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La decrescita: da Latouche, Polanyi e de Benoist agli slogan del M5S

di Leonardo Petrocelli - 16/04/2013

Fonte: barbadillo



La “scommessa della decrescita” aveva fatto timida irruzione nell’arena della politica italiana, per la prima volta, durante la campagna elettorale del 2006. Un’apparizione marginale, affidata alle esternazioni di pochi e sicuramente non paragonabile al recente clamore suscitato, nel merito, dalle esternazioni di Beppe Grillo. Spalancate le porte della polemica, sulla decrescita si sono espressi in tanti, spesso a sproposito, rappresentandola alternativamente come una feconda suggestione o uno spauracchio sovversivo.
Per orientarsi lontano dalle avvelenate contingenze, la strategia più saggia rimane probabilmente quella di affidarsi ai ragionamenti del “padre nobile” della decrescita: Serge Latouche -  professore emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-Sud e specialista dei rapporti Nord-Sud – cui va riconosciuto l’indubbio merito di aver sistematizzato e divulgato un corpus di idee con radici antiche, salde nella sociologia di Emile Durkheim e Marcell Mauss, nell’antropologia di Karl Polanyi e Marshall Sahalins, nella filosofia di Cornelius Castoriadis e Ivan Illich. La ricorsa, insomma, è lunga se è vero che anche i luddisti, gli anarchici situazionisti, i conservatori alle De Maistre e i primi socialisti, intrisi di utopia, trovano spesso cittadinanza nel ricco pantheon della decrescita. Il cui cammino ha beneficiato, più recentemente, dell’apporto del parigino M.a.u.s.s.. (Movimento Anti Utilitarista delle Scienze Sociali) e delle numerose istanze partorite da un ampio dibattito internazionale cui, dalla Puglia, hanno contribuito, fra gli altri, i sociologi baresi Franco Cassano, Franca Papa e Onofrio Romano. Non trascurabile è stato anche il contributo fornito dal pensiero antimoderno che, da Alain de Benoist a Massimo Fini, ha stimolato il confronto da destra.
Evasa così dall’esilio della marginalità, la decrescita ha ispirato nel tempo la nascita di associazioni, comunità e gruppi come il Movimento per la Decrescita Felice di Maurizio Pallante, per un breve tratto compagno di strada di Grillo. E in Francia, è addirittura sorto un piccolo partito, il Parti pour la Décroissance, inchiodato però all’1% di preferenze.
Al di là delle fortune dei diversi contenitori il punto più rilevante e delicato rimane comunque quello legato ai contenuti: “La decrescita – scrive Latouche nel suo Breve Trattato sulla Decrescita Serena (Bollati Boringhieri, 2008) – è uno slogan politico con implicazioni teoriche, un parola bomba che vuole fare esplodere l’ipocrisia dei drogati del produttivismo”. Si tratta, semplificando, di una “inversione di paradigma” che boccia l’idea della crescita economica infinita in un pianeta finito e promuove un diverso approccio alla gestione dell’esistente. Nel mirino dei “decrescenti” finisce un po’ di tutto: i ritmi frenetici della vita moderna, l’ossessione per il consumo, lo sviluppo tecnologico senza freni, la rimozione delle identità, l’accettazione acritica del mito del lavoro. A palle incatenate si spara anche contro lo Sviluppo Sostenibile, bollato come un “ossimoro” concepito per migliorare i meccanismi esistenti allo scopo di garantirne una sostanziale sopravvivenza. Di contro, viene definito uno schema per il cambiamento in otto punti, il circolo delle otto “R” della decrescita, da cui far germogliare un vero e proprio programma elettorale al di là della categorie di destra e sinistra.
Ma il programma non piace, di fatto, quasi a nessuno: né alla maggioranza delle categorie produttive, impaurite dal cambiamento strutturale, né alla sinistra post-marxista, impegnata in battaglie di conservazione, né alla destra liberista. Ed anche chi afferma di farlo proprio, come Grillo, è costretto ad andar cauto: cosa potrebbero mai pensare i tanti imprenditori veneti, elettori del M5S, di un contenimento “ideologico” di produzione e consumi? E gli attivisti, saprebbero digerire le provocazioni di Latouche sul “diritto a non possedere un computer”?
C’è poi un altro problema, più spinoso dei precedenti: “Nel migliore dei casi – spiega il pensatore francese – i governi possono soltanto rallentare i processi che non controllano. Esiste una cosmocrazia mondiale che svuota la politica della sua sostanza e impone le sue volontà attraverso la dittatura dei mercati finanziari. Che lo vogliano o no tutti i governi sono dei funzionari del capitale”. A dispetto della vulgata, la vera impresa non risiede tanto nel modificare la condotta del singolo suggerendogli di preferire la bicicletta all’automobile, quanto piuttosto nel riacquistare la sovranità perduta ed innescare una gigantesca trasformazione che odora tanto di rivoluzione.
Il nodo è tutto qui: a patto di volerla affrontare seriamente, la sfida è titanica. E rimane il sospetto che gli eventuali movimenti politici interessati alla decrescita, come il 5 Stelle, preferiscano – per esigenze di voto – offrirne una versione depotenziata, annacquata e destinata a convivere pacificamente con parte degli schemi, economici e culturali, esistenti. Finendo, così, per farla assomigliare al tanto deprecato sviluppo sostenibile. “D’altronde – ha ripetuto spesso Latouche – se il movimento della decrescita riuscisse a raggiungere i vertici e si dichiarasse seriamente intenzionato a combattere un certo tipo di battaglie, il suo leader sarebbe immediatamente assassinato. Non ho alcun dubbio”.

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 aprile 2013