato), una dissertazione (presente) che conduce a delle conclusioni (futuro). Successione che si mescola in un’immagine deformata dall’istantaneità del tempo.

È per questo motivo che la tendenza alla vetrinizzazione delle merci prima, dei corpi e delle menti poi prende il sopravvento. È pura forma omologata di una comunicazione che è solo per immagini e che non prevede nessun’altra profondità al di sotto dll’epidermine esposta che acquista, solo lei, il senso da significare.

L’ipermondo, anche qui in perfetta continuità col passato, tende a deformare, oltre al tempo e allo spazio, anche le dimensioni delle sue organizzazioni. Il vecchio piccolo esercizio commerciale, passa al minimarket, soppiantato sempre più velocemente dal supermarket, dal Megastore che si dilata ipertroficamente nell’Ipermercato. Le merci devono ruotare il più velocemente possibile.

Il capitalismo raggiunge la sua fase ipercinetica e assume le forme del turbocapitalismo (nella sua fase di biocapitalismo che anticipa la dissoluzione ultima il necrocapitalismo) che necessita dell’evoluzione deforme del cittadino che si trasforma in consumatore dedito a un acquisto coatto sempre più compulsivo (iperconsumo).

Il gigantismo, oltre che gli esercizi commerciali, influenza le forme, sempre più grandi, delle metropoli che tendono a uniformare il loro aspetto e delle multinazionali che, di acquisizione in acquisizione, crescono in volume, diminuendo di numero. Per non parlar dei corpi.

Mini, Super, Mega, Iper, in termini di velocità (la produzione e la rotazione delle merci), di dimensioni (gigantismo), di desiderio abnorme (consumo conpulsivo). Un’accelerazione deformante e una crescita elefantiaca che, se non fossero tragiche, susciterebbero il riso, rimandando alla mente ipercinesi e grasso delle vecchie comiche del cinema muto.

I corpi, i negozi, le città, le multinazionali, sempre più frenetici, sempre più grandi si salderanno insieme. L’ultimo passo prima dell’estinzione sarà ununica immensa metropoli, fornita da un unico ipermercato onnipresente, rifornito da ununica multinazionale universale.

Eterogenesi dei fini. Il percorso del mercato della concorrenza dei molti che genera, prima della fine, il monopolio planetario e che somiglia molto al cammino delle religioni cui può essere equiparato. Dall’animismo dalle divinità in continua crescita, al politeismo del molteplice ma contenuto Pantheon olimpico, ai tre grandi monoteismi del Dio solipsista: il primo (Ebraismo) residuale, gli altri due (Cristianesimo e Islam) in lotta tra loro per il dominio monopolistico delle anime.

Il gigantismo, di cui l’Ipermondo è forse l’ultima fase, preannuncia l’implosione catastrofica per una scelta evolutiva che, ritenuta benefica rivela invece il germe velenoso della distruzione. La velocità ipercinetica superficiale si trasformerà in stasi, i corpi ipertrofici svaniranno. Il calore caotico della moltitudine si fisserà nella congelata unità omologa. Rigor mortis.

Leggendo il saggio di Codeluppi, molto più scientifico di queste note apocalittiche, mi torna costantemente in mente la parabola darwiniana dell’evoluzione dei rettili che, dopo una sempre più rapida ascesa, scelsero la strategia del gigantismo per affermarsi universalmente nel loro mondo. Come è andata a finire è noto e, meteorite o non, i loro corpi sempre più enormi ne decretarono un’estinzione epocale. Parabola che somiglia molto a ciò che sta accadendo oggi nella fase dell’ipermondo.

I rettili, che dominano ancora il mondo, anche se non in modo esclusivo, impararono che per sopravvivere è più utile avere corpi piccoli, dosare meglio le proprie forze in primo luogo non sprecandole, adottando una strategia della lentezza: il crogiolarsi al sole dei coccodrilli, che permette brevi esplosivi attimi di attività predatoria o riproduttiva che ne assicurano la sopravvivenza, il godimento e la felicità.

Insomma i rettili, privi di pensiero mammifero, hanno imparato la lezione per vivere in armonia con l’ostile mondo che li circonda, sanno bene che la strada del gigantismo iperdinamico è un vicolo cieco e distruttivo. Meglio ragionare con lentezza, non dissipare le forze, non sprecare le energie, ragionare in piccolo e con strategie locali e mimetiche.

Tutto quello che l’Ipermondo non ha imparato a capire indirizzandoci, nessuno escluso, verso una nuova drammatica danza dei grandi rettili.